Perugia - L'Oratorio di San Bernardino |
Non so se San Bernardino
da Siena sia un santo ancora in voga, oggetto di devozioni
particolari. Come autore della letteratura italiana, sembra ridotto
da tempo a un rilievo di secondo o terzo piano: le antologie
scolastiche gli dedicano poche pagine. Ma è un personaggio
straordinario: verso il 1425 è l'uomo più famoso d' Italia, e nel
Quattrocento letterario è l'unico grande scrittore, insieme al
Boiardo. Andando per generi, fra i predicatori San Bernardino da
Siena è un gigante, in confronto a Gerolamo Savonarola e a
Bernardino da Feltre.
Forse sono poche le
persone che han voglia di dedicare qualche settimana a leggere San
Bernardino da Siena. In ogni caso, oggi l'occasione c' è: Rusconi
pubblica in due volumi di complessive 1.422 pagine il più famoso
ciclo di San Bernardino: Prediche volgari sul Campo di Siena,
1427. Il commento di Carlo Delcorno è più ricco di riferimenti
storici che di spiegazioni linguistiche, forse sarebbe stato utile un
glossario, ma non è giusto fare i sofistici. Un San Bernardino così
non l'avevamo mai avuto, adesso lo abbiamo, e dobbiamo tenercelo
caro.
Dedicando qualche
settimana a San Bernardino da Siena, oggi non risulta facile
apprezzare il suo stile, come predicatore. Egli segue i moduli
consueti: una citazioni biblica, analizzata in vari modi, con
ragionamenti suddivisi in paragrafi e sottoparagrafi, premesse,
riprese, riassunti. Non sono cose alle quali ci si possa più
abituare. Sembra più facile fissare l'attenzione su certe parti
delle prediche, in cui esce allo scoperto il temperamento del
predicatore e lo stile del letterato. Il temperamento del San
Bernardino predicatore è violentissimo, da inquisitore domenicano.
Questa affermazione è erronea. Fermiamoci un momento. San Bernardino
era francescano. Molti pensano che i francescani fossero buoni, come
Guglielmo di Baskerville, e che i domenicani fossero cattivi, come
Bernardo Gui che continua a torturare e bruciare streghe ed eretici
mentre Guglielmo ha abbandonato le pratiche crudeli e assurde
dell'Inquisizione.
Le cose sono andate un
po' più lentamente di quanto ci portino a pensare le semplificazioni
storiche e romanzesche. Cent'anni dopo le vicende del Nome della
rosa, San Bernardino è francescano ed è inquisitore, e si vanta
di aver fatto bruciare molte streghe, e minaccia roghi, e li sogna,
li vagheggia. San Bernardino non ha tenerezze nello stile dei
Fioretti di San Francesco. San Bernardino vuol colpire i suoi
ascoltatori con parole che siano colpi di balestre e di bombarde.
Parla una volta della propria infanzia e si ricorda che gli piaceva
giocare con balestre e con bombarde. San Bernardino non ama gli
animali. C'è un cane che passa per il Campo durante una predica e
lui urla: cacciatelo, dategli con una pianella! San Bernardino vede
Siena come un orrore, paragonabile alla New York di Andrew H. Vachss
(il cui notevole romanzo, Oltraggio, è stato recentemente
tradotto dalla nuova casa Interno Giallo). L'orrenda Siena, piaga
schifosa di tutti i vizi, sta in un'Italia che non è da meno: se
avessi dei figli, dice San Bernardino, non vorrei che vivessero in
questo paese: prima che compiano tre anni qualcuno ne abuserebbe.
Ma, appunto, San
Bernardino non è un cittadino rassegnato di Siena 1427 o di New York
anni 80, né un disadattato in fase terminale. È uno che reagisce.
Con violenza. Ha idee precise sulla corruzione mercantile e bancaria,
sugli ebrei, sui sodomiti, sulle meretrici, sull'ingiustizia della
Giustizia. Ci dà notizie precise sugli amministratori comunali che
tolgono l'approvvigionamento idrico alle carceri per darlo ai
bordelli.
Generalmente le antologie
scolastiche privilegiano, per dar un'idea del Bernardino scrittore,
gli esempi, apologhi, novellette, che sono in effetti esercizi di
stile narrativo. Forse altri predicatori erano più bravi, in questo.
Forse le mezze pagine che colpiscono di più i lettori d'oggi
(ammesso che ci siano) sono quelle in cui San Bernardino non
racconta, bensì descrive: descrive certi vestiti, certe pettinature.
In ogni caso chi abbia gusti analoghi a quelli, per dire, di Giorgio
Manganelli, trova in San Bernardino una lingua ricchissima di parole
belle e mostruose. E, per volare alto sulla noia delle parti
didattiche, sono sempre straordinarie le schegge bibliche, di Isaia o
di Giobbe. Queste sono le cose a cui non sono più abituati gli
ascoltatori di prediche odierne. E men che mai sono abituati a
sentirsele tirare in faccia nel latino della vecchia Bibbia, lingua
meravigliosa. Tra l'altro, spesso San Bernardino parlava latino, e
qualche volta non traduceva. Sapeva che lo capivano. Come avrebbero
ancora potuto capirlo i nostri nonni, i vostri bisnonni. I nipoti e
bisnipoti probabilmente non capiscono più neanche lacrymarum
valle. Per finire, San Bernardino adorava i giochi di parole, lo
onomatopee, certe mimiche da guittaccio. Chi apprezzerà ancora
questi trucchi tradizionali della predicazione francescana? Ma quanta
cattiveria c'è anche in queste ironie e autoironie! Una delle pagine
più memorabili è quella in cui prende in giro se stesso,
raccontando quando da ragazzo si mise in testa di fare l'eremita. Ce
l'aveva anche con gli eremiti, i padri spirituali, i pellegrinaggi.
Non gli andava bene niente.
“la Repubblica”, 17
marzo 1990
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