Leo Valiani, esponente di primo piano
della Resistenza giellina e del Partito d'Azione, poi storico,
editorialista e, negli ultimi anni, senatore a vita, aveva condiviso
con Pietro Secchia la militanza comunista e il carcere fascista nei
primi anni Trenta del 900.
In un suo libro pubblicato
nell'immediato dopoguerra tracciò questo ritratto di “Botte” (il
nome usato da Secchia nella clandestinità). (S.L.L.)
Pietro Secchia nel 1928 |
Botte tracciava il
programma di vita per tutti. Era molto semplice: appena si erano
finiti gli anni di carcere, si ricominciava a combattere. Chi ritorna
in libertà, prende il posto di chi è arrestato. Si forma così una
catena circolare, che il fascismo non riuscirà mai a spezzare. Un
giorno o l’altro, il fascismo si troverà in crisi, per ragioni
internazionali o economiche. Quel giorno la nostra catena lo
paralizzerà, lo serrerà alla gola.
Erano le stesse cose che
avevo appreso da Rosselli nel 1926, ma Rosselli ne faceva una teoria
di élite. Botte ne faceva la norma di vita di migliaia di
giovani operai, impiegati, contadini. I pochi, che con lui non
andavano d’accordo, dicevano che era settario. Avevano ragione; era
settario, e all’occorrenza acido e aspro. Ma la sua setta era
vastissima.
Da Tutte le strade
conducono a Roma, Firenze, 1947.
Citato in Marco Albeltaro, Le rivoluzioni non cadono dal
cielo. Pietro Secchia,
una vita di parte, Laterza, 2014
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