22.8.15

Antichi. Una morte da favola, un trapasso da catalogo (Graziella Pulce)

Il Socrate del Louvre
Il piacere trasmesso dalle liste è qualcosa di misterioso e, per quanto studiato e analizzato, mai completamente spiegabile. È un piacere intellettuale originato dalla capacità di individuare all'interno di un insieme caotico un sottoinsieme di elementi che presentino analogie. Nel momento stesso in cui la lista è composta colui che l'ha compilata gode un suo trionfo, perché saper individuare nel "mare dell'oggettività" il principio aureo di una regola vuole anche dire conoscere ciò che appunto regge quel che accade.
Il compilatore di liste e cataloghi esercita così un dominio (regola e reggere sono corradicali di rex) di fatto governativo sulla varietà dei fenomeni, portandone allo scoperto l'intima natura. Si tratta della stessa ragione che sta alla base della figura dell'enumeratio, un artificio retorico dall'appeal intramontabile. Dunque imbattersi nel libro di Dino Baldi Morti favolose degli antichi (Quodlibet, 2010), costruito sfacciatamente senza centro e tutto risolto nella narrazione delle morti illustri dei più svariati personaggi storici dell'antichità greca e latina, è qualcosa che non può lasciare indifferenti. Innanzitutto per il ritmo impresso dall'autore alle varie storie, un ritmo accortamente variato e adattato alle caratteristiche dei personaggi, un ritmo generalmente veloce, ma che rallenta ad arte in alcuni dei casi più rilevanti o eclatanti. Il libro si regge tutto sulla capacità di ri-raccontare storie in gran parte conosciute sui banchi di scuola, talora apprese dai libri di storia, talaltra rischiarate a seguito di tenzoni più o meno estenuanti con l'originale greco o latino, schierate alle ali le truppe degli alleati, ovvero dizionario e manuale di grammatica.
Baldi colloca i personaggi, che hanno dunque tutti un'aria di famiglia, in relazione alla sorte finale secondo ordini piuttosto canonici: Morti di poeti, di atleti e pensatori, Morti di popoli, città ed eserciti, Celesti sparizioni, Selvaggi omicidi, un vivace Suicidi controvoglia, seguito da un fermo Suicidi a testa alta, per chiudere con Quasi morti, quasi vivi. Non tutti i personaggi sono giganti dell'antichità, insigni per guerre combattute e vinte (o perse), eloquenza, forza d'animo, famosi per scintillanti virtù o famigerati per turpitudine. Sono elencati anche i casi di personaggi minori o minimi, dei quali sono narrati con vivacità i momenti che precedono la morte e le ragioni che li condussero a varcare le soglie dell'Ade.
Due sono le principali ragioni di forza di questo libro. Una è la struttura, in questo caso quella del catalogo. Dunque il libro rinverdisce i fasti delle Vite parallele di Plutarco o quelli assai più discreti dei Cataloghi di quel genio strambo e irregolare che fu Ortensio Lando, il quale nel 1552 consegnava all'editore Giolito un tomo di 567 pagine (in realtà un plagio dell'Officina di Jean Tixier de Ravisy) nel quale passava in rassegna una serie sterminata di personaggi del passato e del presente. Adulteri, adultere, iracondi, sdegnosi, avari, amanti della patria, coppie illustri di amici; e poi le morti, le più svariate (coloro che uccisero i figlioli, i padri, le mogli, i mariti, coloro che furono ammazzati dai cani, dal troppo mangiare, bere o ridere, dei suicidi e via di seguito).
Sulla scorta di tali modelli, Baldi si è messo a setacciare l'antichità per estrarne in bella e ordinata successione alcune tra le morti più singolari o insigni. Vale la pena rammentare che questo è il n. 20 della collana «Compagnia Extra», inaugurata dal felliniano Viaggio di Mastorna; una collana, diretta da Ermanno Cavazzoni, che ha ospitato tra gli altri, Celati, Cornia, Perec, Kafka, oltre allo stesso Cavazzoni. Extra come extravaganti, e stravaganti questi volumi lo sono in un senso tutto cavazzoniano, dove la bizzarria e la melanconia, l'ordine e la furia, si mischiano e vanno a prender sembianza geometricissima all'interno di una forma sagomata a regola d'arte. Vita e morte qui non hanno il carattere di eventi accidentali, poiché anche il caso è una variabile misurabile. Non perché non si possa vivere e morire per un accidente imprevisto,ma perché in questo contesto gli eventi – selezionati ed estratti dagli autori della classicità greca e latina – hanno in sé il crisma dell'esemplarità. Ci tiene lontano dal mondo antico, oggi, il presupposto della singolarità degli eventi. Ciò che accade sarebbe il risultato della pressione della storia su di un unico punto, nel quale verrebbe a concretizzarsi qualcosa che non poteva trovare realizzazione né prima né dopo. E invece in questo catalogo le morti (e le vite) sono appunto favolose, tracciate secondo una logica di affabulazione, già consumate fino al punto di svelare la struttura segreta del narrabile, e i protagonisti non hanno altro compito che inverare con la loro vicenda ciò che doveva necessariamente giungere a compimento. Oracoli, vaticinî, segni del cielo non impediscono gli appuntamenti fatali.
Altra ragione di forza del libro sta in un dissimulato intento morale. Cosa ben difficile da dimostrare stanti il titolo e il contenuto dichiarato. Dino Baldi parla con foga della morte di Cicerone, dei Gracchi, di Eliogabalo, di Ipazia e di Orazia, di Empedocle e di Eraclito, di Socrate e di Lucrezio, e talora vengono offerti particolari raccapriccianti dei vari modi di morire, come se il paleolitico avesse chiuso i battenti solo il giorno prima. Il lettore dopo i primi, letti per pura curiosità, per il gusto dell'anamnesi, per il gioco del "chi è il prossimo?", comincia a capire che non è affatto un gioco di erudizione, di messa in pulito di fonti (pure diligentemente annotate in appendice e indicate voce per voce), non si tratta di un testo autoreferenziale per antichisti misantropi. Il disegno del volume si scopre a lettura inoltrata, quando la folla di personaggi evocati grazie all'intervento medianico di Livio, Diodoro Siculo, Appiano, Plutarco, Erodoto e Polibio e Dio sa quanti altri, comincia a prendere l'aspetto di una galleria di antenati le cui gesta splendono nel bene o nel male fino ad oggi. Personaggi con i quali il confronto è reso obbligatorio da un orizzonte comune di senso, vogliamo chiamarlo aretè, virtus o in altro modo, un "valore" con cui ognuno è chiamato a confrontarsi. Che abbiano scritto le Filippiche o inventato la manus ferrea, questi personaggi sono diventati esemplari perché la loro vita è diventata pubblica ed esemplare è il senso delle loro morti, qui narrate nella disposizione ordinata e coerente di un memento: che la vita sia una rappresentazione cui l'ultimo atto appone il sigillo di autenticazione. Per questo i guerrieri di Leonida si pettinarono con cura a poche ore dallo scontro con gli innumerevoli persiani e Lucio Bruto e Tito Manlio assistettero all'esecuzione dei rispettivi figli con volto impassibile.
Ci ritraiamo da questo libro documentatissimo e fantastico, pieno di esemplari virtù e di altrettanto esemplari vizi, con la conferma che un savio novellatore è in grado di fornire alle singole storie, anche a quelle del passato, una sorta di energia cinetica che rende quelle storie perfettamente solidali tra loro e piene di senso per chi le legge oggi.


«Alias-il manifesto» 15 gennaio 2011

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