1966 - La frana di Agrigento |
Il 19 luglio 1966 una
frana si abbatté su Agrigento, producendo crolli e obbligando circa
un quarto dei residenti ad abbandonare le abitazioni pericolanti. Fu
subito evidente che all'origine del disastro era il mostruoso
disordine urbanistico ed edilizio della città, con i famosi “tolli”
che si ergevano dove non avrebbero dovuto essere e che tutto ciò era
conseguenza di un sistema di potere mafioso-clientelare potente e
ramificato.
Si parlò, a buona ragione, del “sacco di Agrigento”.
Si parlò, a buona ragione, del “sacco di Agrigento”.
C'erano già state
denunzie e inchieste sull'abnorme crescita della città e perfino
sulle frane, ma venivano sistematicamente ignorate. Fece ridere mezzo
mondo l'intervista al sindaco di Agrigento, il prof. Ginex, fratello
di un rinomato monsignore. Disse: “Smentisco quel che si dice in
giro: non si sapeva che quella fosse una zona franosa”. Il
giornalista insisteva: “Ma tre anni fa, per un'altra frana, non è
rimasta lesionata anche la cattedrale?”. E lui: “Io sono sindaco
solo da un anno e mezzo, cosa vuole che le dica?”.
Il ministro dei Lavori
Pubblici, il socialista Mancini, mandò un integerrimo ispettore,
Martuscelli, che con rigore espose nella sua relazione fatti e
misfatti. Il ministro promise provvedimenti straordinari e punizioni
esemplari per i responsabili. Il suo sottosegretario democristiano,
il deputato agrigentino Giglia, smorzava, lasciava intendere che –
passato il momento critico – le cose si sarebbero aggiustate.
Il partito comunista
italiano, nella denuncia del “sacco d'Agrigento” s'impegnò al
massimo livello. Ad agosto tenne un durissimo comizio nella città
dei templi Mario Alicata, prestigioso membro della segreteria
nazionale. Ebbi la ventura di parteciparvi e ne conservo ancora viva
l'emozione.
Al dibattito in Assemblea
Regionale Siciliana intervenne Pio La Torre, segretario regionale del
PCI. Fu un discorso teso e vibrante, una vera e propria requisitoria
contro il sistema di potere politico-mafioso incardinato nella DC. È riportato nei verbali dell'ARS ed è consultabile integralmente nel sito del Centro Studi intitolato a Pio La Torre. Ne
riprendo qui uno stralcio, dedicato alla situazione politica e
amministrativa di Agrigento e della sua provincia. (S.L.L.)
Pio La Torre |
[…]
Si tratta di
un’eccezione? No, noi sappiamo qual è la gravità del fenomeno
della speculazione edilizia e del clientelismo mafioso in tutte le
città siciliane. Per quanto riguarda la Sicilia occidentale la
documentazione, presentata da noi comunisti per Palermo, Trapani,
Agrigento e Caltanissetta alla Commissione antimafia, rappresenta una
vera e propria radiografia del sistema di potere dominante. Il
rapporto Bevivino per Palermo non ha fatto altro che elencare un
certo numero di fatti ormai di dominio pubblico senza approfondire
l’inchiesta per colpire i veri responsabili.
Ma perché la situazione
di Agrigento si configura oggi come la più scandalosa e la più
mostruosa? C’è una spiegazione politica.
Subito dopo la
liberazione, Agrigento si caratterizzò come la provincia siciliana
con la maggiore arretratezza economica e sociale, con le maggiori
contraddizioni e nello stesso tempo come la provincia politicamente
più avanzata dell’Isola. Il movimento contadino e operaio, sotto
le bandiere comuniste e socialiste, irruppe sulla scena politica con
una forza travolgente. Che risposta seppero dare le classi dominanti
alla fame di libertà e di terra dei contadini agrigentini? La
risposta fu quella della repressione, il tentativo di ricacciare
indietro quel movimento. Ma fatta questa scelta si capì che non era
possibile fermare le masse contadine di Canicattì o Campobello, di
Sciacca o di Favara, di Raffadali o di Cattolica, di Sambuca o di
Santa Margherita Belice nell’ambito della legalità repubblicana.
Ecco perché subito in quella provincia avvenne la compenetrazione
tra mafia e potere costituito. L’assassinio di Miraglia, segretario
della Camera del Lavoro di Sciacca, e il modo con cui non si vollero
scoprire i mandanti del delitto mette in evidenza questa
compenetrazione. In molti comuni marescialli dei carabinieri,
commissari di pubblica sicurezza, mafia, banditi e forze
conservatrici locali sono in combutta.
Spezzatasi sul piano
nazionale l’unità delle forze antifasciste e la collaborazione dei
tre grandi partiti di massa, estromessi comunisti e socialisti dal
governo, avviene la restaurazione capitalista e la classe dominante
nazionale inizia l’azione di erosione dello Statuto e della
Autonomia. Per realizzare questo obiettivo essa ha bisogno in Sicilia
di gruppi di potere subalterni, che non contestino la politica
antimeridionalistica e antisiciliana, ma anzi la assecondino, avendo
in cambio mano libera nella politica di sottogoverno, del
clientelismo, della speculazione, della corruzione amministrativa.
Tutto ciò nelle particolari condizioni di arretratezza economica e
sociale dell’agrigentino ha condotto ai risultati mostruosi che
oggi constatiamo.
Quali sono i risultati di
questa politica? Negli ultimi dieci anni sono fuggite le migliori
energie: 80.000 emigrati, interi comuni svuotati; il quaranta per
cento della popolazione. Comuni come Cattolica svuotati del 40 per
cento della popolazione.
La riforma agraria è
stata tradita con la vendita fasulla delle terre e l’arricchimento
dell'intermediazione mafiosa. Ancora oggi si continua su questa
strada, nonostante le manifestazioni contadine che hanno scosso la
provincia di Agrigento.
A Campobello, uno dei
feudi richiesti dai contadini l’anno scorso, è stato venduto in
questi mesi agli emigrati dall’agrario per circa 200 milioni. Ecco
come si perpetua la politica di sempre a danno del Mezzogiorno. A
Campobello c’è sindaco l’onorevole Giglia, con l’appoggio del
centrosinistra, e Giglia non fa fare la riforma agraria ma assume —
proprio in questi mesi - trenta dipendenti.
E quale è la politica
che è stata seguita nel settore minerario? Quello che avete
consentito di fare ad un gruppo di sfruttatori parassiti? Voglio
citare un solo caso: la più importante miniera, la «Lucia», che
rappresentava la speranza per centinaia di operai, l’avete lasciata
in mano al vostro amico, ingegnere Ippolito, che ha ricevuto più di
un miliardo di finanziamenti. Oggi l’Ente minerario siciliano
riceve una triste eredità di opere da rifare e solo 80 operai
occupati.
E qual è la politica per
la industrializzazione? Avete puntato tutto sulla Montecatini a cui
avete consegnato tutte le risorse del sottosuolo e ben tredici
miliardi di finanziamenti.
In questa drammatica
situazione economica e sociale si è sviluppato il boom edilizio
agrigentino su cui disserta stamani, sul “Giornale di Sicilia”
l’amico Aristide Gunnella.
Mentre la provincia si
spopolava, il capoluogo si gonfiava come un tumore mostruoso,
cosicché al momento della frana Agrigento contava 50 mila abitanti:
in dieci anni è aumentata di 10 mila abitanti cioè 1000 abitanti in
più all’anno. Ad Agrigento la massa fondamentale dell’occupazione
è data dai pubblici dipendenti; 8 mila pubblici dipendenti su 50
mila abitanti! Credo che sia una percentuale da record del mondo.
Mille impiegati alla provincia, di cui 350 distaccati presso altri
enti, cioè galoppini; 500 impiegati al comune; 170 netturbini di cui
50 non conoscono l’uso della scopa; l’ospedale psichiatrico ha
350 infermieri su 700 ricoverati e di questi 350 infermieri solo 100
stanno nelle corsie, mentre il resto sono per «incarichi speciali».
Ora, in una situazione come questa, prevale l’arte di arrangiarsi
ed è su questa base, la raccomandazione per il lavoro, per la casa,
per il sussidio, per il passaporto, per il porto d’armi, per ogni
tipo di licenza amministrativa, del favoritismo, della
discriminazione e della corruzione, che si è fondato un vasto
sistema di potere.
Tutto viene investito da
questo sistema: ogni ente, ogni organo dello Stato e della Regione
deve soggiacere a questa legge. Tutto si corrompe e degenera. Si è
imposto alla Regione di acquistare l’albergo dei templi con
l’argomento che questo serviva alla valorizzazione turistica della
città. Si sono spese decine e decine di milioni, dopo di che a che
punto siamo? L’albergo è chiuso, si dice che è cadente, colui che
è preposto alla sua amministrazione ha costruito a 50 metri di
distanza l’albergo della valle, ottenendo lauti contributi dalla
amministrazione regionale. Non solo, ma continua a ricoprire la
carica di amministratore dell’ente e nel bilancio di previsione del
1966 delle aziende autonome speciali leggo che quest’anno vi sono
10 milioni in bilancio per pagare stipendi ai funzionari e accessorie
a consiglieri di amministrazione del fantomatico ente. Ecco come
stanno le cose, qual è la concezione del potere. Ho saputo di un
grosso scandalo che ha investito l’istituto professionale per il
turismo, l’industria e l’artigianato; uno scandalo per cui c’è
stata una inchiesta, ma le cose restano in gran parte in famiglia e
non se ne fa nulla; così come non si è saputo più nulla per
l’inchiesta all’istituto magistrale di Ribera sulla
compra-vendita delle promozioni.
[...] In queste
condizioni i cittadini, gli elettori finiscono col convincersi che il
diritto è una beffa, e che il problema invece è farsi «proteggere».
Nel corso della campagna elettorale capita a noi — dirigenti del
Partito comunista — di parlare con dei cittadini che ci dicono:
«Si, voi comunisti avete ragione ma non potete fare nulla, non siete
al potere. Io so che l’onorevole tal dei tali mi ha fatto un
importante favore». Qual è difatti l’attività fondamentale di
molti deputati della Democrazia cristiana? Sbrigare le pratiche degli
elettori. Conversando con qualcuno di noi cosa ci sentiamo dire:
«Fortunato tu che sei nel Partito comunista, da voi le preferenze
sono un'altra cosa. Io invece debbo stare dietro ad una miriade di
pratiche e sapessi quanto mi costa di fatica e anche di spesa; di
sole lettere, francobolli e non parliamo di sussidi ai capi-elettori,
ed ecco che lo stipendio di deputato diventa un’inezia». Ci
vogliono tanti soldi per fare politica di questo tipo, ed ecco allora
l’ingranaggio dell’involuzione politica ed amministrativa che
travolge anche chi tra voi aveva cominciato con le migliori
intenzioni. .Ci sono deputati democristiani che non hanno mai fatto
un comizio, un discorso, una conferenza o scritto un articolo, di cui
sarebbe invece interessante esaminare l’archivio.
Si dice che l’onorevole
Volpe abbia un archivio con 80 mila indirizzi di beneficati che poi
vengono visitati dai capi elettori con «coppola storta» o con
cravatta, nel corso della campagna elettorale: che l’onorevole
Volpe sarebbe seguito a ruota dall’onorevole Bontade di Palermo e
così gli altri. In queste condizioni, con questo sistema di potere
da voi creato non rimane spazio per una dialettica politica fondata
su una gerarchia di valori. E questo fu denunciato a suo tempo dal
professore Gaspare Ambrosini che dovette fuggire dalla provincia di
Agrigento. Ci viene da ridere quando l’onorevole Rumor ci dice che
ciò che ci divide è la concezione dello Stato, della democrazia.
Ad Agrigento nella
Democrazia cristiana la concezione dominante è stata quella della
eliminazione fisica dei concorrenti con la lupara. Campo, Eraclide
Giglio, Montaperto, eliminati con la violenza, erano concorrenti
pericolosi.
Il Commissario Tandoi,
ucciso, sapeva troppo e minacciava di parlare dopo che era stato
trasferito a Roma.
Onorevoli colleghi, la
frana che nel mese scorso ha colpito Agrigento è una tragedia che ci
impone di prendere tutte le misure necessarie per aiutare le famiglie
colpite a ricostruirsi la casa, la bottega, il negozio, il lavoro,
una vita.
Il nostro partito
inviando per primo, il 23 luglio, una autorevole delegazione
parlamentare sul posto, ha indicato proposte precise per dare
l’assistenza immediata ai sinistrati e per affrontare su basi serie
il problema della ricostruzione urbanistica, per assicurare il lavoro
a chi lo ha perduto.
Il prefetto di Agrigento
ha dovuto dare atto della validità di molte proposte accogliendo per
prima quella della requisizione degli alloggi, che ha consentito in
poco tempo di liquidare lo sconcio delle tendopoli. Abbiamo fatto
appello alla solidarietà dei comuni popolari e la risposta è stata
pronta e generosa e solo le difficoltà ambientali, la mancanza di
collaborazione degli amministratori agrigentini non ci hanno
consentito di fare tutto quello che era possibile; 130 bambini stanno
avviandosi alle colonie adriatiche dei comuni emiliani.
Lascio ai compagni
parlamentari di Agrigento il compito di illustrare le proposte che
noi presentiamo per la ricostruzione della città e per assicurare
una ripresa immediata della occupazione operaia agrigentina. Ci sono
molte cose da precisare e da definire di intesa con il Governo
nazionale a proposito del decreto dei venti miliardi e della parte
che deve mettere la Regione ed in particolare quanto la Regione deve
fare con urgenza.
Io voglio fare solo poche
altre considerazioni a conclusione di questo mio intervento. Che
lezione dobbiamo trarre dalle vicende di Agrigento?
Noi abbiamo dato atto al
ministro Mancini del suo impegno di voler fare luce sulle
responsabilità per punire i responsabili; abbiamo dato atto a quei
dirigenti del Partito socialista e del Partito repubblicano e a tutti
coloro che hanno appoggiato almeno sino ad oggi l’azione del
ministro per spezzare tutti i tentativi della Democrazia cristiana di
fare quadrato attorno ai gruppi di potere agrigentini. Ma parliamoci
chiaro, qui non si tratta di fare volare alcuni stracci o di fare
pagare soltanto alcuni funzionari statali che hanno avallato gli
scandali, trasferendoli in altra sede. Qui si tratta di aggredire un
sistema di potere che è il vero responsabile della situazione che si
è verificata ad Agrigento. Ora, quando Ì dirigenti regionali del
Partito socialista italiano, dopo avere contestato ai gruppi di
potere della Democrazia cristiana agrigentina la loro responsabilità,
concludono riproponendo come soluzione politica quella della
estensione della formula di centro-sinistra a quel comune, finiscono
con il tradire tutte le loro affermazioni. Il comune di Agrigento è
stato la culla del centro-sinistra.
Ricordo ancora l’articolo
entusiasta pubblicato sull'“Avanti!”,
scritto dal mio caro amico Pietro Ancona, con cui si annunziava, nel
lontano 1960, all’Italia e al mondo che al comune di Agrigento si
era insediata la prima giunta di centro-sinistra. Ma quella giunta
non ha intaccato nulla nel sistema di potere della Democrazia
cristiana, anzi ha un poco infangato i socialisti, compromettendoli
in alcune operazioni che oggi i democristiani locali cercano di
utilizzare come arma di ricatto nel corso di questo dibattito per
dire che sono tutti compromessi.
Né le cose sono andate
meglio negli altri comuni della provincia dove Lauricella e i suoi
compagni hanno voluto esportare il centro-sinistra. Non parliamo poi
della situazione dell’amministrazione provinciale di Agrigento,
dominata ormai da molti anni dal centro-sinistra. Lì c’è una
paralisi permanente, un susseguirsi di crisi.
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