Anche la giustizia stentò
a distinguere attraverso i secoli tra l’uomo e la bestia. Processi
furono intentati agli animali, soprattutto nel XV e nel XVI secolo.
I procedimenti contro gli
animali erano essenzialmente di tre tipi: civili, penali e per
bestialità. (Qualcuno sarà incuriosito: una bestia processata per
bestialità?) Per i processi civili, competente era il tribunale
ecclesiastico, che agiva contro animali «nocivi»: topi, ratti,
mosche, cavallette, gatte pelose, bruchi e insetti recanti danno alla
proprietà privata e ai raccolti. L’intervento era affidato alla
Chiesa perché si supponeva una causa soprannaturale per queste
calamità (fra le 10 piaghe che colpirono il popolo egiziano nel
racconto biblico, c’erano rane, zanzare, mosconi e cavallette), e
si voleva ristabilire l’ordine divino.
La procedura verso questi
animali era meticolosa e garantista. Gli insetti venivano
regolarmente citati, con avvisi pubblici. Un esempio, dalla Val
Chiavenna: il 26 giugno 1659: «... Il molto illustrissimo signor
Vicario e Capitano della circoscrizione di Chiavenna e dintorni,
Armano, (ordina) citarsi per ufficiale giudiziario i vermi, vulgo
«Gatte», che mettono a sacco i fondi privati di detti comuni —
basterà per tutti un’unica copia della presente citazione affissa
ad un singolo albero in ogni comune — a comparire il giorno di
sabato p.v.».
Di solito, i bruchi non
si presentano. Viene allora nominato un curatore che difenda i loro
interessi. Si ingiunge quindi agli insetti di desistere dai
danneggiamenti e di allontanarsi dai luoghi che infestano, ma spesso
viene loro assegnato un territorio su cui possano liberamente
ritirarsi. Viene in-somma riconosciuto loro il diritto di vivere e
mangiare: diritto di origine biblica, sottolineano i loro difensori.
Infatti, nel Genesi (1,30) Dio dice: «A tutte le bestie
selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo, e a tutti gli esseri che
strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io dò in cibo
ogni erba verde».
L’esecuzione di
un’altra sentenza, di Talamona, 1681, prescrive che «il giorno
seguente sia fatta almeno una strada e dei ponti, allo scopo che le
dette gattule comodamente possano passare ed arrivare al monte, cioè
al bosco nominato Artolotto». Se proprio gli animali non
obbediscono, si arriva alla scomunica, talvolta preceduta da un
monitorio.
Colpisce la tolleranza,
il rispetto, per questi animaletti, soprattutto se confrontata agli
atteggiamenti di noi «moderni», abituati agli insetticidi e ai
facili stermini di animali «nocivi» (che in genere rimangono tali
finché non sono in via di estinzione). Qualcuno potrà invece notare
che, non esistendo ancora il Ddt o simili, non c’erano molte altre
possibilità di agire se non l’intervento magico-religioso, che
comunque, viene tramandato, aveva quasi sempre l'effetto desiderato.
Altro tipo di processi
sono quelli penali. Sono quelli intentati da un tribunale laico
contro un animale domestico feritore o uccisore di umani. La bestia
feroce che uccide non è processata, perché ciò è «nella sua
natura». Troviamo così imputati bovini incornatori, asini
scaldanti, cani morsicatori, ma soprattutto maiali: porci e troie,
che dedicati a S. Antonio, vagavano liberi e spesso, stufi delle
ghiande, assaggiavano carne di umano, con preferenza per quella
tenera di esemplari giovani. E allora venivano incarcerati e
processati, con tutti i rituali del caso, e, se condannati a morte,
giustiziati dal boia.
Il terzo tipo di processi
erano quelli per bestialità. Il delitto immondo di cui non bisogna
neanche parlare, «cuius ipsa nominatio crimen est»: insomma
i rapporti sessuali fra umani e non. Solitamente di sesso maschile i
primi, femminile le seconde. L’orrore per questa mescolanza
portava, dopo l’accertamento di colpe e responsabilità, alla pena
capitale e al rogo, sia per l’uomo che per la bestia.
Uno dei nostri autori, il
D’Addosio riporta il caso di un’asina riabilitata ufficialmente,
con un certificato di buona condotta, nel 1750, in Francia, perché
fu provato che essa cadde in colpa non per lussuria, ma perché
costretta dall’uomo, che fu infatti condannato.
“il manifesto”,
ritaglio senza indicazione di data, probabilmente 1985
Nessun commento:
Posta un commento