Ho letto oggi il primo
capitolo della biografia di Pietro Secchia scritta da Marco Albeltaro
e pubblicata l'anno scorso da Laterza. L'ho trovato assai bello e sono
convinto che il resto del libro non mi deluderà.
Intanto “posto”
a memoria mia e di altri il primo paragrafo del libro che ha come titolo
originario La scintilla,
titolo che non si riferisce solo ai contenuti del racconto
biografico, ma allude a un giornale di battaglia fondato da Lenin. Io
ho scelto un altro titolo, anch'esso allusivo. Il riferimento è al
romanzo auto-biografico di Giorgio Amendola La scelta di
vita. Amendola, che di Secchia
fu compagno di partito ma anche avversario e gli succedette nel ruolo
di responsabile d'organizzazione nel PCI, raccontò in esso le vicende
storiche e le tensioni interiori che spinsero lui borghese, figlio di
Giovanni Amendola, il politico liberale che guidava l'Aventino
antifascista, a scegliere il partito comunista e il ruolo di
rivoluzionario di professione. Albeltaro racconta qui, in modo
essenziale e convincente, la scelta socialista di Secchia e non nuoce all'efficacia la brevità. (S.L.L.)
Pietro Secchia nasce il
19 dicembre 1903 a Occhieppo Superiore, un paesino vicino a Biella.
La sua è una famiglia che vive del proprio lavoro: la madre, Maria
Negro, è un’operaia tessile e il padre, Giovanni Battista (ma che
tutti chiamavano Giobatta), è un contadino. La vita dei genitori è
dura, e Secchia, in quel suo «promemoria auto-biografico» scritto
con un occhio alla posterità e uno alla costruzione della propria
mitologia, la descrive con toni forti. Ma è una famiglia allegra,
tenuta in piedi con tenacia, in un clima domestico attraversato dai
tratti caratteristici del piemontesismo tardo-ottocentesco e
primo-novecentesco: la lettura della «Stampa» «due volte alla
settimana», la stima per Giolitti e poi il lavoro, tanto lavoro in
quel Biellese un po’ calvinista.
Sarà la guerra a
rimescolare le carte della vita del giovane Secchia. Le rimescolerà
sul piano privato, ma non solo. Secchia, infatti, vive la Prima
guerra mondiale in una famiglia che la subisce come una iattura, come
una mannaia, e in un territorio, il Biellese, che può vantare uno
dei movimenti antimilitaristi più radicali d’Italia.
Pietro era andato a
scuola, aveva frequentato le elementari e poi era stato mandato dai
genitori al ginnasio dai preti, evidentemente all’interno di un
progetto di promozione sociale. Ma la partenza del padre per il
fronte l’aveva costretto a lasciare la scuola e a trovarsi un
lavoro, come impiegato, in una fabbrica di cinghie di cuoio. È
durante l’assenza del padre - al fronte convinto di partecipare a
una guerra-lampo: «è questione di tre mesi», aveva assicurato -
che la vita domestica di Pietro viene sconvolta. Al ritorno di
Giobatta, di quella famiglia allegra in cui si chiamavano i polli coi
nomi dei politici - «domani facciamo la festa a Sonnino»,
annunciava ironico Giobatta - non c’è più traccia.
La madre era morta nel
1918, «uccisa dal male, dal dolore e dalla fatica», Pietro non
abitava più in casa perché era stato mandato da una «vecchia buona
e colta signora» presso cui la zia prestava servizio e si era così
salvato dall’estrema povertà in cui vivevano sua madre e suo
fratello Matteo, costretti perfino a sostituire il petrolio per la
lampada con un composto a base di urina, e i terreni che prima
venivano coltivati erano stati abbandonati.
La guerra che Secchia
vive invece fuori casa è in un Biellese che registra da un lato gli
scandalosi arricchimenti degli industriali, grazie alle commesse
belliche, e dall’altro un movimento operaio forte e
antimilitarista, animato, in particolare, dalle donne e dai giovani.
C’è un altro elemento
che si inserisce nella formazione di Pietro e su cui poi, nelle
ricostruzioni autobiografiche, calcherà molto la mano: la fabbrica,
dove entra a tredici anni come impiegato. Pietro è un ragazzino
intelligente, brillante, che a casa legge anche testi impegnativi
(Rousseau, Vico, Beccaria, ma anche l'allora di moda Oriani) e che si
trova catapultato in un mondo che descriverà con toni efficaci,
soprattutto nelle sue note autobiografiche. C’è il suo ambiente di
lavoro, quello impiegatizio, che non gli piace, che non sopporta e in
cui vede la meschinità piccolo-borghese, il pettegolezzo, e poi ci
sono gli operai, che divengono nel suo racconto delle figure mitiche.
Non possiamo sapere se la ripulsa per gli impiegati e la fascinazione
verso gli operai siano state davvero così dirompenti come Secchia ci
ha tramandato nelle sue memorie, ciò non toglie che gli operai li
frequentò davvero e che questa frequentazione ebbe un peso
importante nella costruzione della sua identità. Questo legame,
dapprima allacciato per curiosità e istinto, col tempo diverrà
saldo grazie a consonanze politiche e a una vera e propria empatia
che nasce dalle vicende che vedranno Secchia sperimentare il
conflitto.
E proprio fra il ritorno
del padre dal fronte e il 1919 che in Pietro succede qualcosa. È
ancora patriota, mentre Giobatta il patriottismo l’aveva lasciato
in trincea, ma inizia a sfogliare l'«Avanti!», probabilmente su
suggerimento dei suoi amici operai. E, proprio nel ’19, decide di
prendere posizione: si iscrive al sindacato, con un gesto di tenacia
perché è l’unico impiegato della sua fabbrica a farlo, e a nulla
erano valsi i tentativi di dissuaderlo da parte della famiglia e
degli altri impiegati. È questo il momento in cui, per usare le sue
stesse parole, Secchia rompe il ghiaccio con la politica.
Socialismo e patriottismo
sono a quell’epoca i punti cardinali che lo orientano
politicamente. Capirà però la loro reciproca incompatibilità
quando, alla sua prima manifestazione socialista, il 1° maggio 1919,
verrà strattonato perché all’occhiello portava un nastrino
tricolore; e lo capirà ancora meglio durante le discussioni con
alcuni militanti amici del padre, che gli ripetevano «che la patria
c’è solo per i signori», e con i suoi amici operai.
Non è facile abbandonare
l’amor di patria, anche perché Pietro, a quella tanto osannata
patria, ha sacrificato la sua famiglia. Ed è proprio la guerra
l’argomento che i socialisti impiegano per convincerlo: «Finalmente
dopo un’ultima discussione durata quasi un’intera notte, tema
cruciale: la guerra, sono convinto». È la scintilla, scoppiata a
partire da un tema nel quale non vi è soltanto la partecipazione
politica ma anche personale e sentimentale. Guerra e fabbrica sono
dunque il viatico di Secchia verso il socialismo.
Da quel giorno la sua
vita cambia. E la politica è il terreno in cui raggiungerà la
maturità.
Marco Albeltaro, Le rivoluzioni non cadono dal cielo. Pietro Secchia, una vita di Parte, Laterza, 2014
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