Van de Palts - Ritratto della pricipessa Liselotte |
Il 16 novembre 1671,
sedici mesi dopo la tragica fine di Enrichetta d’Inghilterra,
Filippo d’Orléans, detto Monsieur, fratello di Re Sole, è
costretto, nonostante la sua scarsa propensione per le donne, a
riprendere moglie. Si dice che a convincerlo sia stata la promessa,
da parte di Luigi XIV, di richiamare dall’esilio il suo favorito,
quel cavaliere di Lorena, su cui gravava il sospetto di aver fatto
avvelenare Enrichetta. Ma la nuova sposa prescelta, Elisabetta
Carlotta, figlia dell’Elettore palatino, non ha bisogno di
conoscere questi foschi retroscena per «bramire di dolore» nella
carrozza che la porta in Francia; Liselotte, come la chiamano a casa,
ama con passione la sua famiglia, il suo Paese, la sua religione -
per imparentarsi con il Re Cristianissimo si impone naturalmente
l'abiura del protestantesimo - ed è improvvisamente costretta dalla
ragion di Stato a separarsene per sempre.
Nell’accogliere con
ironica condiscendenza la nuova Madame, sulla cui
indiscutibile mancanza di bellezza, di eleganza, di grazia, pesa il
ricordo del fascino di Enrichetta e il comico confronto con
l’effeminato consorte, la corte di Re Sole è lontana
dall’immaginare che quella tedesca, così goffamente refrattaria ad
assimilare il suo sistema di valori e il suo codice mondano, è
destinata a diventare la sua cronista implacabile, a smascherare le
sue debolezze e le sue miserie. Mentre Saint-Simon depositerà le sue
ossessioni e i suoi rancori nelle pagine di un immenso memoriale
segreto, Madame affiderà la cronaca della sua vita,
inestricabilmente intrecciata a quella della famiglia reale francese
e della sua corte, alle pagine sparse di un immenso epistolario.
Fin dal suo arrivo in
Francia, per i successivi cinquant’anni, Liselotte dedica, non
appena le è possibile, alcune ore della sua giornata a redigere
lettere. Per avere un’idea della mole di questo carteggio basti
pensare a quel che ne è sopravvissuto: oltre quattromila lettere,
scritte per più di tre quarti negli ultimi vent'anni di vita e
indirizzate a una settantina di destinari.
Madame non ha
alcuna ambizione artistica, scrive per combattere la solitudine, la
nostalgia, scrive per fedeltà agli affetti familiari, per bisogno di
confidarsi con chi pensa e sente come lei e. non ultimo, per il
piacere di raccontare. Prigioniera della reggia più popolata e
fastosa d’Europa. Madame scrive, scrive, scrive per
sottrarsi a un mondo che le è sostanzialmente estraneo e per
cancellare la distanza che la separa da ciò che ama.
Delle molte prove che
attendono Liselotte in Francia, l'omosessualità del marito è
probabilmente una tra le meno gravose da sopportare. Le circostanze,
certo non travolgenti, grazie a cui Monsieur l'ha messa in
grado di assicurare la discendenza degli Orléans, unite a un
temperamento estremamente placido e un forte senso della propria
dignità, le fanno accettare filosoficamente di «ridiventare
vergine» a ventiquattro anni. Inoltre, nonostante la sua ruvida
saggezza, Madame custodisce un sentimento segreto: non a
Monsieur, ma al suo reale cognato ella ha dedicato, in totale
innocenza, il suo cuore.
Generosa, bonaria ed
esente da ambizioni, retta ma non bigotta, con un innato senso della
regalità, amante della natura e degli animali piuttosto che del
potere e degli intrighi di corte, la Principessa Palatina — è
questo il titolo con cui passerà alla storia — è accolta con
simpatia da Luigi XIV. Egli concede alla cognata un'attenzione
particolare, ne fa la sua compagna di caccia e di cavalcate, si
diverte del suo spirito franco e un po’ brutale, le dimostra stima
e affetto Ma la fragile felicità di Liselotte va in frantumi con la
comparsa di Madame de Maintenon. Consapevole che l’ambizione della
nuova favorita è di impossessarsi della coscienza del re e di
monopolizzarne la fiducia e la confidenza. Madame viene travolta
dalla gelosia e il suo rancore, appena dissimulato sotto la maschera
del cerimoniale e dell’etichetta, esplode, incontenibile, nella
corrispondenza.
Il Re si vendica
dell’insubordinazione della cognata e degli epiteti oltraggiosi —
«vecchio pattume», «vecchia Rompompel», «pantocrate» — di cui
ella gratifica, con accanimento ossessivo, in lettere puntualmente
intercettate dalla censura, Madame de Maintenon, privandola della sua
benevolenza. Non più protetta dal favore reale, Liselotte è esposta
inerme alle cabale e ai soprusi dei mignons del marito che
dettano legge sulla sua casa, all’avarizia e al cieco egoismo di
Monsieur, Madame è ormai una comparsa senza credito né
autorità in un sistema che respinge e abbandona chi è colpito
dall’interdetto del monarca.
Ai dispiaceri e alle
mortificazioni personali si assommano intanto — dolori ben più
atroci — le tragiche conseguenze della politica di potenza di Re
Sole: l’amato Palatinato è messo per ben due volte a ferro e fuoco
dalle truppe francesi e i protestanti sono fatti oggetto di nuove,
violente persecuzioni. La tirannide di Luigi XIV non risparmia
nemmeno la sua famiglia, calpesta le regole del sangue e dell’onore:
l’unico figlio maschio di Monsieur e Madame, Filippo,
è costretto a prendere in moglie una delle bastarde nate dagli amori
del monarca con Madame de Montespan.
Trincerata dietro un
dignitoso isolamento la Palatina si difende con la sola arma in suo
possesso, il disprezzo. Alla morte di Monsieur (1701),
tuttavia, non più garantita dallo status di moglie, Liselotte è
costretta ad abdicare anche all’orgoglio e ad umiliarsi davanti
alla «vecchia puttana», ma, con commovente schiettezza, grida al
re, finalmente disposto a una riconciliazione formale, il suo
lacerante segreto: «Se non vi avessi tanto amato, non avrei odiato
così Madame de Maintenon».
La vecchiaia regala
finalmente a Madame un po’ di serenità. Sopravvissuta a
tutta la famiglia reale — quella famiglia di cui ha lasciato nelle
sue lettere una terribile «autopsia» —, a Monsieur, al
Gran Delfino, ai duchi di Borgogna, a Luigi XIV, all’odiata
Maintenon, la Palatina ha la gioia di vedere il figlio prediletto,
Filippo d’Orléans, assumere la reggenza del regno (1715). Ma i
tempi sono profondamente mutati, sono troppe dissonanti dalla morale
a cui Madame si è sempre mostrata fedele: meglio continuare
ad astenersi dagli intrighi politici, godere invece delle bellezze
dei giardini di Saint-Cloud, passare in rassegna le sue preziose
collezioni di minerali e di monete antiche, accudire alla sua nidiata
di cani e, naturalmente, dedicarsi alla sua corrispondenza nel
piccolo studio tappezzato di ritratti degli avi palatini, prepararsi
ad accogliere coraggiosamente la morte, che sopraggiunge nel luglio
del 1715.
Il modo migliore per fare
la conoscenza di Madame è senza dubbio quello di leggere il
suo appassionante epistolario e i lettori italiani ne avranno presto
a disposizione um scelta curata da Daria Galateria per l’editore
Sellerio. Tuttavia l’affettuosa biografia che Arlette Lebigre,
studiosa di storia delle istituzioni, ha appena dedicato a La
Princesse Palatine (Edizioni Albin Michel) presta ascolto, oltre
che alla voce di Madame, a quella dei suoi contemporanei e ci
fornisce, con esattezza e competenza, gli elementi storici
indispensabili per ricostruire una vicenda dove anche i dettagli più
privati non si sottraggono agli ingranaggi di quella immensa,
onnicomprensiva macchina scenica a cui Luigi XIV aveva affidato lo
spettacolo della sua grandezza.
Tuttolibri La Stampa, 6
settembre 1986
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