In
una “bustina” di circa un anno fa rilevavo l’infittirsi su
Internet di siti antirisorgimentali e filoborbonici. Ora appare sui
giornali che un terzo degli italiani è favorevole alla pena di
morte. Stiamo tornando al livello degli americani (fuck you
Beccaria), dei cinesi e degli iraniani. Altro commovente ritorno
al passato è il bisogno sempre più urgente di riaprire la case di
tolleranza, non dei locali moderni adatti al caso ma quelle case di
una volta, con gli indimenticabili pisciatoi all’ingresso e la
maitresse che gridava: “Ragazzi in camera, non facciamo
flanella!” Certo che, se tutto potesse avvenire con l’oscuramento
e magari il coprifuoco, sarebbe più gustoso. A proposito, il
concorso per le veline non fa pensare al sogno ricorrente delle
ballerine di fila dell’indimenticabile avanspettacolo?
Umberto Eco negli anni '50 del Novecento |
Nei
primi anni cinquanta Roberto Leydi e io avevamo deciso di fondare una
società antipatriottica. Era un modo di scherzare sull’educazione
che avevamo ricevuto durante l'infausta dittatura, che la patria ce
l’aveva condita in tutte le salse, sino alla nausea. Inoltre
stavano risorgendo gruppi neofascisti, e infine la televisione aveva
un solo canale in bianco e nero e bisognava pure trovare un modo di
passare le serate. La società antipatriottica assumeva come proprio
inno la marcia di Radetzky e si proponeva ovviamente di rivalutare la
dimensione morale di quella limpida figura di antirisorgimentale; si
auspicavano referendum per la restituzione del Lombardo-Veneto
all’Austria, di Napoli ai Borboni e naturalmente di Roma al papa,
la cessione del Piemonte alla Francia e della Sicilia a Malta; si
sarebbero dovuti abbattere nelle varie piazze d’Italia i monumenti
a Garibaldi e cancellare i nomi delle vie intitolate sia a Cavour che
a martiri e irredentisti vari; nei libri scolastici si dovevano
insinuare fieri dubbi sulla moralità di Carlo Pisacane e di Enrico
Toti. E via discorrendo.
La
società si era sciolta di fronte a una scoperta sconvolgente. Per
essere veramente antipatriottici e volere la rovina d’Italia
sarebbe stato necessario rivalutare il duce, e cioè chi l’Italia
l’aveva rovinata davvero, e dunque avremmo dovuto diventare
neofascisti. Ripugnandoci questa scelta, avevamo abbandonato il
progetto.
Noi
allora facevamo per ridere ma quasi tutto quello che avevamo allora
immaginato sta realizzandosi - anche se non ci era neppure passato
per la testa di voler fare con la bandiera nazionale quello che poi
Bossi ha annunciato di voler fare, e non ci era venuta in mente
l’idea veramente sublime di celebrare coloro che avevano ammazzato
i bersaglieri a Porta Pia.
A
quei tempi c'erano i democristiani al governo che si occupavano di
tenere la Chiesa a freno per proteggere la laicità dello Stato, e il
massimo di neoclericalismo era stato l’appoggio dato da Togliatti
al famigerato articolo 7 della Costituzione che riconosceva i Patti
Lateranensi. Già da un po’ di anni si era sciolto il movimento
dell’Uomo Qualunque che aveva sollecitato per un certo periodo
sentimenti antiunitari, diffidenze verso una Roma corrotta e ladrona,
o contro una burocrazia statale di fannulloni che succhiavano il
sangue della brava gente e laboriosa. Non ci passava neppure per
l’anticamera del cervello che atteggiamenti del genere sarebbero
stati un giorno quelli dei ministri della Repubblica.
Non
avevamo avuto l’idea luminosa che per svuotare di ogni dignità e
potere reale il parlamento bastava fare una legge pei cui i deputati
non venissero eletti dal popolo ma nominati prima delle elezioni dal
Capo. Ci pareva che auspicare un ritorno graduale alla Camera dei
Fasci e delle Corporazioni fosse idea troppo fantascientifica.
Volevamo
disfare l’Italia, ma gradualmente, e pensavamo ci volesse almeno un
secolo. Invece ci si è arrivati molto prima, e oltre all’Italia si
sta persino disfacendo l’Alitalia. Ma la cosa più bella è stata
che l’operazione non è dipesa dal colpo di stato di una punta di
diamante, i pochi generosi idealisti che eravamo, ma si sta
realizzando col consenso della maggioranza degli italiani.
2008
da Pape Satàn Aleppe, La Nave di Teseo, 2016
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