L'astronauta Armstrong, dopo la grande impresa, fu ingegnere aeronautico per la Nasa e insegnò in Università statunitensi. Questa è forse l'ultima delle sue rare interviste. (S.L.L.)
«La gente ama le teorie di cospirazione, ed è vero che ne vennero fuori anche a proposito del nostro atterraggio sulla Luna. Ma io ero sereno, sapevo che i prima o poi qualcun altro sa-; rebbe andato lassù, e avrebbe trovato l'attrezzatura e la macchina fotografica, che avevamo lasciato noi». Neil Armstrong racconta la sua avventura con modestia, acume, e prospettiva da grande pioniere del viaggio umano nella conoscenza. «Con 800 mila persone che lavoravano per la Nasa, come si sarebbe potuto tenere il segreto?» scherza all'idea di una messa in scena. Armstrong ha 81 anni, e 43 ne sono passati da quando è stato il primo essere umano a mettere piede sulla superficie lunare, assieme al collega Buzz Aldrin. Ricorda i dettagli minuti sulle traversie tecniche che l'emozione e l'estrema tensione del momento hanno impresso nella sua memoria. Ed anche l'enorme soddisfazione per il risultato raggiunto, tecnico e ideale.
20 luglio 1969 Neil Armstrong è il primo uomo a mettere i piedi sulla Luna |
«La gente ama le teorie di cospirazione, ed è vero che ne vennero fuori anche a proposito del nostro atterraggio sulla Luna. Ma io ero sereno, sapevo che i prima o poi qualcun altro sa-; rebbe andato lassù, e avrebbe trovato l'attrezzatura e la macchina fotografica, che avevamo lasciato noi». Neil Armstrong racconta la sua avventura con modestia, acume, e prospettiva da grande pioniere del viaggio umano nella conoscenza. «Con 800 mila persone che lavoravano per la Nasa, come si sarebbe potuto tenere il segreto?» scherza all'idea di una messa in scena. Armstrong ha 81 anni, e 43 ne sono passati da quando è stato il primo essere umano a mettere piede sulla superficie lunare, assieme al collega Buzz Aldrin. Ricorda i dettagli minuti sulle traversie tecniche che l'emozione e l'estrema tensione del momento hanno impresso nella sua memoria. Ed anche l'enorme soddisfazione per il risultato raggiunto, tecnico e ideale.
Ci racconta gli ultimi
12 minuti prima dell'allunaggio?
«Ci avvicinavamo e il
computer di bordo ci stava mostrando dove la navicella sarebbe
atterrata. Ma era un posto accidentato, brutto. Proprio al fianco di
un cratere di circa 100-150 metri, con delle discese molto ripide
coperte da pietre tonde enormi. Un luogo dove non era bello
scendere».
Che cosa avete deciso
allora? «Arrivati a tre minuti dalla meta, sono passato alla guida
manuale del mezzo, come fosse un elicottero. Dovevamo trovare un
punto più agevole stando al di fuori del cratere. Siamo a 70 metri,
vedo un'area più soffice. (Armstrong parla mentre sullo schermo
corrono due immagini parallele: a sinistra il filmato reale girato
dal velivolo, con la Luna che è sempre più vicina, a destra la
mappa della stessa area, anch'essa in avvicinamento, come è
riprodotta oggi da GoogleSpace). Sulla sinistra vedete la polvere che
si sta sollevando... Sappiamo a questo punto che ci sono restati 20
secondi di carburante per finire il volo d'andata.... Ecco, questa è
l'ombra della mia gamba che sta per toccare il terreno. Bagle è
atterrata».
C'era tempo per
emozionarsi?
«Per una stretta di
mano... ma in quel momento sapevamo di essere a rischio per
l'altissima temperatura. Il nostro pensiero era per i problemi
termici che potevano venire fuori. Dovevamo essere pronti a risalire
in tempo per ripartire, dopo quello che dovevamo fare lì».
Come piantare la bandiera
americana sul suolo lunare...
«Avevamo raggiunto in
quel momento l'obiettivo che il presidente John Fitzgerald Kennedy
aveva indicato. A quello pensai, mentre il presidente (Nixon, ndr)
chiamò dalla Casa Bianca per complimentarsi. Dobbiamo riconoscere
che questo traguardo non sarebbe stato raggiunto senza la concorrenza
dei sovietici. Bisogna mettere quell'impresa nel contesto storico: un
russo era già andato in orbita, noi avevamo mandato solo Alan
Shepard, ma per 20 minuti. Fissare, come fece JFK, l'obiettivo della
Luna con alle spalle solo 20 minuti di volo era al di là del
credibile, su un piano tecnologico».
Ma andò bene...
«Non era solo una corsa
tecnica allo spazio. Allora c'erano due concezioni ideologiche sul
futuro del mondo che si scontravano. E fu una gara che permise ad
entrambi i nostri programmi di compiere ciò che è stato possibile.
Mettemmo dai due lati della bandiera i medaglioni con i nomi dei
nostri compagni della Nasa e degli astronauti russi morti nel corso
della sfida cosmica fino a quel punto. Fu un momento di estrema
tenerezza».
«Un piccolo passo per
l'uomo ma un balzo gigantesco per l'umanità». Quando pensò a
questa frase che disse, e che è poi rimasta il simbolo del successo
di Apollo 11?
«Soltanto dopo che
l'atterraggio era riuscito bene».
Nel viaggio non tutto
era andato perfettamente però...
«Beh, il computer aveva
lanciato a un certo punto un allarme, mentre eravamo in fase di
discesa. Sono momenti complessi, molte cose devono succedere
contemporaneamente. Io non aveva capito di che cosa volesse avvisarci
il computer, e chiesi aiuto alla torre di controllo sulla Terra. Non
ci misero molto a risolvere il giallo, c'erano problemi di
sovraccarico per il software, ma tutto era ok per ciò che riguardava
la manovra di atterraggio».
Aveva avuto paura
quando le fu chiesto se la sua squadra era pronta per partire?
«Sarebbe meglio
aspettare un mese, dissi ai miei capi, ma siamo in una gara e bisogna
prendere le opportunità quando ci sono. Siamo pronti. Sapevo che
avevamo il 90% di chance di tornare vivi sulla Terra, ma solo il 50%
di possibilità di atterrare con successo al primo tentativo».
Sul futuro delle
conquiste spaziali cosa prova oggi, con il budget della Nasa per il
2013 tagliato del 38%?
«La Nasa è stato uno
degli investimenti pubblici di maggior successo nel motivare gli
studenti a far bene e a raggiungere ciò che possono raggiungere, ed
è triste che stiamo oggi indirizzando il programma spaziale in una
direzione che ridurrà l'entusiasmo per i giovani».
“La Stampa”, 26
gennaio 2012 - Traduzione di Glauco Maggi
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