Un lemure del Madagascar |
Studenti che non
potrebbero sostenere il costo di uno studio sul campo vengono
finanziati da uno scienziato straniero, imparando così a conoscere e
valorizzare il patrimonio naturalistico locale. Succede in
Madagascar, dove oltre a 103 diverse specie di lemuri troviamo un
esempio virtuoso di ricerca scientifica.
Chiunque voglia svolgere
uno studio sull’isola deve infatti ottenere un permesso dal
ministero dell’Ambiente, il ministère des Eaux et forèts,
facendo richiesta circa due mesi prima della partenza e indicando
budget, progetto e collaboratori. Viene così scelto un ente di
riferimento malgascio, che può essere un dipartimento universitario
ma anche uno zoo, un museo o un orto botanico. Questa controparte,
una volta approvato il progetto, fornisce appoggio logistico e si
occupa di selezionare uno studente. Un giovane in cerca di una tesi e
interessato all’ambito di ricerca proposto dagli scienziati
stranieri. Questi, grazie a finanziatori pubblici o privati che ne
sostengono gli studi, si impegnano a coprire tutti i costi sul campo
e quelli di produzione della tesi, dalla raccolta dei dati fino alla
stampa delle copie, oltre al viaggio di andata e ritorno dello
studente verso il sito di studio e una piccola paga giornaliera.
«Se esiste al giorno
d’oggi una giovane generazione di malgasci in grado di rivestire
ruoli gestionali, ed esporre i risultati delle ricerche in congressi
internazionali, parte del merito è da attribuire proprio a questo
sistema di sovvenzione per gli studenti, intelligente e
lungimirante», racconta a “pagina99”, Giuseppe Donati,
professore associato in biologia e conservazione dei primati alla
Oxford Brookes University. «La mia esperienza in Madagascar ha avuto
inizio nel 1995, e alcuni degli studenti che ho sovvenzionato ora
lavorano per organi governativi o enti internazionali che si occupano
di conservazione».
Il sistema che finanzia
gli studenti locali è in vigore dagli anni Novanta, quando la
ricerca scientifica sui lemuri ha subito una forte impennata. In
Madagascar l’élite universitaria è sempre rimasta piuttosto
indipendente dal governo, un’autonomia rivelatasi preziosa nella
difficile situazione socio-politica che ha seguito il colpo di stato
del 2009. Il governo di Andry Rajoelina non è stato riconosciuto a
livello internazionale, determinando la sospensione degli aiuti da
parte dell’Unione europea e contribuendo a rendere il Madagascar
uno dei paesi più poveri al mondo.
Se c’è però un ambito
in cui l’isola non è mai stata lasciata sola, è proprio la tutela
della sua più grande ricchezza: la biodiversità. Nel 2013 ha
infatti avuto inizio un piano d’azione targato Iucn (l’Unione
mondiale per la conservazione della natura), una strategia
internazionale per la salvaguardia dei lemuri e del loro habitat
naturale, che continuerà fino al 2016. Tra i firmatari del progetto,
racconta Donati, ci sono anche tre suoi ex-studenti, ora
conservazionisti, che hanno partecipato alla raccolta dati per la
tristemente famosa lista rossa della Iucn, il più importante
database sullo stato di conservazione delle specie. I risultati del
tutorag-gio da parte di ricercatori stranieri, insomma, si vedono
già.
Eppure le difficoltà non
mancano, perché spesso gli studenti malgasci hanno una preparazione
di base molto limitata. Questo rende il tutoraggio piuttosto faticoso
per gli scienziati stranieri. Si tratta tuttavia di giovani pronti a
collaborare e desiderosi di apprendere, oltre al fatto che vivere
insieme per mesi in una foresta comporta condividere molte cose,
racconta Donati. «Significa maturare la consapevolezza che la
diversità può diventare ricchezza, e aprirsi a comprendere l’altro.
Ciò che ci separa, spesso, è solo il differente paesaggio di un
obiettivo comune». Grazie al tuto-raggio gli studenti locali hanno
fatto proprio l’approccio scientifico dei ricercatori stranieri,
mentre questi ultimi si sono avvicinati alla mentalità malgascia
tramite l’intermediazione dei loro giovani (futuri) colleghi; molti
partono per il Madagascar per studiare i lemuri e tornano innamorati
dell’isola e della sua cultura. Gli abitanti dei villaggi non
sempre sono consapevoli del ruolo fondamentale svolto dai lemuri
nell’ambiente: prima della scuola secondaria, molti giovani
malgasci un lemure nemmeno sanno cosa sia. Manca un curriculum
educativo di base sulla fauna locale. E su questa situazione che chi
lavora alla conservazione deve intervenire: sensibilizzare la
popolazione, e formare esperti locali che possano fare da mediatori.
Vedere che gli studenti si muovono da tutto il mondo per aiutare il
Madagascar sta suscitando un senso di orgoglio nelle popolazioni
locali, e la consapevolezza che ciò che esiste nelle loro foreste
non si trova altrove.
Il lavoro da fare, in
ogni caso, è ancora molto. Il sistema di sovvenzionamento degli
studenti locali ha favorito la formazione di una parte della classe
medio-alta della società, ovvero giovani le cui famiglie possono
permettersi di mandarli all’università. Un privilegio destinato a
una piccola fetta di popolazione, escludendo gli abitanti dei
villaggi limitrofi alla foreste che guardano a questa élite
con sfiducia. Si tratta comunque di un risultato non da poco,
rispetto ad altri Paesi in cui i quadri dirigenziali non hanno una
preparazione adeguata e sono spesso corrotti. «Questa generazione
sarà pronta a influenzare le politiche di conservazione in senso
positivo, speriamo meno attratta da profitti a corto termine.
Tuttavia, per il contadino che taglia la legna nella foresta, poco
cambia se a gestire la conservazione è un europeo o un malgascio
della capitale». Queste persone rappresentano l’80% della
popolazione e vivono in condizioni di estrema povertà: servono
perciò esempi concreti che leghino la presenza e la tutela dei
lemuri e del loro habitat a un futuro più prospero. I vantaggi, in
ogni caso, superano gli svantaggi. «L’anno scorso ho partecipato
alla commissione di laurea di una giovane malgascia, che aveva
lavorato con un mio studente italiano di Pisa», racconta Donati.
«Vederla laurearsi nel suo Paese, con una tesi di qualità
paragonabile alle nostre, è stata una grande soddisfazione. E sopra
ogni altra cosa una speranza, potremmo dire l’unica reale, di
vedere presto un cambiamento in Madagascar».
"pagina 99", 12 luglio 2014
"pagina 99", 12 luglio 2014
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