In un sonetto dedicato a
Filippo II, il poeta di corte Hernando de Acuna cantava l’arrivo
del «giorno promesso» : da quel momento nel mondo ci sarebbe stato
«un solo re, un solo impero, una sola spada». Queste parole non
potevano non piacere ad un sovrano come Filippo II d’Asburgo
(1527-1598), el rey prudente, che riteneva l’unità sotto la
sua guida personale l’unica speranza di salvezza in un mondo in
preda a guerre ed eresie.
Il figlio di Carlo V era
allo stesso tempo convinto di una cosa: solo preservando la fede
cattolica dalla minaccia protestante si poteva conservare un impero
che andava dai Paesi Bassi all’Africa meridionale, dalla Spagna
all’Italia, dal Messico al Perù, al Brasile, alle Filippine e alle
Indie orientali. Agli occhi di Filippo il protestantesimo significata
disintegrazione e rivolta, il cattolicesimo unità e sottomissione.
Forse non ci sarebbe
stato motivo di scrivere un’altra biografia di Filippo II se non
fosse venuta alla luce una nuova fonte d’informazioni: le carte
dell’archivio d’Altamira. Si tratta di oltre diecimila billetes
(appunti, messaggi e promemoria) che il sovrano spagnolo si scambiava
con i suoi ministri, di numerose lettere che Filippo scrisse alle
figlie a partire dal 1580, di altre che i suoi collaboratori
(soprattutto il duce d’Alba e il cardinale Granvelle) inviavano a
lui, degli inventari dei beni del re al
momento della sua morte e
dei registri amministrativi delle varie case reali. Su questa base
documentaria si fonda il volume Un solo re, un solo impero di
Geoffrey Parker (Edizioni Il Mulino, 1985), professore di storia
moderna a Cambridge e all’università di St. Andrews in Scozia.
Parker ricostruisce fa
politica di Filippo II in campo militare, amministrativo e
finanziario (un punctum dolens, quest’ultimo, per tutti i
sovrani asburgici). Si passa dai momenti di difficoltà — la
sconfitta nei Paesi Bassi (1576) o in Inghilterra (1588) — agli
«anni del trionfo» con la vittoria di Lepapto sui Turchi (1571) e
la conquista del Portogallo (1580). Si va dai problemi connessi al
governo e alla cristianizzazione di milioni di americani alla
sottomissione dell’aristocrazia feudale e
dei moriscos.
Il ritratto pubblico del
rey prudente propostoci da Parker, seppure delineato con rigore
analitico, certamente non rovescia ogni immagine precedente né
illustra aspetti e orientamenti nuovi dell’azione di governo di
Filippo II. Dove invece lo storico inglese riesce a penetrare meglio,
e con più originalità, è nella vita privata e nella psicologia del
re spagnolo.
Nelle pagine di Un
solo re, un solo impero il sovrano asburgico è una personalità
meno lineare di quella del «rango nero» rintanato nella sua cella
dell’Escurial, dell’uomo cupo e intollerante dipinto dai suoi
primi biografi, per lo più di parte protestante.
E’ un uomo contorto che
prova lo stesso piacere guardando un auto da fè, il rituale
di condanna ed esecuzione degli eretici, o un dipinto di Tiziano, uno
dei suoi artisti preferiti. E’ un re che alla spietata sicurezza
con cui perseguitava i protestanti unisce “una grande malinconia e
tristezza – come lui stesso raccontava nel 1591 – nel pensare
allo stato presente della cristianità”.
“il manifesto”
mercoledì 12 giugno 1985
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