«Con Pisapia e Alfano
500 casi di scabbia a Milano», hanno scritto sullo striscione gli
ultra di CasaPound che manifestano sotto Palazzo Marino. E nel
lanciare l’allarme scabbia - ennesimo spettro buono per cavalcare
paure e insicurezze - quelli della destra più radicale sono in buona
compagnia con certi politici e giornali, siti, trasmissioni tv.
A non più di un
chilometro dalla Stazione Centrale, per giorni accampamento di
centinaia di profughi, c’è l’ovattato studio di Antonino Di
Pietro. Laser, filler, cremine. Ma in queste ore il noto dermatologo,
direttore dell’Istituto dermoclinico Vita Cutis e presidente
dell’Isplad (Società internazionale di dermatologia plastica e
rigenerativa), ha ben altro in mente che spianare le rughe di star,
sciure e vanitosi manager.
Attacca il prof Di
Pietro: «Trovo infame e disumano mettere alla berlina dei disperati
incolpandoli di ogni male. Sporchi, brutti, cattivi e pure
contagiosi: è una caccia all’untore di tragica memoria. Vuole
sapere la verità? A Milano la scabbia non solo esiste da sempre ma
negli ultimi anni è aumentata (basta vedere l’altissimo volume
d’affari dei farmaci antiparassitari), ma non perché sono arrivati
o stanno arrivando gli extracomunitari! Come medico e dermatologo ho
visto e continuo a vedere sempre più casi di pazienti che hanno
preso questa infezione della pelle causata da un minuscolo parassita,
l’acaro “Sarcoptes scabiei”. Ripeto: non sto parlando di questi
poveri cristi che vengono in Italia per sfuggire alle guerre e alla
fame ma di pazienti italiani, gente tanto perbene, spesso facoltosa.
Molti hanno preso la scabbia frequentando un centro di massaggi,
almeno così si chiamano. E ancora. Parlo di quelli che vanno a fare
viaggi hard all’estero - per esempio a Cuba, in Brasile, Thailandia
- e ritornano con la scabbia contagiando mogli e figli. Insomma, se
proprio vogliamo lanciare allarmi (stiamo parlando di un’infezione
estremamente fastidiosa ma ben curabile) dico chiaramente che sono
molto più pericolosi i nostri connazionali che fanno turismo
sessuale».
Uomo mite Antonino Di
Pietro (nessuna parentela con l’ex pm di Mani Pulite) è indignato
dal mix d’ignoranza e ipocrisia che giornalmente viene spalmato sul
corpo di un Paese dai nervi sempre più fragili. Breve
lezione del prof: «Il Sarcoptes scabiei e altri parassiti -
esempio, i pidocchi - sono assai democratici. Colpiscono tutti,
ricchi e poveri, giovani e vecchi. A loro interessa la pelle, non di
che colore è. Il contagio avviene per contatto diretto con la pelle
di un individuo infetto ma può trasmettersi anche attraverso
indumenti che ha indossato o lenzuola, materassi, coperte etc. Le
zone più colpite sono quelle con la pelle più tenera (dalle ascelle
all’inguine agli spazi tra le dita di mani e piedi) dove l’acaro
scava meglio piccole gallerie. La femmina dell’acaro depone circa 3
uova al giorno che in pochi giorni si dischiudono. Le cure? Farmaci a
base di permetri-na o di ivermectina. Però c’è una forma - la
scabbia cubana - che è particolarmente fastidiosa e resistente ai
trattamenti che abbiamo in Europa».
Migranti per il sex,
affamati d’esotici trastulli; e poi c’è la strada. La scabbia
forse è aumentata per i tanti clienti di
prostitute e trans? «Questo lo dò per scontato», ribatte Di
Pietro. «Ma per esperienza mi colpisce il fenomeno dei sempre più
numerosi centri massaggi - cinesi? diciamo asiatici - che non sempre
rispettano le norme d’igiene. In questi posti entrano decine di
persone al giorno che si sdraiano su lettini dove di solito c’è un
foglio di carta usa e getta. Basta che ci sia stato un cliente
infetto o che durante il massaggio il foglio magari si rompa!
Risultato: arrivano pazienti - maschi, ma le assicuro anche donne -
che lamentano un prurito. Allora chiedi se hanno frequentato ambienti
poco puliti. Negano; pensano di avere una allergia. Invece è
scabbia. A quel punto ricordano: “È vero dottore quel lettino non
era proprio pulitissimo”. Stop. Il mio compito di medico è fare
una diagnosi e curare non certo di giudicare. L’importante però è
non fare inutili allarmismi e dare colpe a chi non ne ha».
Chiara Beria d'Argentine
"La Stampa", 20 giugno 2015
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