Camilla Cederna |
“De gustibus!”. Lo
dicevano le signore di Milano, scuotendo la testa, per manifestare,
elegantemente, la loro disapprovazione; lo diceva Franca Valeri,
manicure avida di raffinatezze, in un suo famoso sketch; lo diceva
Totò, torcendo il collo, in un film, ad un amico che delirava per
una ragazza poco seducente. De gustibus adesso è diventato il
titolo del nuovo libro di Camilla Cederna (Mondadori, 1986: il suo
quindicesimo, dopo quelli dell'impegno politico e civile, come
Pinelli, una finestra sulla strage e Leone, la carriera di
un presidente, e quelli di impegno mondano e di costume, come Il
lato debole e Il mondo di Camilla. De gustibus
intreccia i due generi, con la stessa lievità e consapevolezza con
cui nella vita Camilla fa convivere la capacità di indignazione e il
coraggio, con l'affettuosa osservazione dei tic, delle manie, delle
piccole disperazioni e delle modeste gioie della quotidianità che la
circonda. Una sera va a parlare a un dibattito del circolo Società
Civile, senza essersi dimenticata di passare dal parrucchiere; e la
sua immagine accurata, insieme al suo sdegno civile, le procureranno
numerose telefonate di persone che le chiedono di rivederla; la sera
dopo corre da un pranzo all'altro, in casa del celebre economista e
del noto antiquario, vestita di abiti firmati e il giorno dopo si fa
intervistare da Nando Dalla Chiesa su Milano attaccata dalla mafia.
La prima parte del libro
è composta da articoli pubblicati dal 79 all'86, ritoccati e
aggiornati; la seconda da cinque pezzi inediti in cui, dice Cederna,
spero si avverta sempre quanto scriveva Giacomo Leopardi: “La
nostra privata opinione è che il dilettevole sia più utile che l'
utile”. Bravissima nel raccontare senza acrimonia la nuova
volgarità, nel raccogliere i segnali della mutevole ma inestirpabile
stupidità, nel notare con simpatia svarioni, eccessi, idiozie,
ignoranze nei giornali e nei discorsi, Camilla racconta i piccoli
eventi con la stessa determinazione, ricchezza di notizie e capacità
di scrittura con cui si occupa delle tragedie mondiali, delle
prevaricazioni politiche, della corruzione delle istituzioni, dei
grandi delitti. C'è la cavalla puro sangue, nutrita dai suoi
adoranti padroni con i bignè del Bindi, risotto giallo e champagne
millésimé (se non lo è, l'animale lo sputa) nella flute
dove riesce a infilare il suo avido linguone; c'è il black-out
giornalistico a Padova, imposto da un procuratore della Repubblica
che proibisce di pubblicare nomi di scippatori di vecchiette,
seviziatori di bambini e mafiosi; ci sono le signore che adattano la
pelliccia al cane che portano a spasso, zibellino per il levriero
russo, montone rivoltato per il dalmata, visone per il doberman. Ci
sono i volumi sulla responsabilità disciplinare dei magistrati che,
da Camilla attentamente letti, elencano gli illeciti che un giudice
deve evitare: per esempio avere una relazione con l' amanuense
dell'ufficio, fidanzarsi con una donna troppo giovane, accusare la
propria moglie di adulterio, insidiare la moglie di un collega.
Cederna ha le doti
essenziali, ma non poi tanto diffuse, per essere un buon giornalista:
prima di tutto non si stanca mai, tanto che, come racconta nel libro,
resta fresca e allegra mentre i suoi più giovani accompagnatori si
sfaldano e si decompongono dalla fatica.(Tanto che una delle vittime
del suo podismo professionale, da Mantova, le ha poi inviato un
sonetto in dialetto, che in un punto, tradotto, dice così: “Il mal
di gambe, non avevo più speranza. / I poveri piedi distrutti, ero
mezzo morto. / Lei invece niente: eh sì me ne sono accorto, / Lei
camminava spedita, e non ne aveva mai a sufficienza: / E a me serviva
invece un' ambulanza”).
Poi è di una curiosità
senza limiti: tutto le interessa, va dovunque, parla con tutti. E'
così che ha scovato, in Porta Romana, l'etiope signora Zagai, che
pettina con estrema destrezza le teste a treccioline delle cuoche e
cameriere di colore che lavorano nelle case milanesi. O si è fatta
raccontare come si fa a rendere appetitoso un piatto da
teletrasmettere: spaghetti quasi crudi e in olio abbondante, albume
d'uovo per simulare un'attendibile schiuma della birra, crema da
barba per simulare gustosi dessert. O è entrata in quelle case della
buona borghesia milanese, dove il fidanzato di papà è accettato
affettuosamente sia dalla moglie che dai figli. Infine, con quella
sua aria soave, sempre perfettamente a posto, pronta ad ascoltare e
ad aiutare, Cederna riceve le confidenze delle persone più
sospettose e ritrose. Le maniache, in là con gli anni, che le
raccontano i mitici assalti di troppi uomini scatenati (e Camilla
annota che i suoi occhi affondano nelle guance che hanno un certo che
di natiche); i tassisti che l'adorano e la portano a spasso per
Milano, gratis, per mostrarle i più bei travestiti, oppure le
raccontano di come si sta bene separati dalla moglie e da due figlie
noiose.
Tra gli inediti c'è un
breve e sapiente ritratto del presidente Francesco Cossiga che aveva
bisogno di vacanze, era di un pallore opalino un po' maculato, e gli
occhi mi sembrarono color ostrica; un pezzo sulla catastrofe di
Chernobyl, con tutte le scemenze dette allora, per ignoranza,
calcolo, malafede. E c'è soprattutto una divertita, maliziosa,
telegrafica biografia di Gaetano Afeltra, che, arrivato da Amalfi a
Milano alla fine degli anni Trenta, è stato un grande e discusso
protagonista della stampa milanese, diventando vicedirettore del
“Corriere”, poi direttore
del “Giorno”, e che oggi collabora al “Corriere” e scrive
libri di successo. Afeltra, un tempo buon amico della Cederna (ma ci
divise la politica, dice lei) non ha gradito quella sua immagine
avvilita; così ha querelato l'autrice, che gli ha attribuito una
collaborazione, in epoca fascista, alla rivista “Libro e moschetto”
(firmata invece, secondo Afeltra, da un suo omonimo). Il piccolo
mondo del giornalismo milanese, che mentre si diletta delle battute e
delle gaffes di Afeltra ne teme l' inimicizia, parla di questo
ritratto con godimento, schierandosi ora dalla parte della coraggiosa
iconoclasta, ora da quella dell'esacerbato gentiluomo. E ne cita,
sussurrando i punti più divertenti: Afeltra che mangia con la testa
nel piatto, la saponaria o il talco accanto al sale, tanto continuava
a macchiarsi; che a tutti i nomi mette la finale e, Camille
(Cederna), Indre (Montanelli), Dine (Buzzati); che fa perdere sempre
i treni ai suoi giornali con grande rabbia degli amministratori; che
non riesce a leggere un libro fino in fondo; che, privo in quel
momento di un giornale da dirigere, il giorno della morte di John
Kennedy si rammarica di non poter fare il bel titolo che immagina:
Stasera Jacqueline dorme sola. E che, contemporaneamente, ha
un grande fiuto per la notizia popolare, riesce ad attirare nelle sue
redazioni le firme migliori, subito dopo la guerra dà una mano ad
alcuni giornalisti molto bravi, ma che si trovano in una situazione
politica difficile. Oggi Afeltra ha 75 anni e Cederna si chiede con
ironia se non sia arrivato per lui il momento di vincere il premio
Nobel.
E la vittima non perdona.
“la Repubblica” 10
dicembre 1986
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