Aneurin Bevan (1898 - 1960) |
Aneurin Bevan, minatore
gallese e attivo sindacalista, entrò alla Camera dei Comuni
trentunenne, nel 1929. Al tempo nel Labour Party vigeva il principio
che nella rappresentanza parlamentare doveva esserci una forte
percentuale di operai; ma Bevan si rivelò subito un quadro politico
di valore assoluto e divenne presto il leader della sinistra
laburista. Dal 1945 e fino al 1951 fu ministro della Sanità e della
Ricostruzione nel governo laburista di Attlee, quello che organizzò
le basi del moderno Stato sociale. Bevan non condivideva gli eccessi
di prudenza e l'atlantismo di Attlee e pensava di orientare la
politica estera inglese in senso pacifista e neutralista. Già negli
anni in cui governò Bevan fu sottoposto a dure critiche, non solo da
parte dei conservatori, ma anche dai moderati del Labour. Morì nel
1960. Quello che segue è il ricordo che ne fece su “Mondo Operaio”, in occasione della sua morte, Riccardo Lombardi. (S.L.L.)
Riccardo Lombardi |
Ebbi il primo incontro
con Aneurin Bevan nel 1954 insieme ai compagni Santi e Gentili a
Roma. Si era nel pieno della campagna di demolizione scatenata contro
di lui entro e fuori il partito laburista britannico. Mi avvenne
d’interrogarlo sui motivi dell’accanimento quasi isterico di un
giornale, peraltro così autorevole, quale “The Economist”: aveva
forse l’editore di quel giornale ragioni personali di rancore? Mi
rispose scrollando le spalle: «Nulla di personale: si tratta
semplicemente del fatto che essi sono dei capitalisti». Niente più
di tale esclamazione, neppure il famoso discorso elettorale del ’48
(quello, per intenderci, sui « vermi » conservatori) suona
rivelatore della mentalità di Bevan, della totale identificazione,
che fu nel suo temperamento prima ancora che nel suo pensiero, del
socialismo con la condizione operaia: egli rigettava la società
capitalista, come ha notato K. S. Karol, sotto tutte le sue forme,
fossero quelle miserabile e semi-schiaviste conosciute nella sua
infanzia di minatore gallese, fossero quelle prospere
dell’Inghilterra odierna.
Lo vidi per l’ultima
volta l’anno scorso nella sua fattoria vicino a Londra. Si parlò
di due problemi congiunti: l’arretramento delle posizioni classiste
in alcune grandi fabbriche italiane in sede di elezioni di
commissione interna e il fascino che su alcuni strati operai
britannici esercitavano le nuove condizioni di benessere
«conservatore». Le elezioni britanniche avrebbero avuto luogo di lì
a qualche mese ma egli sembrò anticipare il giudizio che più tardi
avrebbe dato a sconfitta avvenuta: «La classe operaia come
consumatrice potrebbe essere indotta a combattere se stessa come
produttrice; il singolo militante sindacale potrebbe essere indotto a
pronunziarsi nelle elezioni contro le conseguenze dell’azione
rivendicativa che egli stesso conduce in seno al suo sindacato».
Barbara Castle ha chiarito successivamente l’esatto senso della
preoccupazione espressa da Bevan, riferendone le osservazioni che
egli le fece sui motivi della diserzione operaia dal partito
laburista nelle elezioni: il sentimento di precarietà di una
situazione di relativo benessere per la prima volta goduto aveva reso
i lavoratori ostili a ogni cambiamento suscettibile di
comprometterla.
Cosi Bevan, che pure era
stato uno dei maggiori artefici dello «stato di benessere», che
aveva dovuto pressoché costringere un partito riluttante con la
minaccia di dimissioni ad assegnarselo come programma nelle elezioni
del ’48, che non aveva esitato ad abbandonare il suo posto di
ministro allorché nel ’51 si accennò a comprometterne le sorti,
finiva, paradossalmente, per attribuire a questa sua creatura la
responsabilità della successiva sconfitta.
Nulla quanto la
spiegazione di tale paradosso vale a stabilire la differenza che
passa fra un riformista e un rivoluzionario quale egli fu.
Per Bevan lo «stato di
benessere» non coincideva per nulla con la società socialista;
inoltre la società capitalistica non solo era per lui radicalmente
negata a consentire lo sviluppo economico, culturale, etico dello
stato di benessere, ma perfino incapace di garantirne la permanenza.
Una tappa dunque, ma solo una tappa, attardarsi sulla quale significa
la più vile e gratuita delle abdicazioni. Quello che Bevan non cessò
di rimproverare al suo partito fu perciò il rifiuto a procedere
innanzi, con che una grande conquista proletaria, privata dei
naturali sviluppi conseguibili solo a prezzo di una lotta decisa, si
riduceva inevitabilmente nelle mani della borghesia, a uno strumento
di potere e anche di corruzione.
Ecco perché nel 1951
Bevan si dimise da ministro responsabile dell’attuazione del
«welfare state», cioè dal ministero della sanità: non già, come
si cercò di far credere allo scopo di minimizzare il gesto, per una
irrilevante questione di pochi scellini richiesti per le cure
dentarie; ma perché la politica di riarmo intensivo accettata dal
governo laburista su suggestione del ministro degli esteri E. Bevin,
rendeva materialmente impossibile consolidare il «welfare state» e
assicurarne gli sviluppi e le conseguenze implicite. Giustamente
perciò è stato osservato che la vera causa delle due successive
sconfitte elettorali laburiste risiede nelle scelta fatta nel 1951.
Garantire i lavoratori
contro il tentativo di integrarli nell'ordinamento capitalistico
corrompendoli con i cascami di benessere e cancellandone la coscienza
di classe; puntare sulla coscienza di classe per dare una soluzione
democratica al vero problema delle società moderne che consiste nel
come consentire un certo grado di autolimitazione rivendicativa per
dare ad un governo capace di ottenere la fiducia dei lavoratori i
poteri necessari per gli investimenti produttivi dai quali dipende e
lo sviluppo futuro e la permanenza del benessere presente;
approfondire le riforme sociali attuali ed estenderle facendo
assegnamento principalmente sulla nazionalizzazione delle industrie
chiave, in maniera da dare ai lavoratori una prospettiva e uno scopo
capaci di giustificare l’appello a richiamare o mantenere al potere
un governo socialista, poiché se ci si dovesse assidere sulle
conquiste fatte, tanto varrebbe affidarne la gestione a un governo
borghese che almeno offre il vantaggio di preservarle dai rischi di
una politica audace; dare ai lavoratori una visione mondiale dei
problemi politici ed economici, dei legami che la lotta per la pace,
per la liberazione dei popoli oppressi ha con gli interessi vitali e
permanenti di ciascuna classe operaia nazionale (Bevan fu uno dei
primissimi a impostare il problema dei paesi sotto-sviluppati);
contestare risolutamente e senza debolezze nei paesi sviluppati ogni
suggestione autoritaria non solo se negatrice ma anche se soltanto
tiepida nei confronti della libertà individuale. Tali sono gli
aspetti più significativi della visione politica ed etica di Bevan
ricavati dalla sua milizia più che dagli scritti e discorsi e che
contengono implicitamente una risposta organica a tutte le questioni
decisive per un socialista, sul neocapitalismo,
sull’internazionalismo, sulla democrazia, sul rapporto sindacale
del partito. Visione e milizia che, congiunte, testimoniano di un
grande democratico, un grande rivoluzionario, la cui scomparsa, come
da molti è stato detto, ci impoverisce tutti.
Ci impoverisce
soprattutto nel momento in cui le tendenze all’abbandono delle
posizioni socialiste accentuatesi in alcuni grandi partiti operai,
nella socialdemocrazia tedesca principalmente e nello stesso Labour
Party, avrebbero più bisogno di essere contrastate sotto la guida di
un combattente risoluto ed intrepido, di statura mondiale quale Bevan
fu.
I socialisti italiani
sono colpiti più di tutti: egli ci fu compagno, amico, consigliere.
Sarà difficile dimenticare l’uomo; dimenticarne l’insegnamento e
l’esempio, impossibile.
Mondo Operaio,
luglio-agosto 1960
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