Ho tratto l'articolo che
segue e le foto che lo corredano (di Robert Van der Hilst) da un
numero di “Qui Touring”, il mensile di viaggi e informazioni
turistiche che il Touring Club Italia inviava ai suoi soci del 1981
(il mese potrebbe essere maggio, ma nel ritaglio non trovo
indicazioni). L'autore è di chiesa, ma la sua rappresentazione delle
condizioni delle popolazioni contadine e, in particolare, degli
indios, è concreta e
documentata e dà conto del clima generalizzato di rivolta. Qualche
anno dopo arriveranno il sub-comandante Marcos e la rivolta
zapatista. (S.L.L.)
Più di diecimila alla festa di San Juan de Chamula |
Tra la fine di gennaio e
la metà del febbraio scorso, alcuni avvenimenti, relativamente
clamorosi, hanno scosso di nuovo la vita, fino a qualche anno fa
sonnolenta e antica, dello stato messicano del Chiapas, nel profondo
sud del paese.
A El Carmen, cittadina
settentrionale della regione, dodicimila contadini hanno bloccato più
volte l’entrata di un complesso petrolchimico statale per
protestare contro il mancato pagamento dei risarcimenti promessi in
cambio delle terre sottratte alla coltivazione e dei danni prodotti
dall’inquinamento. Le manifestazioni sono state pacifiche e di
breve durata, ma i contadini hanno dichiarato di essere decisi a
ripeterle fino a quando non otterranno quello che chiedono.
A San Juan de Chamula,
borgo posto a 2.000 metri d’altezza, nella regione centrale, ancora
splendida e incontaminata, del Chiapas, altri contadini hanno
celebrato, con una partecipazione più intensa di quella degli anni
passati, la festa della purificazione, una delle tante dedicate in
questo periodo al risveglio della natura, secondo credenze e riti
millenari.
Buona parte dei contadini
protestatari di El Carmen erano indios; quelli di San Juan sono tutti
indios discendenti da quel mosaico di popoli sparsi da tempi
immemorabili nell’America centrale prima della conquista spagnola.
Il Messico può menarne
addirittura vanto: conta infatti più indigeni precolombiani di
quanti possano sommarne tutte le altre nazioni del continente. Gli
indios messicani di sangue puro sono circa 6.000.000 su un totale di
67.400.000 abitanti. Tra i 73 gruppi etnici finora classificati, i
più numerosi sono gli zapotechi, i mixtechi, i maya, gli otomies e i
nahua, eredi degli aztechi, ultimi dominatori dell’antico Messico,
a cui tolsero potere e ricchezze nel 1520-21 alcune centinaia di
spagnoli guidati da Hernàn Cortés. Questi e altri gruppi, di cui ci
occupiamo un po’ più diffusamente nel riquadro a pagina 65,
parlano lingue diverse (gli studiosi ne distinguono 58 con 183
sottovarianti e dialetti), non conoscono o conoscono a malapena lo
spagnolo, la lingua ufficiale della nazione, e hanno conservato, è
vero, una parvenza di autonomia culturale e politica, ma a prezzo di
condizioni d'esistenza autarchiche e dolorose. Già nel 1937, Pio XI
li definiva «uomini talmente travagliati dalle angustie della vita
da non potere neppure conservare la dignità umana». Da allora la
situazione non è molto cambiata e a questo riguardo il Chiapas può
servire da modello esemplare.
Ottavo stato del Messico
per grandezza, con una superficie di 74.000 chilometri quadrati,
ospita circa 350.000 indios (per lo più tzotzil, tzeltales, toques e
tojolables) su poco più di 2.000.000 d’abitanti. Fino a cinque
anni fa era terra di latifondismo e di perseverante sfruttamento; dal
1976, dopo la scoperta del petrolio, è diventata anche zona di
frontiera. Dall’area posta a cavallo tra il Chiapas e lo stato
contiguo del Tabasco si ricava oggi un milione di barili di petrolio
al giorno su una produzione totale quotidiana di 2,3 milioni nel
gennaio scorso, e si producono i due terzi del gas messicano,
la maggior parte del quale viene convogliato verso gli Stati Uniti
attraverso un gasdotto di 774 miglia.
A beneficiare di questa
nuova ricchezza, sfruttata dall’ente di stato Pemex, non sono
comunque gli abitanti locali. I contadini del Chiapas (per lo più di
sangue misto come di sangue misto è l’80 per cento della
popolazione messicana) guadagnano meno di un terzo di un manovale
della Pemex. Coloro che riescono a farsi assumere dall'azienda, di
solito a titolo provvisorio, devono spesso pagare tangenti per
conservare il posto.
Da sinistra in alto: uomini della tribù tzotzil riempiono i bicchieri; accanto musici.
Sotto a sinistra una
fase della corrida, accanto una madre tzotzil con il figlio.
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Ma ancora più diseredati
e sfruttati restano gli indios cosiddetti puri. Essi continuano a
essere impiegati come manodopera stagionale nelle grandi piantagioni
di caffè, di cacao e legno pregiato. Sono pagati, a volte, mille
lire al giorno o in natura, con acquavite, che per loro è
companatico e veleno. «Ogni volta che bevete caffè, sappiate che
bevete sangue indio», ha detto qualche anno fa monsignor Samuel
Ruiz, vescovo di San Cristobai de Las Casas. l’ex capitale
coloniale del Chiapas, posta a circa una ventina di chilometri dal
centro cerimoniale di San Juan de Chamula.
Eredi dei maya (un popolo
che, soprattutto tra il 200 e il 900 d.C., costruì città e piramidi
meravigliose pur non possedendo arnesi metallici, veicoli a ruote e
animali da soma), gli indios del Chiapas si sono ripetutamente e
inutilmente ribellati in passato: nel 1712-13 e nel 1867-80.
Recentemente, nel 1970 e nel maggio dell'anno scorso, hanno
partecipato ai tentativi falliti da parte di contadini locali
d’occupare terre incolte dei latifondisti. Alcuni sono stati
uccisi, altri arrestati. (Delle ultime proteste davanti ai cancelli
del complesso petrolchimico della Pemex abbiamo parlato all’inizio).
Questo spiega
l'importanza insostituibile e crescente per questa gente delle feste
religiose. Costretti a vivere in villaggi di capanne, isolati in alta
montagna, dove la coltivazione di mais è più dura e precaria, gli
indios ritrovano una parvenza di dignità e dimenticano le loro
miserie inebriandosi di danza, liquori, colori e musica per le vie di
San Juan de Chamula e di altri centri di preghiera e di riunione. In
tali cerimonie si mescolano credenze millenarie e recenti. Dalle
tradizioni dei maya, e astronomi espertissimi che furono in grado di
calcolare l’anno solare in 365,2422 giorni sbagliando solo di 17
secondi, riemerge il senso ciclico della vita cosmica, che la chiesa
cattolica ha adattato ai suoi riti e misteri.
La sfilata |
Dietro il Cristo è
adombrato il dio Sole; dietro il culto della Madonna si nasconde
l’adorazione di un’antica dea madre, anch’essa vergine. Molti
santi patroni di San Juan de Chamula portano sul cuore uno specchio,
nel quale è possibile scorgere la propria anima, quell’anima che
stregoni e sciamani, secondo una tradizione ancora diffusa e segreta,
devono rincorrere e riprendere quando malati e indemoniati l’hanno
perduta. Persino l’uso del pulque, una bevanda inebriante
ricavata dal succo fermentato dell’agave, ha connotazioni
religiose. Un tempo erano numerosissimi gli dei del pulque;
oggi, prima di berlo, per esempio, in una delle 1.109 pulquerías
della megalopoli di Città di Messico, gli uomini si tolgono il
cappello di fronte alle immagini della Madonna e dei santi che
proteggono questi ed altri locali similari, assai frequenti in tutte
le città del Messico.
Meglio comunque di ogni
altra considerazione, a far capire queste credenze e le condizioni in
cui vivono gli indios. possono servire le semplici parole
rivolte da un loro rappresentante a papa Giovanni Paolo II durante la
sua visita in Messico nel gennaio del 1979. A Cuilapan, nello stato
di Oaxaca. adiacente a quello di Chiapas, lo zapoteco Esteban, 48
anni, padre di sette figli, si è rivolto al pontefice nel suo
dialetto (l’unica lingua che conosca): «Datu gunibatu eneuda pekte
ki betua...», cioè, «Ti saluto Santo Padre a nome di tutti i miei
fratelli. Siamo molto felici della tua visita perché ci porti la
pace, la giustizia, l’amore e la luce di Cristo. Speriamo che con
te venga e resti per noi la felicità. Siamo un popolo umile.
Soffriamo molto. Le vacche stanno meglio di noi. Non siamo capaci
d'esprimerci e quello che soffriamo dobbiamo custodirlo nel segreto
dei nostri cuori. Non abbiamo lavoro e nessuno ci aiuta. Le nostre
poche forze però le mettiamo volentieri al tuo servizio. Le offriamo
alla tua e alla nostra Chiesa. Santo Padre, chiedi qualcosa allo
Spirito Santo per i tuoi poveri figli. Per bocca mia gli Indigeni ti
chiedono di pregare affinché la parola di Dio si realizzi nella
nostra vita».
Qui Touring, 1981
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