La regina ad Ascot |
Arrivare ad Ascot, in un
lungo ‘pomeriggio dorato’, come per Alice significa passare in un
attimo dall’altra parte dello specchio. In un paese delle
meraviglie magari un po’ kitsch, per un occhio non assuefatto alla
britannicità più spericolata. Ma travolgente, affascinante,
contagioso. Dove non ti limiti a incontrare aristocratici in tight e
cilindro appena usciti dai piani alti di Downtown Abbey, ladies in
tacchi himalayani e cappelli architettonici, pannose dame di mezza
età confezionate in abitini fluo, sicuramente una regina – meglio:
The Queen, ‘la’ regina – oltre a numerosi guardiani in bombetta
che ti indirizzano gentili. No, lì per cinque giorni, quanto dura la
settimana di horse races (18 in totale da martedì a sabato) più
famosa del mondo, sei anche tu un personaggio della favola, visto che
il dress code, il codice di abbigliamento delle Royal Enclosures, il
recinto più esclusivo, è rigido e inappellabile. Morning coat,
waistcoat’ e top hat, ovvero tight, panciotto e cilindro per i
gentlemen; cappello, gonna sotto il ginocchio e spalle coperte per le
signore (anche se poi, okay, non è proprio sempre così).
Per penetrare nel sancta
sanctorum del sogno british, il più esclusivo fra gli eventi
sportivi della season mondana – dove non a caso Audrey
Hepburn-Eliza Dolittle di My Fair Lady fa il suo debutto in società…
– occorre essere invitati da qualcuno che faccia fa parte del club
da almeno quattro anni. I soci sono circa 80 mila, ma non si palesano
mai tutti insieme. Elisabetta II arriva in carrozza ogni giorno alle
14, sfilando felice e gloriosa sul campo di gara, fa un cenno o dice
‘hallo’ a qualche privilegiato, poi si ritira nel box reale a
godersi l’amato spettacolo (sono 22 i cavalli di sua proprietà che
hanno vinto una gara ad Ascot). Non che il popolo – si fa per dire
– fuori dal recinto reale se la passi male. Veste comunque
eccentrico, si gode un flute di Pimm’s, scommette, consuma picnic
nel verdissimo prato che fa da parcheggio estraendo seggiole e
tovagliette da capientissimi bagagliai (di Bentley, perché no, di
Jaguar e persino Rolls-Royce). Affittare un gazebo a un soffio dal
traguardo – a proposito: giovedì Frankie Dettori ha vinto la sua
50esima gara ad Ascot – costa 500 sterline (circa 700 euro) ma
bisogna sganciarne 200 per il servizio. «Anche in tempi di crisi
economica», ha scritto un esperto di corse e del luogo, Alistair
Down, «Ascot dà modo ai ricchi di esibire il loro benessere. Ma le
cose sono cambiate, oggi è l’occasione per molta gente normale di
passare una giornata speciale. E’ diventato più moderno, e meno
anacronistico».
Al passo con ciò che avviene in sport più plebei
del resto sono gli investimenti dei due fratelli sceicchi fratelli
Fahad e Hamad al-Thani, proprietari della Qatar Racing, 70 milioni di
euro dal 2014 al 2024. I responsabili della Longines, lo sponsor
svizzero che ad Ascot segna letteralmente il Tempo, spiegano che
l’evento è in perfetta sintonia con il loro marchio, insieme
‘esclusivo e friendly‘, per nulla respingente nonostante il
blasone impressionante: The Royal Ascot, per chi non lo sapesse, nel
2011 ha festeggiato 300 anni di storia.
Ad Ascot durante le gare |
Nel 1711 fu la regina
Anna, mentre cavalcava nei paraggi di Windsor, a scoprire quei 72
ettari di prati «ideali perché i cavalli possano galoppare a tutta
velocità» e a battezzare la prima edizione (ignoto il vincitore).
Al 1768 risale – pare – il primo Royal Meeting, al 1813 il
decreto del Parlamento che ne garantiva l’utilizzo esclusivo per le
corse. Ancora oggi è Buckingham Palace che ne nomina
l’amministratore: Elisabetta, del resto, non se ne è persa
un’edizione dal 1952. Il montepremi totale è di 7,6 milioni di
euro, 300 mila circa gli spettatori; 200 i paesi collegati via tv, 42
mila le bottiglie di vino stappate, 2900 le aragoste, 400 gli
elicotteri che vanno e vengono, 1000 le limousine. Il percorso, un
miglio e poco più di erba Berkshire rasata a 4 inches (10
centimetri) ha fama di essere durissimo per cavalli e fantini. E’
la Formula 1 dell’ippica, qui vince solo chi ha muscoli di seta e
una condizione perfetta, ma capire di cavalli non è essenziale per
puntare, vincere, perdere, passare un pomeriggio in relax. «Ascot è
un garden party che comprende alcune gare», sosteneva giustamente
Edoardo VI. La differenza è che fra i vialetti di quel mondo
incantevole e stracolorato oggi non camminano soltanto i re, ma anche
le Alici dello specchio accanto. Purché indossino un cappellino,
ovviamente.
“La Stampa”, 20
giugno 2015, ora nel sito “Curiosi di sport”, 23 giugno 2015
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