12.8.15

Pdup 1978-1984. Una soggettività non arresa (Tommaso Di Francesco)

A volte il passato non è nemmeno passato. Se qualcuno riannoda i fili di tante esistenze sparpagliate dentro una generazione considerata sconfitta, ma non arresa. Perché è stata testimone di un momento apicale, il '68, che ha fatto sentire a milioni di esseri umani che la barra della storia può essere alzata; tanto che ora non può rassegnarsi a restare dentro la prigione di questo presente non-sense e alla deriva.
Così un libro che si vuole rigorosamente storico, nella periodizzazione degli eventi e dei protagonisti, perfino nel titolo, Da Moro a Berlinguer. Il Pdup dal 1978 al 1984, di Valerio Calzolaio e Carlo Latini con prefazione di Luciana Castellina (Ediesse), alla fine più che un saggio di storia diventa uno strumento d’interpretazione del presente-prigione. Dal quale non si esce senza un segnale forte che può arrivare dal futuro. Oppure dal passato. Da una origine che renda evidente quel che ci è stato rubato o che abbiamo dissipato: la possibilità di pensare a una trasformazione rivoluzionaria dello stato delle cose presenti. Tornando a pensare in politica. Che nel frattempo è degenerata in un vuoto artificiale, dove predomina l'attitudine a servire l’immutabile condizione del mercato e del potere che ne deriva. Per dirla con Bruno Trentin, siamo passati dall'interrogarci su una originale transizione al socialismo direttamente all’ideologia della governabilità comunque, dalla necessaria rimessa in discussione dei rapporti sociali di produzione, alla sostenibilità comunque del capitalismo e delle sue presunte leggi. Dov’è cominciato tutto questo e dove e quando si è spezzato per una generazione di donne e uomini questo filo che caratterizzava l’esistenza di ciascuno e la sua appartenenza, in movimento, ad una storia?

In cerca di unità
Su questo scarto epocale s’interroga l’importante lavoro storico-politico di Calzolaio e Latini. Forse c’è nel libro un eccesso di storicismo, se si chiamano in causa in nomi di Aldo Moro e di Enrico Berlinguer inscrivendovi dentro l’intera epoca che va dal 1978 al 1984, tutta intera la fase che va dagli anni Settanta agli anni Novanta. Ma di fatto sono i due nomi che scandiscono l’epoca anche se non ne riducono certo la complessità. Affrontata in una prima, breve, parte che analizza l’humus fondativo del Pdup, dagli anni Sessanta, con gli studenti del '68 e gli operai del ’69, alla radiazione del gruppo del Manifesto dal Pci (già Aldo Garzia aveva tentato un’analisi storica a fine anni ’70); poi c’è l’epoca della strategia della tensione e delle le stragi di Stato, l’unificazione tra il gruppo del Manifesto e il Partito di unità proletaria; ancora la nascita delle Brigate rosse, il dispiegarsi del compromesso storico, la crescita del Pci e dell’unità sindacale. Fino al sequestro di Aldo Moro durante la legislatura che vedeva nascere la solidarietà nazionale. Fino alla rottura con “il manifesto” giornale guidato da Rossana Rossanda, Luigi Pintor e Valentino Parlato. Quindi una seconda parte che tratteggia il contributo specifico del Pdup, anche in campo editoriale - nacque la preziosa rivista “Pace e Guerra” della quale fu protagonista Luciana Castellina -, dalle leghe dei disoccupati all'impegno pacifista contro la guerra, in particolare contro l’installazione del missili Usa in Sicilia, a Comiso, nel 1981, contro i blocchi militari contrapposti. Stavolta insieme a quel Pci che pure aveva scelto dieci anni prima la protezione dell'ombrello della Nato; senza dimenticare l’origine del movimento antinucleare ed ecologista - prima di Cemobyl - e la nascita dei primi strumenti di critica allo sviluppismo e al fabbrichismo per un nuovo modello di sviluppo sostenibile di fronte alla devastazione ambientale emergente. Infine, ed è il limite temporale del saggio, la terza ed ultima parte sull’anno fatale 1984, con lo scontro tra il craxismo dominante, l’attacco alla scala mobile e la morte di Enrico Berlinguer.

I limiti dello sviluppo
Tutto questo nell'ottica dell’unità della sinistra e dello strumento del governo come istanze decisive del cambiamento, entrambe fondate sui nuovi movimenti e sulle nuove necessità espresse nella crisi del sistema capitalistico. Giacché le specificità del Pdup nella sua storia furono proprio la sottolineatura dei limiti dello sviluppo e un’attenzione politica ai temi dell’ecologia, alla questione di genere che prima con la stagione del divorzio e dei diritti civili, poi con il femminismo svelava per tutti il privato dentro l’intoccabile, fino ad allora, sfera della politica. Con uno stile nel fare politica, assolutamente antiminoritario, secondo l’insegnamento: pensare come se tutto dipendesse da noi. Questa era la modalità. Ispirata soprattutto, nel periodo che va dal 1978 al 1984, da Lucio Magri, il segretario del Pdup, cuore e a mente di questa operativa «rifondazione comunista», la rifondazione necessaria che stava scritta nelle Tesi per il comunismo del Manifesto del 1971. Così, ben prima del Partito della Rifondazione, arrivato forse troppo tardi e troppo presto, e comunque dopo troppe sconfìtte sulle quali, a partire dall’89, si è davvero poco riflettuto. Nonostante la ricerca incessante su un nuovo comunismo possibile di Lucio Magri. Che vide attraversamenti, risalite e divisioni: con il rientro all’inizio degli anni Ottanta nel Pci, quando Berlinguer sembrò forse consapevole, a quel punto, del fallimento del compromesso storico; e poi, dopo la sua morte improvvisa, con la ripresa di dialogo con la realtà da cui il Pdup era nato, cioè con “il manifesto” con cui attivò la nuova pubblicazione della “Rivista del Manifesto”.
Serve davvero questa storia recente di un partito di sinistra o è solo un’autoanalisi nostalgica per militanti attempati? No, è utile adesso, ai giovani. Anzi è urgente sapere che c’è stato un periodo non concluso che ha affrontato gli stessi identici nodi dell’attualità politica. Che invece del totem della parola «crescita» metteva in primo piano la questione della transizione ad una società superiore, ad un altro modello di vita e di sviluppo. Scrivono Calzolaio e Latini nel libro (che aspetta un sequel?): «La storia del Pdup testimonia il tentativo di coniugare cambiamenti necessari e cambiamenti possibili, dopo avere indagato le ragioni oggettive dei primi ed avere sperimentato nell’agone politico i secondi». Quell’agone politico non c’è più e resta un territorio magmatico, ma con nuovi movimenti che chiedono un’alternativa di società. E chi lavora come fa il libro contro la dispersione delle volontà, ha fatto davvero il passo più importante.

il manifesto, 28 marzo 2015

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