Il Socrate del Louvre |
Il piacere trasmesso
dalle liste è qualcosa di misterioso e, per quanto studiato e
analizzato, mai completamente spiegabile. È un piacere intellettuale
originato dalla capacità di individuare all'interno di un insieme
caotico un sottoinsieme di elementi che presentino analogie. Nel
momento stesso in cui la lista è composta colui che l'ha compilata
gode un suo trionfo, perché saper individuare nel "mare
dell'oggettività" il principio aureo di una regola vuole anche
dire conoscere ciò che appunto regge quel che accade.
Il compilatore di liste e
cataloghi esercita così un dominio (regola e reggere sono
corradicali di rex) di fatto governativo sulla varietà dei
fenomeni, portandone allo scoperto l'intima natura. Si tratta della
stessa ragione che sta alla base della figura dell'enumeratio,
un artificio retorico dall'appeal intramontabile. Dunque
imbattersi nel libro di Dino Baldi Morti favolose degli antichi
(Quodlibet, 2010),
costruito sfacciatamente senza centro e tutto risolto nella
narrazione delle morti illustri dei più svariati personaggi storici
dell'antichità greca e latina, è qualcosa che non può lasciare
indifferenti. Innanzitutto per il ritmo impresso dall'autore alle
varie storie, un ritmo accortamente variato e adattato alle
caratteristiche dei personaggi, un ritmo generalmente veloce, ma che
rallenta ad arte in alcuni dei casi più rilevanti o eclatanti. Il
libro si regge tutto sulla capacità di ri-raccontare storie in gran
parte conosciute sui banchi di scuola, talora apprese dai libri di
storia, talaltra rischiarate a seguito di tenzoni più o meno
estenuanti con l'originale greco o latino, schierate alle ali le
truppe degli alleati, ovvero dizionario e manuale di grammatica.
Baldi colloca i
personaggi, che hanno dunque tutti un'aria di famiglia, in relazione
alla sorte finale secondo ordini piuttosto canonici: Morti di
poeti, di atleti e pensatori, Morti di popoli, città ed
eserciti, Celesti sparizioni, Selvaggi omicidi, un
vivace Suicidi controvoglia, seguito da un fermo Suicidi a
testa alta, per chiudere con Quasi morti, quasi vivi. Non
tutti i personaggi sono giganti dell'antichità, insigni per guerre
combattute e vinte (o perse), eloquenza, forza d'animo, famosi per
scintillanti virtù o famigerati per turpitudine. Sono elencati anche
i casi di personaggi minori o minimi, dei quali sono narrati con
vivacità i momenti che precedono la morte e le ragioni che li
condussero a varcare le soglie dell'Ade.
Due sono le principali
ragioni di forza di questo libro. Una è la struttura, in questo caso
quella del catalogo. Dunque il libro rinverdisce i fasti delle Vite
parallele di Plutarco o quelli assai più discreti dei Cataloghi
di quel genio strambo e irregolare che fu Ortensio Lando, il quale
nel 1552 consegnava all'editore Giolito un tomo di 567 pagine (in
realtà un plagio dell'Officina di Jean Tixier de Ravisy) nel
quale passava in rassegna una serie sterminata di personaggi del
passato e del presente. Adulteri, adultere, iracondi, sdegnosi,
avari, amanti della patria, coppie illustri di amici; e poi le morti,
le più svariate (coloro che uccisero i figlioli, i padri, le mogli,
i mariti, coloro che furono ammazzati dai cani, dal troppo mangiare,
bere o ridere, dei suicidi e via di seguito).
Sulla scorta di tali
modelli, Baldi si è messo a setacciare l'antichità per estrarne in
bella e ordinata successione alcune tra le morti più singolari o
insigni. Vale la pena rammentare che questo è il n. 20 della collana
«Compagnia Extra», inaugurata dal felliniano Viaggio di
Mastorna; una collana, diretta da Ermanno Cavazzoni, che ha
ospitato tra gli altri, Celati, Cornia, Perec, Kafka, oltre allo
stesso Cavazzoni. Extra come extravaganti, e stravaganti questi
volumi lo sono in un senso tutto cavazzoniano, dove la bizzarria e la
melanconia, l'ordine e la furia, si mischiano e vanno a prender
sembianza geometricissima all'interno di una forma sagomata a regola
d'arte. Vita e morte qui non hanno il carattere di eventi
accidentali, poiché anche il caso è una variabile misurabile. Non
perché non si possa vivere e morire per un accidente imprevisto,ma
perché in questo contesto gli eventi – selezionati ed estratti
dagli autori della classicità greca e latina – hanno in sé il
crisma dell'esemplarità. Ci tiene lontano dal mondo antico, oggi, il
presupposto della singolarità degli eventi. Ciò che accade sarebbe
il risultato della pressione della storia su di un unico punto, nel
quale verrebbe a concretizzarsi qualcosa che non poteva trovare
realizzazione né prima né dopo. E invece in questo catalogo le
morti (e le vite) sono appunto favolose, tracciate secondo una logica
di affabulazione, già consumate fino al punto di svelare la
struttura segreta del narrabile, e i protagonisti non hanno altro
compito che inverare con la loro vicenda ciò che doveva
necessariamente giungere a compimento. Oracoli, vaticinî, segni del
cielo non impediscono gli appuntamenti fatali.
Altra ragione di forza
del libro sta in un dissimulato intento morale. Cosa ben difficile da
dimostrare stanti il titolo e il contenuto dichiarato. Dino Baldi
parla con foga della morte di Cicerone, dei Gracchi, di Eliogabalo,
di Ipazia e di Orazia, di Empedocle e di Eraclito, di Socrate e di
Lucrezio, e talora vengono offerti particolari raccapriccianti dei
vari modi di morire, come se il paleolitico avesse chiuso i battenti
solo il giorno prima. Il lettore dopo i primi, letti per pura
curiosità, per il gusto dell'anamnesi, per il gioco del "chi è
il prossimo?", comincia a capire che non è affatto un gioco di
erudizione, di messa in pulito di fonti (pure diligentemente annotate
in appendice e indicate voce per voce), non si tratta di un testo
autoreferenziale per antichisti misantropi. Il disegno del volume si
scopre a lettura inoltrata, quando la folla di personaggi evocati
grazie all'intervento medianico di Livio, Diodoro Siculo, Appiano,
Plutarco, Erodoto e Polibio e Dio sa quanti altri, comincia a
prendere l'aspetto di una galleria di antenati le cui gesta splendono
nel bene o nel male fino ad oggi. Personaggi con i quali il confronto
è reso obbligatorio da un orizzonte comune di senso, vogliamo
chiamarlo aretè, virtus o in altro modo, un "valore"
con cui ognuno è chiamato a confrontarsi. Che abbiano scritto le
Filippiche o inventato la manus ferrea, questi
personaggi sono diventati esemplari perché la loro vita è diventata
pubblica ed esemplare è il senso delle loro morti, qui narrate nella
disposizione ordinata e coerente di un memento: che la vita sia una
rappresentazione cui l'ultimo atto appone il sigillo di
autenticazione. Per questo i guerrieri di Leonida si pettinarono con
cura a poche ore dallo scontro con gli innumerevoli persiani e Lucio
Bruto e Tito Manlio assistettero all'esecuzione dei rispettivi figli
con volto impassibile.
Ci ritraiamo da questo
libro documentatissimo e fantastico, pieno di esemplari virtù e di
altrettanto esemplari vizi, con la conferma che un savio novellatore
è in grado di fornire alle singole storie, anche a quelle del
passato, una sorta di energia cinetica che rende quelle storie
perfettamente solidali tra loro e piene di senso per chi le legge
oggi.
«Alias-il manifesto» 15
gennaio 2011
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