Giovanni Altamore, che a Gela m'era collega e compagno e che scherzosamente solevo chiamare Giovanni Artabazo |
A Gela, in una delle
prime riunioni di sezione cui mi toccò partecipare, nel 1972,
intervenne un vecchio compagno bracciante che si produsse in una vera
e propria invettiva: "I riformisti ci hanno tradito e ci hanno
venduto. Di tanti anni di lotte hanno approfittato loro per fare le
loro speculazioni e i loro comodi".
In quel tempo non era il
"riformismo" il bersaglio prediletto dal partito e non era
a cagione del riformismo che si polemizzava contro i compagni
socialisti, per cui non capivo chi fosse il destinatario di quelle
frecciate e quali fossero le ragioni di tanta rabbia.
Gli interventi successivi
e le conclusioni del segretario cittadino (era Giovanni Altamore) non
ripresero la questione, per cui solo a fine riunione, a tarda sera,
mi fu spiegato l'arcano da Totò Crocetta e Nené Carfì, con i quali
feci un tratto di strada.
"Riformisti"
nel gergo dei contadini gelesi erano quei braccianti fortunati che,
dopo l'occupazione delle terre incolte e le altre dure lotte per la
riforma agraria, avevano goduto della parziale vittoria, essendo
stati estratti a sorte come beneficiari della espropriazione e
divisione in piccoli lotti del latifondo. Molti di loro, in periodi
diversi, avevano poi venduto quelle terre, che senza bonifiche e
investimenti consistenti non erano in grado di produrre un reddito
sufficiente per la famiglia.
Alcuni, i cui lotti non
erano molto distanti dall'abitato, avevano marginalmente partecipato
alla grande abbuffata legata all'abusivismo "di necessità". In una città in cui il
bisogno abitativo cresceva molto, in mancanza di un piano regolatore
adeguato e di interventi pubblici, i proprietari dei terreni vicini
al già edificato, dentro l'abitato o ai margini di esso, vendevano
piccolissimi lotti, anche di 100 o 200 mq, fingendo negli atti
ufficiali che si trattasse di terreno agricolo a prezzi agricoli per
uso agricolo. Su quelle aree si ergevano, in buona parte con il
lavoro degli stessi proprietari, scadenti edifici di due o tre piani
in zone spesso prive di viabilità e povere di
servizi (luce e acqua in genere arrivavano benché si trattasse di
abitazioni non registrate, talora senza via e numero). Ricordo - ma
potrei sbagliare - che le abitazioni abusive assommavano al numero di
20 mila, coprendo più di un terzo del bisogno abitativo.
Come è evidente non si
trattava tanto di speculazione edilizia, quanto di speculazione
fondiaria. La parte del leone l'avevano avuta alcune famiglie di
grandi proprietari (i Mattina, i Callea), ma le briciole erano
arrivate anche ai piccoli proprietari e perfino a qualche beneficato
della riforma agraria, a qualche "riformista". Il vecchio
compagno era fortemente irritato di questo fatto, più che della
speculazione dei "signori", che lunghi secoli di
oppressione gli avevano reso più tollerabile.
Sono ricordi di un altro tempo, di un'altra storia, di un'altra vita in un certo senso, ma non credo casuale che, nel tempo delle riforme di Renzi, mi siano tornati in mente "i riformisti che speculano e che ci hanno traditi e venduti".
Sono ricordi di un altro tempo, di un'altra storia, di un'altra vita in un certo senso, ma non credo casuale che, nel tempo delle riforme di Renzi, mi siano tornati in mente "i riformisti che speculano e che ci hanno traditi e venduti".
Stato di fb, 17 agosto 2015
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