L'aveva scampata bella. Chabod,
studente presso la Facoltà di Lettere di Torino, aveva accettato di
sostenere vari esami per conto di uno studente della Facoltà di
Giurisprudenza. Fu scoperto. E rischiò di vedere spezzata, prima
ancora d’iniziarla, la carriera accademica. Riuscì a salvarlo
Pietro Egidi, professore di storia moderna. Chabod, dopo di allora,
non commise più falli. Anche se, nel 1925, provetto alpinista,
organizzò l’espatrio, attraverso il Piccolo San Bernardo, di
Salvemini. Redattore dal 1928 dell’Enciclopedia Italiana,
pubblicò nel 1934 Lo Stato di. Milano nell’impero di Carlo V
e nel 1935 ebbe la cattedra. Collaboratore dell’Ispi, divenne poi,
senza mai abbandonare il Rinascimento, un profondo conoscitore della
politica estera italiana.
Risale al 1951 la sua celebrata
Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896. Nel
frattempo (morto assai presto Egidi) era stato allievo di Volpe,
sodale di studiosi come Maturi e Morandi, attivo nella Resistenza,
uomo politico in Val d’Aosta per un periodo importante nella storia
della piccola regione, maestro indiscusso di generazioni di studenti
(che molto lo ammirarono), autore di corsi memorabili e pubblicati
postumi (come quello su L’Italie contemporaine, tenuto alla
Sorbona nel 1950 e destinato a vendere, in varie ristampe, presso
Einaudi, 200.000 copie). Si consideri, inoltre, che negli anni
cinquanta diresse il prestigioso Istituto Croce (fucina formidabile
di talenti storiografici) e fu attivissimo tessitore di politiche
accademiche. Non si può certo sostenere che la storiografia
italiana, prima o dopo la morte, lo espunse. L’editore Einaudi, tra
l’altro, fece uscire le sue Opere già a partire dal 1964.
Nato nel 1901 e morto prematuramente
nel 1960, Chabod, per la sua multiforme attività, è stato forse,
dopo Croce, il più studiato storico italiano del Novecento. Non meno
di Salvemini e Volpe, che pure, oltre a una vita assai più lunga,
ebbero, su fronti contrapposti, una “politicità” esplicita ben
più visibile della sua. E probabilmente più di Cantimori,
Momigliano, Omodeo, Salvatorelli, Sestan e Venturi. Ne è prova il
fiorire di riflessioni e ricerche. Vengono infatti ora pubblicati, a
cura di Marta Herling e Pier Giorgio Zunino, gli atti del convegno
tenutosi ad Aosta in occasione del quarantennale della morte. Al
centro vi sono, oltre a Machiavelli e alla politica estera, oltre
alla ricezione (assai ampia) della sua opera storiografica e ad
alcuni aspetti del suo pensiero politico, quegli scritti sull’idea
di nazione e sull’idea d’Europa che germinarono dalle lezioni del
1943-44. Nell’approccio di Chabod allo scenario internazionale vi è
un impasto di realismo (con tanto di attenzione per la politica di
potenza) e di mai sopite pulsioni ideali. Ciò lo accomuna a
personaggi, diversissimi tra loro e da lui, come Croce, Gentile,
Gobetti e Gramsci.
Particolarmente utile, a questo
proposito, in particolare per il rapporto con Croce, è la ristampa,
peraltro accresciuta, del libro di Sasso, già uscito nel 1985 con
lo stesso titolo e costruito intorno al Profilo di Federico
Chabod, pubblicato su rivista nel 1960 e in volume nel 1961. Il
Carteggio del 1959, ora dato alle stampe, rende nota, infine,
la rottura maturata tra Chabod e Momigliano. All’inizio vi era
stato un necrologio, giudicato da Chabod “poco simpatico”,
scritto da Momigliano in occasione della morte del filosofo Carlo
Antoni. Un necrologio che ancor oggi appare in effetti supponente. Ne
scaturì un acido scambio epistolare che ebbe a che fare con lo
storicismo crociano, ma anche, in una sorta di effetto-valanga, con
la “nazificazione” d’Italia. Quand’era cominciata? Per Chabod
nel 1938, con gli italiani “brava gente” restii ad accettarla.
Per Momigliano, sul terreno della genesi del razzismo, già nel 1933,
o prima ancora. Per “tono” e per “stile” si sta dalla parte
del pur brusco Chabod. Ma la storiografia più recente tende a dar
ragione a Momigliano.
L'Indice, dicembre 2002
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