Allungate la mano, lo
mostrate all’inserviente, che ve lo restituisce, con un sorriso
misto d’imbarazzo e rimprovero. No, non potete entrare, il
biglietto non è valido, mi dispiace. Eppure il giorno è quello
giusto, e il nome dello spettacolo è scritto chiaro e tondo. Meglio
non insistere. Compratene un altro, se c’è ancora posto; oppure
tornatevene a casa, che non è poi la fine del mondo.
Di simili biglietti falsi
è piena la storia europea. Promesse di assimilazione non mantenute,
odi e discriminazioni invece di accettazione. Henrich Heine, il
grande poeta romantico di orgine ebraica, definiva così il propria
attestato di battesimo: un biglietto d’ingresso per la società
europea. E, alla fine della sua vita, confessava di averlo pagato
troppocaro, e di non averlo neppure potuto usare davvero. Porte
chiuse nel gran teatro sociale d’Europa. Così si potrebbe
riassumere, con un’immagine, l’ascesa e il naufragio
dell’assimilazione ebraica nel Vecchio continente tra Otto e
Novecento, una pièce infelice, trasformatasi poi in tragedia
e culminata nella Shoah. Giuntina propone, per la prima volta in
italiano, uno studio di Zygmunt Bauman (Visti di uscita e
biglietti di entrata. Paradossi dell’assimilazione ebraica,
traduzione di Rosanella Volponi, postfazione di David Bidussa,
Giuntina, Firenze), sui paradossi di questo processo assimilatorio,
cominciato mille volte e mai portato a termine.
Il saggio originale è
del 1988, e Bauman non vi usa il lessico che lo avrebbe reso celebre
negli anni successivi. Non leggiamo, insomma, né di società liquida
né di globalizzazione. Piuttosto, si respira nel saggio un’atmosfera
novecentesca, fatta di speranze ancora vitali e - verrebbe da dire -
d’illusioni non sopite. Benché critico e lucido verso gli errori
del passato, Bauman stesso ha attraversato la temperie
assimilazionistica e ne è stato influenzato. Né questo è
necessariamente un limite, giacché si ha la sensazione che, al di là
dell’oggettività dello studioso, l’uomo partecipi profondamente
al dramma storico che analizza. In tutto lo scritto, Bauman rimane
fedele al titolo. Resta, per così dire, sulla porta, laddove si
controlla chi entra e chi esce. La tesi, che dipende
dall’antropologia sociale di Fredrik Barth, è quella che siano i
confini, più che i contenuti culturali, a perpetuare le esclusioni.
Conversioni al cristianesimo e identificazione con i vari
nazionalismi, uno sforzo immane per rendersi eguali, "invisibili",
bene accetti. Tutto inutile, il biglietto è scaduto oppure falso.
Tu, voi, qui non entrate. E oggi, quando tutto sembra di nuovo
normale, siamo proprio sicuri che l’ingresso sia permesso a tutti?
Il controllore ha, finalmente, imparato la lezione?
“Il sole 24 ore –
Domenica”, 18 gennaio 2015
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