Quelle che qui “posto”
sono le pagine iniziali di un bel libro di storia, opera di Mimmo
Franzinelli, storico di mestiere, autore - fra molto altro - di un
volume sull'OVRA che vinse il premio Viareggio, e di Nicola
Graziano, magistrato. Si intitola Un'odissea partigiana ed
ha al centro le vicende che portarono alcune decine di partigiani nei
manicomi giudiziari. L'incipit riassume in poche frasi e in alcuni
casi esemplari il processo di restaurazione, giudiziaria ma non solo, che seguì il 25 aprile e la Liberazione. (S.L.L.)
Nel
secondo dopoguerra vengono arrestate diverse centinaia di ex
partigiani, per episodi commessi nella lotta clandestina oppure
successivi alla cessazione dei combattimenti. Durante l’occupazione
tedesca e la lotta di liberazione si verificarono molti casi di
“giustizia sommaria”, contro civili sospettati di spionaggio o
comunque invisi ai “ribelli”, e svariate uccisioni di aderenti
alla Repubblica sociale italiana, alla spicciolata, secondo le
modalità della guerriglia. Episodi tragici, da inquadrarsi nello
scenario bellico imboccato da Mussolini, degradato in guerra civile
nell'autunno 1943 con la nascita della Repubblica sociale italiana,
nella spietata repressione nazista e dei collaborazionisti di Salò,
con il massiccio ricorso a deportazioni, torture, rappresaglie,
fucilazioni, eccidi.
Il
ritorno alla pace è turbato da vendette e ritorsioni che da sempre
accompagnano la caduta delle dittature, epilogo di sanguinosi scontri
intestini. Dopo mesi di vita alla macchia, è difficile tornare d’un
tratto alla normalità, stante l’impatto traumatico della guerra su
tanti giovani “ribelli”, che reagiscono a loro modo - anche con
derive estremiste e giustizialiste - a gattopardismi e restaurazioni.
L'Italia
è al bivio tra rinnovamenti radicali e ripristino di vecchi
apparati. Alle spinte iniziali corrispondono crescenti reazioni
autodifensive di strutture e funzionari statali. In pochi mesi si
infrangono, per poi ricostruirsi miracolosamente, prestigiose
carriere. Il tracollo della democratizzazione della polizia è
personificato dall’ex capo dell’Ovra, Guido Leto, destituito e
riabilitato dopo un fugace soggiorno a Regina Coeli, infine promosso
direttore tecnico delle Scuole di polizia. In compenso, i partigiani
immessi negli organici all’indomani della Liberazione ne sono
presto allontanati. Si perde così l’occasione di riformare
l’apparato fondamentale di controllo e garanzia dell’ordine
pubblico.
Nel
1946, a essere epurati sono i prefetti nominati dal Comitato di
liberazione nazionale, rimpiazzati dai “fidati” funzionari di
carriera, già zelanti esecutori delle direttive mussoliniane. Rimane
provvisoriamente in carica il solo Ettore Troilo, la cui rimozione,
il 28 novembre 1947, determinerà l’occupazione della prefettura di
Milano da parte di manifestanti capeggiati dal deputato comunista
Gian Carlo Pajetta.
La
discontinuità tra dittatura e democrazia è insomma attutita dalla
riemersione di personaggi che si pensava dovessero uscire di scena
con la sconfitta fascista.
Nella
transizione dal regime mussoliniano a quello democratico - osserva
Vladimiro Zagrebelsky - l’ordinamento giudiziario e l’orientamento
culturale dei suoi componenti sono caratterizzati dal predominio
della Corte suprema di cassazione, decisiva anche per la selezione
dei giudici. Cassazione e Corte d’appello si confermano strumenti
di gestione autocratico-conservatrice della magistratura: la
direzione della macchina processuale spetta a personaggi forgiatisi
culturalmente e professionalmente nel regime, da essi convintamente
servito e nel quale si immedesimarono, ricavandone privilegi e
potere.
A
marzo del 1946 le pratiche di epurazione per l’ordine giudiziario
dell’Alta Italia denotano un clamoroso fiasco: su 1248 istruttorie
si dispongono 24 dispense... E a Roma le cose vanno, se possibile,
ancora peggio.
Il
sistema giudiziario rimane quello forgiato nel Ventennio; le carriere
dei giudici fotografano l’inamovibilità dei vertici della
magistratura.
Vincenzo
Eula - il pubblico ministero del Tribunale di Savona che nel 1927
aveva fatto condannare Ferruccio Parri, Sandro Pertini e Carlo
Rosselli per l’espatrio di Filippo Turati – scansata l'epurazione
(invocata dal ministro della Giustizia Togliatti, negata dal
presidente del Consiglio De Gasperi), diviene procuratore generale
della Cassazione.
Luigi
Oggioni, già procuratore generale della Repubblica sociale italiana,
nel dopoguerra sarà presidente della Corte di cassazione e poi
giudice della Corte costituzionale.
L’artefice
della legislazione antiebraica della Rsi, Carlo Alliney,
capogabinetto all’Ispettorato della razza, è promosso consigliere
di Corte d’appello a Milano, procuratore della Repubblica a Palermo
e infine giudice di Cassazione. Va ancora meglio all’ex presidente
del Tribunale della razza, Gaetano Azzariti, destinato addirittura
alla presidenza della Corte costituzionale.
Il fallimento dell’epurazione si accompagna alla disapplicazione dell’amnistia emanata nel novembre 1945 per i partigiani. “Le leggi contro il fascismo - osserva il giurista Achille Battaglia - furono interpretate secondo la volontà del legislatore soltanto quando la forza politica dell’antifascismo toccò il vertice; e furono interpretate alla rovescia, e applicate con il massimo d’indulgenza man mano che quella andò declinando.” Guido Neppi Modona ritiene che “la repressione antipartigiana si realizzò soprattutto mediante un uso molto vasto e spregiudicato della carcerazione preventiva; gli ordini di cattura venivano sovente emessi sulla base dei soli rapporti redatti anni prima dalla polizia della Repubblica di Salò, dove i partigiani erano appunto qualificati come banditi, autori di reati comuni”.
Il fallimento dell’epurazione si accompagna alla disapplicazione dell’amnistia emanata nel novembre 1945 per i partigiani. “Le leggi contro il fascismo - osserva il giurista Achille Battaglia - furono interpretate secondo la volontà del legislatore soltanto quando la forza politica dell’antifascismo toccò il vertice; e furono interpretate alla rovescia, e applicate con il massimo d’indulgenza man mano che quella andò declinando.” Guido Neppi Modona ritiene che “la repressione antipartigiana si realizzò soprattutto mediante un uso molto vasto e spregiudicato della carcerazione preventiva; gli ordini di cattura venivano sovente emessi sulla base dei soli rapporti redatti anni prima dalla polizia della Repubblica di Salò, dove i partigiani erano appunto qualificati come banditi, autori di reati comuni”.
Un'odissea partigiana. Dalla Resistenza al manicomio, Feltrinelli, 2015
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