Sull'ultimo numero di “micropolis” (luglio-agosto 2015), nello speciale dedicato a
Maurizio Mori, c'è un suo scritto del 1970 dedicato alla salute in
fabbrica tratto da un numero unico del Circolo Karl Marx di Perugia.
Lo riprendo qui per due ragioni, oltre che per ricordare un grande
intellettuale e un compagno carissimo: mostrare come sia possibile,
quando lo si voglia, legare strettamente l'impegno professionale e
scientifico con la passione dell'uguaglianza; contrastare le facili
demonizzazioni del lungo Sessantotto italiano, ridotto a estremismo e
rivoluzionarismo parolaio se non a terrorismo, ignorando la spinta di
rinnovamento ispirata alla giustizia sociale che esso introdusse in
tanti aspetti della vita del nostro paese. (S.L.L.)
«Il capitale non ha
riguardo per la salute e la durata della vita dell'operaio; il
capitale scavalca non soltanto i limiti massimi morali della giornata
lavorativa, ma anche quelli puramente fisici. Usurpa il tempo
necessario per la crescita, lo sviluppo e la sana conservazione del
corpo. Ruba il tempo che è necessario per consumare aria libera e
luce solare. Lesina sul tempo dei pasti. Riduce il sonno a tante ore
di torpore quante ne rende indispensabili il ravvivamento di un
organismo assolutamente esaurito». Così scriveva Karl Marx nel 1880
nella premessa alla inchiesta operaia da lui organizzata per la
rivista francese “Revue Socialiste”. E aggiungeva:
«Speriamo di essere sostenuti nella nostra opera da tutti i
lavoratori, i quali comprendono che essi soli possono descrivere con
piena cognizione di causa i mali che li colpiscono; che essi soli, e
non dei salvatori provvidenziali, possono applicare energicamente
rimedi alle miserie sociali di cui soffrono».
***
Qui, a Perugia, gli
operai della «Perugina» hanno colto l'occasione di una inchiesta
svolta da un istituto universitario per operare un ripensamento e un
rilancio dei problemi legati al rapporto fra lavoro e salute, tra
condizioni di vita e salute, tra servizi sanitari e salute. Il
questionario che i lavoratori della «Perugina» si sono trovati
difronte non era certamente fatto delle 100 domande di Marx, precise,
puntuali, pignolesche, provocatorie, ma affrontava troppe cose e
troppo genericamente e risentiva quindi di tutti i condizionamenti
cui spesso si sottopone il lavoro culturale ai fini di piegarlo ai
fini di questa società e dello stato dei padroni. Tuttavia alla
«Perugina», l'occasione dì operare una denuncia della condizione
operaia é stata accettata ed utilizzata; la denuncia degli operai è
stata violenta, particolareggiata, tale da investire sia le
condizioni di lavoro sia le condizioni di vita, singolarmente
individuate e unitariamente ricollegate come aspetti globali dello
sfruttamento capitalistico.
Come ci si sente in
salute? Male, e hanno voluto affermarlo con forza; che c'è
moltissima stanchezza fisica e nervosa, da non poterne più; che non
si dura a lungo, che non si arriva alla pensione perché in venti
anni di lavoro si perdono dieci anni di vita. I ritmi, i tempi, i
cottimi: pesantissimi, da non farcela; e se gli ingegneri vogliono
che si vada come le macchine loro quando la macchina si rompe gli
cambiano il pezzo; all'operaio, se si rompono i pezzi non glieli può
cambiare nessuno. Troppi infortuni, troppe mani mutilate; e umidità,
moltissima; caldo insopportabile; un condizionamento dell'aria fatto
per esigenze produttive, non per la salute; rumorosità snervante;
vapori, fumi, polverosità; passaggi troppo bruschi dal caldo al
freddo e viceversa. E, ancora, troppo poco riposo in fabbrica troppo
lavoro quotidiano, troppi giorni di lavoro nella settimana; e ferie
troppo brevi, che non bastano a «recuperare»; e pochi soldi per
utilizzare quelle poche ferie. Ma, su tutto: i cottimi sono troppo
alti, il lavoro é pesante, si invecchia precocemente!
***
Gli operai della
«Perugina» hanno piena consapevolezza di quella che è stata
chiamata la contagiosità della fabbrica verso l'ambiente esterno,
così come dell'influenza delle condizioni di vita (abitazione,
alimentazione, trasporti, scuola, servizi sanitari e sociali) sulla
salute dei lavoratori, e sfuggono quindi coerentemente alle illusioni
e ai tentativi di settorializzare i problemi e rompere la globalità
della lotta. Il lavoro domestico della operaia, che raddoppia la già
dura giornata lavorativa della fabbrica, è lo specchio della
condizione femminile in una società capitalista; la casa vecchia,
umida, piccola, mal riscaldata, però con l'affitto alto, è il
simbolo dello sfruttamento che dal lavoro si allarga alla
speculazione sulle aree fabbricabili; la carenza di asili, di spazi
verdi, di attrezzature sportive, la crisi dei trasporti, la spinta
forzosa alla motorizzazione privata, l'inquinamento atmosferico,
sottolineano la posizione subalterna dei pubblici poteri (statali e
locali) di fronte alle scelte operate dai padroni.
Problemi tutti che gli
operai della «Perugina» denunciano con forza ed indicano quali temi
ed occasioni di lotta: problemi tanto più pressanti in una città
come Perugia dove gli enti locali hanno da sempre preferito i giochi
opportunistici in nome di una malintesa politica delle alleanze o di
fumosi obbiettivi di «nuove maggioranze», piuttosto che la lotta
mobilitante intorno a scelte dirompenti di politica urbanistica o dei
trasporti o della scuola, o dei servizi sociali.
Drammatica la situazione
dei servizi sanitari, precisa la denuncia, che colpisce le
manifestazioni più appariscenti ma soprattutto ne individua la
matrice e lo strumento di classe. È la denuncia delle due medicine,
quella dei ricchi e quella dei poveri, ma non è soltanto questo: è
la messa a nudo, impietosa, dei meccanismi quotidiani che fanno
pagare ai lavoratori la loro condizione di classe sfruttata. Dal
medico generico che non visita ma svolge efficacemente il ruolo di
«impiegato» dell'industria farmaceutica prescrivendo medicinali su
medicinali, naturalmente i più costosi; allo specialista che visita
bene solo se esci dalla mutua, vai al suo studio privato, paghi
profumatamente; all'ospedale, dove ti mettono in una brandina nel
corridoio, tutti insieme convalescenti e moribondi, dove sei un
numero, sopportato soltanto perché i tuoi contributi ingrassano i
primari e danno lustro agli amministratori, ma dove sali di un piano
e trovi camere a pagamento spaziose e con bagni privati, con i1
primario che ti «rispetta». Ma è nelle visite di controllo che la
medicina scopre, impudicamente, il proprio ruolo di serva dei
padroni: i medici della mutua non ti visitano, eppure concludono che
stai bene, ti rimandano in fabbrica a produrre. E guai ad andare in
cassa mutua per l'esaurimento nervoso: è una voce questa che manca
nel vocabolario della medicina di classe, come manca la stanchezza
mentale e quella fisica; il lavoratore non ha diritto alcuno di
sentirsi distrutto, di usufruire di una pausa, di recuperare il
proprio equilibrio e le proprie capacità fisiche e mentali. La
medicina è là solo per questo: rimandarti al lavoro,
sollecitamente, assicurare alla produzione la continuità dello
sfruttamento.
***
E' partendo dalla
consapevolezza del rapporto diretto che con la salute hanno lo
sfruttamento, le condizioni e l'ambiente di lavoro, i tempi, i ritmi,
l'orario, che la lotta operaia non può essere incanalata solo verso
la rivendicazione di una pur auspicabile ed urgente riforma
sanitaria. La riforma sanitaria può essere una cosa «seria», nella
misura in cui ridurrà i disagi dei lavoratori, distribuirà
diversamente le spese (che non dovranno più gravare, come oggi, sui
contributi dei lavoratori), istituirà servizi di medicina preventiva
ecc. Ma non potrà, in una società che conosce solo i calcoli del
profitto, essere uno strumento reale di lotta contro le cause vere di
malattia che risiedono nelle stesse condizioni di lavoro e di vita
che il capitalismo impone. Per lottare coerentemente per la difesa
della propria salute, occorre piuttosto che si faccia del problema
della salute elemento di contestazione del processo produttivo, che
porta in sé le cause della malattia: giorno per giorno, reparto per
reparto, linea per linea.
Non è possibile di poter
affrontare alla radice il problema della salute (come del resto
quelli della casa e della scuola) con una lotta per le riforme che
pretenda di risolvere questi problemi soltanto con una legge
tranquillamente assorbita dal sistema, senza varcare i limiti dei
principi che reggono la società capitalista, e delle possibilità
che questa società ha di concedere riforme. Certo, è importante
ottenere un controllo pubblico sulle condizioni ambientali in
fabbrica: ma poi magari si riduce a quella specie di presa in giro
che é, come affermano concordemente gli operai della «Perugina»,
l'intervento periodico dell'Ufficio d'igiene; oppure, rimane nei
limiti di un intervento puramente tecnico, come accade per la
medicina preventiva che, alla «Perugina», l'Amministrazione
Provinciale ha affidato al controllo (contrabbandato come «consulenza
scientifica neutrale») di un Clinico, un Barone universitario che
più ancora che servo dei padroni è padrone egli stesso. Perché il
problema non è quello della delega al potere locale che, in uno
stato di classe potrà avere al massimo velleità umanitaristiche e
sarà comunque impotente di fronte ai padroni, ma è invece la
mobilitazione di massa, la presenza, con una funzione riqualificata
dei delegati diramati capillarmente nei singoli reparti
e linee di lavorazione, a controllare le condizioni globali di
lavoro, (ambiente, tempi, ritmi, orario ecc.), a contestarle, a
gestire in proprio la lotta per la salute in fabbrica come lotta
contro lo sfruttamento, cioè contro le cause reali di
malattia, e non, riformisticamente, per uno «sfruttamento più
umano!».
Proprio la lotta per la
salute in fabbrica - che investe l'intera condizione
operaia, dall'ambiente ai cottimi, dagli orari agli organici, dai
trasporti all'abitazione - può rimettere in movimento, alla
«Perugina», il processo di formazione dei delegati che sono entrati
in crisi anche perché legati ad un singolo problema, quello dei
cottimi, e corrono il rischio di ridursi ad un puro fatto tecnico. I
delegati, perché non divengano uno strumento inefficace, debbono
aggredire l'arco più vasto dei problemi, conquistare libertà più
grande di movimento che non può essere garantita da un semplice
accordo sindacale, ma solo imposta con una
qualificazione politica dei problemi e sui problemi.
I delegati tra loro
coordinati (e diramati in tutti i luoghi di lavoro) potranno così
assolvere una funzione di unificazione delle lotte sociali,
collegati, dentro e fuori della fabbrica, alle forze disposte a
battersi su obiettivi politici di classe, forze che non mancano nella
società italiana, così come non mancano, come affermano i compagni
de «il manifesto», «possibilità reali, basi oggettive su questi
temi (salute, casa, scuola) di nuove alleanze e di un allargamento
del fronte rivoluzionario». A condizione che «si costruisca una
struttura organizzativa capace di dare alla lotta, nuovi caratteri e
contenuti, e presupponga la conquista del potere da parte di uno
schieramento rivoluzionario».
da “lotta di classe”
- numero unico del Circolo Karl Marx di Perugia, ottobre 1970
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