Niente affatto eccentrico
rispetto alla personalità poliedrica e alla vicenda umana e
intellettuale del futuro insigne studioso di diritto e padre
costituente Piero Calamandrei, l’erbario di oltre 220 piante che
questi appronta negli anni giovanili del ginnasio testimonia
l’innesco di quell’inesausto dialogo che caratterizzerà tanta
parte del suo sentire. Dialogo con il mondo vegetale che in molte,
disparate occasioni si rifletterà nei suoi scritti in suggestioni e
metafore naturalistiche, interlocuzione che muove sempre in relazione
stretta con la fisionomia amica di luoghi dove, «specialmente in
Toscana, ogni borgo, ogni svolto di strada, ogni collina ha un volto,
come quello di una persona viva», dialogo che perdura mentre si
interroga, fin poi nell’impegno politico, sui crucci – e la
cordialità – di quegli uomini semplici che salutano per primi,
sempre teso alla ricerca di unadimensione culturale, etica, del
diritto.
E proprio questa
circolarità del tema vegetale che con andamento carsico variamente
si riaffaccia nella vita e nelle opere di Calamandrei indaga ora lo
studio a due voci di Paola Roncarati e Rossella Marcucci (che già si
erano occupate dell’erbario giovanile del Filippo de Pisis botanico
flâneur), Codici e rose. L’erbario di Piero Calamandrei
tra storia, fiori e paesaggio (Olschki).
A partire dall’analisi
delle tavole dove ogni esemplare raccolto e essiccato viene
impaginato e quasi messo in scena con efficace senso estetico –
Calamandrei si diletta anche di pittura e ha la passione della
fotografia –, «diramato nel rispetto delle sue inclinazioni
naturali», con in calce le annotazioni sui luoghi di erborizzazione,
lungo prode di fiumi e ruscelli, boschi, siepi, messi, campi di
fieno... dove quelle erbe spontanee – fiori di campo, quindi non di
giardino come quelli che pure non dovevano mancare a Firenze e
dintorni – sono state raccolte dal promettente e curioso studente
del fiorentino liceo Michelangiolo nel corso dell’anno scolastico
del 1904.
I debiti di
quest’esperienza si proietteranno in una vicenda intellettuale che
rispetto all’amata «variopinta storia naturale» di allora vede
Calamandrei scegliere poi altriambiti di impegno e di studio. Permane
la traccia della passione naturalistica, dell’attenzione al
paesaggio, e nel volume viene indagato appunto quel retroterra, i
suoi immaginari, il lessico. La trama di riferimenti botanici
ripercorsa nei successivi scritti scientifici e professionali, nei
diari e nei discorsi politici. Come già nella giovanile produzione
letteraria (poesie, fiabe) che si alimenta di quelle descrizioni e
metafore, e fin nell’intimità degli affetti nel carteggio con la
futura moglie Ada anche dal fronte da dove le invia lettere con
dentro fiori disseccati evocando con uno sguardo affilato «le eriche
rosse che magicamente hanno cominciato a fiorire anche sotto la
neve». Ancora, nelle memorie ordinatrici e rievocative, prima fra
tutte quel catalogo di stupefatte curiosità e melanconiche
esperienze che è l’Inventario della casa di campagna, con
l’incontro con il «miracolo dei funghi», l’ardore bellicoso
delle formiche, la raccolta delle farfalle... il viottolo dei morti.
Paesaggi vivi, quelli del
prelievo botanico, luoghi della memoria, vissuti e ideali, capaci di
disvelare la lezione del passato, terre dei padri, posti «risaputi a
mente». Che «entrano nell’asse ereditario di ciascuno di noi»,
da inventariare come bene comune.
“alias il manifesto
domenica”, 21 giugno 2015
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