John Dos Passos arriva in
Italia nel dicembre 1917 con la Croce Rossa Americana, a 21 anni, e
viene stanziato nei pressi di Bassano, addetto al trasporto di
feriti. Tiene un diario che registra la sua crescente disillusione,
la pietà per i soldati analfabeti mandati al macello, il disprezzo e
odio per gli ufficiali, per non parlare dei politici che hanno messo
in moto la macchina infernale della guerra. Molto opportunamente
Silvia Guslandi ha tradotto queste pagine inedite in Italia,
L’allegra montagna delle menzogne. Diario della Grande Guerra
(Gammarò).
È un documento molto
fresco, opera di uno scrittore in erba che nei momenti di riposo
legge voracemente Leopardi, Boccaccio, Rabelais, Flaubert, Byron,
Shelley... Nella brevità pregnante del diario vediamo la presa di
coscienza dell’iniquità del conflitto e di come viene gestito: «lo
spettacolo vuoto del mondo intero mandato in guerra a furia di
sferzate in sporche divise grigiastre, a prendere ordini dalle classi
medie nella forma di meschini ufficiali, e dalle sfere altolocate,
nella forma di generali e ‘canaille’ di questo tipo». Da ciò le
posizioni socialiste e anarchiche espresse da Dos Passos nei romanzi
che nacquero dalla sua esperienza, a cominciare da Three Soldiers
(1921), che sarebbe salutare rileggere in occasione delle
«celebrazioni» (come le ha chiamate qualche sbadato annunciatore)
del centenario dell’entrata in guerra dell’Italia. Purtroppo
anche le classiche traduzioni di Pavese e Cambon dell’immensa
trilogia di Dos Passos, U.S.A., che racconta anteguerra guerra
e dopoguerra, attendono da tempo la ristampa.
Oltre alle dichiarazioni
di insofferenza, il diario riporta la vita quotidiana di questi
guidatori di ambulanze privilegiati, reclutati a Harvard e altri
college prima dell’ingresso degli Usa in guerra, come Dos Passos, o
arruolatisi successivamente, come il ragazzo Hemingway. La presenza
in Italia della Croce Rossa Americana aveva una scopo propagandistico
dopo Caporetto: dimostrare alla popolazione prima e alle truppe poi
che la potenza democratica americana era solidale e sarebbero presto
giunti rinforzi militari (che invece non vennero). Dos Passos se ne
risente: «Quello che mi piaceva pensare che stavo facendo era di
tirar via i poveri wop feriti da sotto il fuoco nemico, non di
mandarli a morire allegramente in una guerra che non li
riguardava...».
L’allegra montagna
di menzogne, il titolo dato a questa prima edizione italiana,
riguarda in realtà il romanzo cui Dos Passos lavorava, le menzogne
raccontate agli studenti americani per convincerli a partire
volontari. Perché poi le esperienze vissute da Dos Passos sono ben
poco allegre, anche se ha modo di godersi qualche lunga escursione
fra i monti, e scopre con piacere mai banale Genova, Venezia, Milano,
Roma, che visita nei congedi. I soldati che incontra gli dicono che
«quando tutti saranno morti finirà la guerra, sarebbe meglio un
terremoto che uccida tutti subito». O si potrebbe uccidere un
ufficiale...
Il diario di Dos Passos è
un tassello importante per capire la Grande Guerra attraverso l’amara
esperienza del singolo e il quadro di complicità internazionali in
cui si colloca. E per tornare ad accogliere in Italia uno scrittore
di prim’ordine. L’Italia, sostiene un capitano, «è celebre per
tre cose: D’Annunzio perché è immorale, Caruso perché canta
male, Marinetti perché è un pazzo». A Dos Passos non manca
l’umorismo amaro dei ventenni: «I minuti finali del 17° aborto di
un secolo abortivo stanno volando e le ostetriche del Nuovo Anno sono
di guardia...».
“alias il manifesto
domenica”, 21 giugno 2015
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