Chi si ricorda più della pastina
glutinata Buitoni, esempio di «alimentazione sana e nutriente»,
come proclamava un giovanissimo Paolo Ferrari in un Carosello dei
primi anni Sessanta ancora reperibile, per gli appassionati del
genere, su YouTube? Bisogna essere ormai entrati nella terza età per
sapere che c’è stato un tempo in cui il glutine era considerato
una cosa bella e buona e che proprio la pastina glutinata, messa sul
mercato nel 1884 come «specialità dietetica per bambini e malati»,
è stata per gran parte del ventesimo secolo un prodotto di punta
della Buitoni, grazie anche a un packaging azzeccato e
soprattutto a una pubblicità capace di far leva in modo efficace sul
desiderio pressoché universale di mangiare cose che fanno bene.
Il desiderio naturalmente è rimasto,
ma da una decina di anni il glutine, complesso proteico che si forma
quando la farina di frumento o di altri cereali (avena, farro,
orzo...) viene impastata con l’acqua, è passato dalla parte dei
cattivi. Anzi, è diventato un babau per eccellenza.
A eliminarlo dalla loro tavola sono
stati per primi i celiaci, nei quali il glutine scatena una reazione
del sistema immunitario che provoca a sua volta una grave
infiammazione delle pareti intestinali. Ma presto il quadro si è
complicato: mentre il numero dei celiaci aumentava rapidamente (da
malattia rara, come era considerata un tempo, si calcola oggi che
colpisca circa l’uno per cento della popolazione), la ricerca
medica delineava un’altra possibile patologia dai tratti sfuggenti,
la gluten sensitivity, e intanto cresceva il numero di persone
convinte - magari dopo avere letto un’intervista a Gwyneth Paltrow
- che il pane o la pasta fatti all’antica abbiano effetti dannosi
sulla salute di chiunque. Con il risultato che il mercato globale dei
cibi privi di glutine, già valutato intorno ai 2,5 miliardi di
dollari nel 2010, è aumentato fino a raggiungere solo negli Usa gli
attuali 4 miliardi di dollari (ma c’è chi pensa che la cifra sia
troppo prudente e che in realtà si tratti del doppio).
Proprio nei giorni scorsi, però, la
giornalista Ellen McCarthy sul “Washington Post” ha annunciato
che le fortune del gluten-free sono arrivate al culmine o che
per lo meno sta nascendo un contromovimento pronto a contrastare i
nemici del grano e dei suoi derivati. McCarthy non è la prima. Già
qualche mese fa Hank Campbell su “Science 20” aveva denunciato la
crociata contro il glutine come un fad, una moda, effimera
come tutte le mode, affermando provocatoriamente che questa
pseudoceliachia endemica (secondo dati recenti, un americano su tre
cerca oggi di evitare pane, pasta e simili) è «una malattia trendy
per bianchi ricchi».
In effetti, a giudicare dal gigantesco
giro d’affari che in tutto il mondo, o per lo meno in tutto
l’Occidente, circonda i prodotti privi di glutine, sembra presto
per sostenere che la grande bolla del gluten-free sia sul
punto di scoppiare, ma le argomentazioni proposte da Mc-carthy e
Campbell appaiono fondate, e soprattutto mettono in luce come, per
quanto riguarda il cibo e la salute, moltissimi tendano a pensare che
esistono soluzioni toccasana, buone per tutti, e scelgano di mettersi
nelle mani del “dottor Google”, come il nutrizionista (celiaco)
britannico Ian Marber, interpellato dal “Telegraph”, ha definito
l’abitudine sempre più diffusa di cercare in rete informazioni
sulle malattie che ci colpiscono (o potrebbero colpirci), così come
sulle diete più efficaci.
E sapendo come funziona la circolazione
delle notizie su Internet, e non solo, non c’è da stupirsi che le
dichiarazioni di personaggi famosi come la regina del talk show
Oprah Winfrey o il tennista Novak Djokovic, entrambi nemici acerrimi
del glutine, abbiano maggiore peso del commento preoccupato di Daniel
Leffler, direttore di ricerca presso il Celiac Center del Beth Israel
Deaconess Medicai Center di Boston, che a proposito dell’esplosione
del gluten-free ha parlato di paradosso: «La maggior parte
delle persone che mangiano alimenti privi di glutine non sono celiaci
e la maggior parte dei celiaci, non sapendo di esserlo, continuano ad
assumere alimenti che contengono glutine».
Pochi si rassegnano all’idea che la
medicina è una scienza che procede quasi a tentoni, accumulando ed
elaborando dati, senza distribuire ricette magiche. La dimostrazione,
in questo contesto, la danno gli studi più recenti sulla gluten
sensitivity, che ne attestano l’esistenza, ma esprimono grande
cautela sia sulle caratteristiche della patologia, sia sulla sua
effettiva diffusione (c’è chi parla di 1 o 1,5 per cento sul
totale della popolazione, con percentuali quindi simili a quelle
della celiachia, e chi azzarda un 6 o 7 per cento), sia infine sulle
sue reali cause.
I risultati di una ricerca condotta
presso l’università di Palermo e l’ospedale di Sciacca “in
doppio cieco controllato con placebo” (cioè senza che né i medici
né i malati sapessero cosa stavano somministrando e assumendo)
parlano di «una condizione clinica eterogenea, che comprende diversi
sotto-gruppi di pazienti, con differenti storie e caratteristiche
cliniche» ed evidenziano che l’uso del grano per l’esperimento
fa sì che si aprano dubbi sulla effettiva colpevolezza del glutine,
poiché «altre componenti del frumento, come fruttani e carboidrati
scarsamente assorbibili» potrebbero essere responsabili di questa
“sensibilità”. E a simili conclusioni sono arrivati i
ricercatori australiani Peter Gibson e Jessica Biesiekierski,
pionieri in questo campo, secondo i quali è necessario allargare il
campo e studiare gli effetti negativi dei Fodmap, acronimo che sta
per “Fermentabili Oligo-, Di- e Mono-saccaridi e Polioli”, serie
di carboidrati a corta catena (lattosio, fruttani, fruttosio,
galattani e polialcoli.
Insomma, anche se il business degli
spaghetti a base di quinoa venduti a carissimo prezzo va alla grande,
già si profila il momento - come hanno intuito McCarthy e Campbell -
che le colpe del glutine verranno circoscritte e ridimensionate. Ma
c’è da scommettere che il pendolo riprenderà la sua corsa e tutti
coloro che sono in cerca dell’elisir di lunga vita (e soprattutto
di quel “centro di gravità permanente” di cui cantava più di
trent’anni fa Franco Battiato) avranno a disposizione un’altra
ricetta miracolosa alla quale affidarsi.
"pagina 99 we", 12 luglio 2014
Nessun commento:
Posta un commento