Nel testo c'è un errore, evidente, che non è di copiatura: quel "Callimaco" d'età alessandrina che di Eraclìto fu postero. Immagino che a Canali sia scappato (chissà perché) in luogo di un "Esiodo" e che nessuno poi lo abbia corretto. (S.L.L.)
Sua patria fu Efeso, sua
epoca approssimativa il 500 a.c., suo problema centrale la
coincidenza degli opposti, dopo la drammatica separazione di essere e
non-essere operata da Parmenide. Democratico per eccesso di
aristocrazia, giocava ad astragali con i bambini per disprezzo degli
adulti; infine si ritirò tra i monti, a vivere con le bestie. Morì
coperto di letame sotto il sole per curarsi l'idropisia di sua
iniziativa, in ispregio dei medici.
Eraclito, che voleva
espellere dagli agoni Omero e Callimaco, e non curava i miti dei
poeti, era in realtà un grande filosofo-poeta: scrisse Sulla
natura in tre libri, sull'universo, sullo Stato, sulla divinità
— secondo la testimonianza di Diogene Laerzio —, con la tensione
fantastica e intellettuale dei pensatori greci che per primi
indagarono i misteri dell'universo nato dal caos, dell'ordine dei
cicli scaturito dal casuale, della mente ordinatrice di tutte le
gerarchie cosmiche.
Da Eraclito questa Mente
è chiamata Zeus, ma è più propriamente Logos, Discorso,
Intelletto. Il vero dio di Eraclito è l'intelligenza; la buona
condizione umana è l'amicizia, dei semplici o dei saggi, e,
paradossalmente per un orgoglioso, l'umiltà che si trasforma in
superbia solo con gli ignoranti insuperbiti; la legge dell'esistenza,
universale e individuale, intellettuale e fisiologica è la guerra, «
madre e regina di tutte le cose », non in senso marziale, ma in
condizione di mutamento assiduo non pacifico, non mite, non indolore.
Nella mente e nel cuore
di Eraclito, questo solitario per eccesso di amore per una umanità
bene ordinata, questo asceta gelido e rovente nei suoi apoftegmi,
doveva celarsi un dramma doloroso, la coincidenza degli opposti per
antonomasia: una suprema saggezza mutata in coscienza di totale
ignoranza, la friabilità di una marmorea solidità teoretica ed
esistenziale. Senza lasciarci ingannare dal "fascino del
frammento", possiamo tuttavia alacremente abbandonarci alla
lettura di questi frammenti rimasti dell'opera, in-
castonandoli -all'oscuro
fondale di una più vasta affabulazione speculativa, espressione di
un'epoca d'oro della storia del pensiero: ne trarranno maggior
risalto, come messaggi di un'oscurità che tende continuamente verso
la luce della ragione.
Il "melanconico"
Eraclito rinunziò ad onori regali, di retaggio familiare, per
cercare un altro spazio da dominare, quello della speculazione
filosofica: questa lo portò a risultati ambivalenti; da una parte
egli superò il primitivo dualismo cosmico, ad esempio di "alto"
e "basso", e spazzò via il mito di Atlante, che
sorreggerebbe il mondo sulle sue spalle per impedirgli di
precipitare in un "basso" che ha ancora altri "bassi"
all'infinito sotto di sé; dall'altra, con il rovesciamento e la
"coincidentia" degli opposti, ad esempio del "basso"
che può tramutarsi in "alto" e viceversa, in una sorta di
una fluida perenne relatività, aprì il varco alle giostre
intellettuali dei sofisti. «La via in su e la via in giù sono una
e la medesima»; «Nel circolo principio e fine fanno uno». Sembrano
appunto ovvietà o sofismi, ma sottendono formulazioni più
emblematiche e sostanziali: « Connessioni: intero e non intero,
convergente divergente, consonante dissonante: e da tutte le cose
l'uno e dall'uno tutte le cose».
Ma in questo mistero di
conciliazione, in tale divergere e convergere di punte dell'eterno
dilemma, esistono affermazioni univoche: «Lo stolido stupisce ad
ogni parola»; «L'io credo è morbo sacro»; «L'uomo ha nome
d' infante al cospetto di dio come il bimbo al cospetto dell'uomo»;
«Uno solo è per me diecimila se ottimo»; « Massima virtù è aver
senno, e sapienza è dire il vero e operarlo da uomo che conosce e
che segue la natura delle cose »; «Il popolo deve combattere per la
legge come per le mura della città».
Sembrerebbero assiomi
autoritari, ma li corregge un forte senso della individualità umana:
«Demone a ciascuno è il suo modo di essere»; «E' difficile
combattere contro il proprio animo: quello che vuole lo compra a
prezzo della vita»; «Non bisogna comportarsi come figli dei padri»;
«A tutti gli uomini è dato conoscere se stessi e non andare oltre
il limite ».
Vi sono anche spunti di
fatalità deistica: «Per la divinità tutte le cose sono belle e
buone e giuste: gli uomini alcune le considerano giuste, altre
ingiuste».
In126 brani i rilievi di
un'intera opera perduta, e forse mai composta per intero. Il recente
volume dei frammenti di Eraclito e delle testimonianze sul filosofo è
opera di Carlo Diano, professore nell'università di Padova,
scomparso nel 1974: eccezionali la traduzione e il commento,
continuato da Giuseppe Serra, suo assistente e successore nella
cattedra, che ha completato la fatica del maestro con nota
biografica, bibliografia, indici. Un libro fra i migliori della
collana di classici latini e greci della Fondazione Lorenzo Valla –
Mondadori. (Eraclito, I frammenti e le testimonianze, a cura
di Carlo Diano e Giuseppe Serra).
L'Espresso, ritaglio
senza data, ma 1980.
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