L'articolo che segue fa
il punto sull'iter della proposta di legge sulle tutele di chi –
nella pubblica amministrazione e nell'impiego privato – segnale
corruzione e magagne. È del gennaio 2016, ma da allora, cioè dalla
approvazione alla Camera dei Deputati, nessun passo avanti, tant'è
che a metà settembre 2017– per sollecitare la ripresa della
discussione e la rapida approvazione di una buona legge è – è
stata presentata una petizione da parte di “Riparte il futuro” e
Transarence Italia.
Fischietto artistico siciliano (Sciacca) |
«È durissima, ti senti
talmente isolata da mettere in dubbio la tua stessa persona, arrivi a
pensare di essere pazza. Il 99% dei colleghi sa, ma fa finta di
nulla». Due anni fa Mara Rossi (il nome è di fantasia), all'epoca
direttore generale di un importante ente pubblico, capisce che
qualcosa non va. «Appalti truccati, soldi dati sempre alle stesse
persone», racconta a pagina99, «segnalai più volte la cosa ai
membri del cda, ma senza esito, facevano finta di non capire. Non mi
restò che denunciare tutto alla Procura e alla Corte dei conti». È
così che arrivano i primi comportamenti ostili, poi le minacce
velate, quindi la revoca dell'incarico. In attesa che la giustizia
faccia il suo corso, oggi Mara passa le giornate «a vegetare in
ufficio», dice sconsolata: «Non mi fanno fare più nulla. Il
problema è la legge: ti dice denuncia, ma poi non ti dà nessuna
garanzia». Lo sa bene Ornella Piredda, l'ex funzionario regionale
della Sardegna che con le sue segnalazioni ha scatenato l'inchiesta
sulle spese pazze dei gruppi consiliari dell'isola. In dieci anni di
battaglie legali e tribolazioni varie, ci ha rimesso prima la casa,
poi la salute e infine anche il lavoro. «All'epoca ero
terrorizzata», ricorda, «mi era caduta addosso una cosa più grande
di me. In tutto questo tempo non mi ha tutelata nessuno, nemmeno la
procura».
Inaltre nazioni Mara e
Ornella non solo sarebbero protette, ma verrebbero addirittura
premiate dallo Stato. Nel mondo anglosassone esiste un termine
specifico, whistleblower (“suonatore di fischietto”), per
indicare chi sul posto di lavoro denuncia possibili irregolarità o
frodi ai danni di clienti, colleghi, azionisti o dello stesso ente in
cui presta servizio. Figure che nel Regno Unito come anche negli
Stati Uniti - da Benjamin Franklin a Sherron Watkins e Maureen
Castaneda per il caso Enron, passando per Linda Peeno, la
ricercatrice che nel 1996 puntò il dito contro il sistema sanitario
Usa – sono da tempo riconosciute e tutelate perché ritenute
indispensabili per combattere abusi di potere, malaffare, corruzione.
Proprio la lotta alla corruzione è stata nell'ultimo anno e mezzo
una delle note dolenti dell'azione di governo del premier Matteo
Renzi. Nonostante le riforme - inasprimento delle pene, termini di
prescrizione più lunghi, l'introduzione dei reati di falso in
bilancioe autoriciclaggio - non è mancato chi ne ha fatto notare le
contraddizioni, l'ultima l'innalzamento della soglia del contante.
Non solo il presidente dell'Associazione magistrati (Anm), Rodolfo
Sabelli, che ha bollato come «timide» le politiche dell'esecutivo,
ma anche osservatori esterni come l'ambasciatore degli Stati Uniti a
Roma John Phillips, secondo il quale «inasprire le pene non basta:
in Italia sarà più difficile combattere la corruzione senza una
legge sui whistle-blower».
Tanto più nell'era delle reti digitali, in presenza di élite che
dispongono di conoscenze sofisticate in grado di sfuggire ai
controlli delle pubbliche amministrazioni. Parliamo di fisco,
finanza, salute, ambiente. Ebbene, la novità è che il Pd ha da poco
presentatoin Parlamento una controversa proposta di legge per
regolamentare anche in Italia il whistle-blowing. L'iniziativa nasce
sulla scia di un'altra proposta deideputati del Movimento 5 Stelle
che, sulla falsariga del modello americano, prevedeva maggiori tutele
per i lavoratori che denunciano (ribaltamento dell'onere della prova
a carico del datore di lavoro in caso di ritorsioni, protezione
dell'identità fino al dibattimento nelle inchieste penali),un premio
in denaro tra il 15 e il 30% delle somme recuperate dallo Stato, la
possibilità di soffiate anonime se circostanziate. La discussione
sulla proposta M5S, redatta con la consulenza di Transparency
International, ha fatto emergere un ampio fronte istituzionale e
sociale -dal presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione
(Anac) Raffaele Cantone alla Confindustria, passando per Bankitalia,
l'Agenzia delle Entrate, il Garante della privacy, i sindacati -
favorevole al rafforzamento delle tutele per le gole profonde. Un
richiamo che non poteva essere ignorato dal Pd - anche per non
prestare il fianco ai 5Stelle su un tema, la legalità, centrale
nelle campagne elettorali del prossimo anno in città come Milano,
Roma e Napoli, scosse dai casi Expo, Mafia Capitale, De Luca e De
Magistris - ma che aveva subito fatto storcere il naso a Ncd, il suo
principale alleato. «Così com'è la proposta del M5S non passa»,
aveva confidato a pagina99 il deputato di Ap (Ncd-Udc) Antonio
Marotta, «con il premio e le segnalazioni anonime si rischia la
corsa alla delazione».
Detto, fatto. La scorsa
settimana il Pd ha emendato la proposta M5S con la propria,
eliminando i riferimenti al premio e agli anonimi e mandando su tutte
le furie i grillini che accusano il partito di Renzi di aver
annacquato la riforma.
Ma andiamo con ordine. Ad
oggi manca ancora nel nostro Paese una disciplina del whistleblowing
in grado di garantire tutele adeguate al dipendente (sia pubblico che
privato) che segnala illeciti nell'ambiente di lavoro, come previsto
da una serie di convenzioni internazionali (Onu,Ocse,
Consigliod'Europa) ratificate dell'Italia. Nel 2012 la legge Severino
ha introdotto per la prima volta la figura del whistleblower
nel nostro ordinamento, limitatamente alla Pubblica amministrazione.
Una norma che gli addetti ai lavori considerano inadeguata, quando
non disincentivante. «Non posso negare», conferma a pagina99 il
consigliere dell'Anac Nicoletta Parisi, tra i massimi esperti della
materia, «che oggi in Italia non abbiamo efficaci strumenti di
tutela del whistleblower». Di certo i risultati, anche per ragioni
culturali (la ritrosia a denunciare), non sono stati pari alle
attese. Da ottobre dello scorso anno a oggi l'Anac ha ricevuto
145segnalazioni, sei andate a buon fine, 34 archiviate e il resto
ancora in fase istruttoria.
Le «clamorose
défaillance» della legge attuale sono state evidenziate a più
riprese anche da Cantone: «la logica miope» del legislatore che si
è occupato solo del lavoro pubblico, il potenziale corrotto,
dimenticando i corruttori che vengono dal privato; la tutela carente
del segnalante, che può essere chiamato a risarcire
indipendentemente dalla volontà di calunniare o diffamare e che in
caso di ritorsioni deve attendere mesi prima che si attivi il
Dipartimento della funzione pubblica; la riservatezza, non garantita
nelle inchieste penali. Lo stesso Cantone aveva però anche «espresso
perplessità sulla “taglia”» prevista dalla proposta M5S, una
soluzione «di difficile applicazione pratica» in Italia. Secondo
chi, come l'economista Luigi Zingales (University of Chicago), ha
studiato il caso americano, proprio il miraggio della ricompensa è
uno dei fattori chiave del successo del whistleblowing negli Usa,
dove al segnalante è garantito tra il 15 e il 30% delle somme che
tornano allo Stato. Dal 1986, il governo americano ha recuperato
circa 60 miliardi di dollari e oggi i whistleblower contribuiscono
all'85% di tutto il recuperato. Per Parisi, una via percorribile in
Italia potrebbe essere quella di prevedere per chi segnala un
riconoscimento nell'ambito del rapporto di lavoro. Dunque, accanto a
«premi di tipo reputazionale, come la menzione sul sito della
pubblica amministrazione, forme più concrete, dagli avanzamenti di
carriera alle gratifiche in busta paga a fine anno, insieme a un
fondo per le spese, anche legali, che i segnalanti sono costretti a
sostenere».
C'è poi il nodo delle
soffiate anonime. Il nostro ordinamento valuta con sfavore queste
denunce, così l'attuale legge non garantisce tutele al segnalante
che non si palesa. La proposta M5S intendeva modificare tale assetto,
recependo le buone pratiche emerse dall'esperienza dell'Agenzia delle
Entrate (vedi l'articolo in basso) e del Comune di Milano, dove
esiste un sistema informatico di whistleblowing anonimo. Anche questa
soluzione è stata cassata dalla proposta del Pd, che sul premio
rinvia alla contrattazione collettiva (per la sola Pa), mentre per il
penale elimina la garanzia di riservatezza fino al dibattimento. In
compenso, nel settore pubblico vengono attribuiti maggiori poteri
all'Anac in caso di atti discriminatori e la responsabilità del
segnalante è limitata alla sola colpa grave. Quanto al privato, le
aziende, per non rischiare di incorrere nella responsabilità per i
reati commessi a proprio vantaggio dai dipendenti, dovranno adottare
modelli organizzativi (quelli della legge231 del 2001) che prevedano
tutele per i whistleblower. «La proposta del Pd è un passo in
avanti», rileva David Del Monte, direttore di Transparency Italia,
«ma sullatutela dell'identità del segnalante è poco chiara.
Rispetto alla proposta dei 5 Stelle c'è poi uno svuotamento delle
garanzie nel settore privato, previste solo per le società che
adottano la 231». Con buona pace di chi, come Zingales, da sempre
auspica maggiori incentivi per i whistleblower per sventare
tempestivamente fenomeni di malcostume consolidati, non solo nel
pubblico - si pensi al Mose o alla vicenda Saguto al tribunale di
Palermo - ma anche e soprattutto nel privato, come insegnano i casi
Parmalat, Cirio, Mps.
È proprio qui che la
vita del whistleblower è oggi più difficile. La prassi prevede il
licenziamento, seguito dalla denuncia per false attestazioni e dalla
causa di risarcimento per aver attentato al buon nome della società.
C'è chi decide di correre il rischio, come Andrea Franzoso, il
funzionario di Ferrovie Nord autore dell'audit che quest'anno ha
incastrato l'ex presidente Norberto Achille. Ma la maggior parte
preferisce tacere e mantenere il posto.
Pagina 99, 23 gennaio
2016
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