6.8.14

L’Italia non garantisce il diritto all’aborto (María R. Sahuquillo, El País, Spagna)

Secondo il Consiglio d’Europa
il governo italiano non fa il
possibile per superare l’ostacolo 
dei tanti obiettori di coscienza

Tra il 50 e il 70 per cento dei medici italiani, a seconda della specializzazione, dichiara che, per motivi di coscienza, non vuole assistere le donne durante le interruzioni volontarie di gravidanza (ivg), costringendole così ad andare in vari centri, anche in regioni diverse da quella dove abitano, per poter usufruire di una prestazione sanitaria legale e teoricamente garantita dalla sanità pubblica.
Il comitato europeo dei diritti sociali (Ceds) ha stabilito che l’Italia viola i diritti delle donne perché non fa abbastanza per superare l’ostacolo dell’altissima percentuale di obiettori di coscienza. Il comitato, che dipende dal Consiglio d’Europa, chiede al governo italiano di avviare tutti i meccanismi per garantire questa prestazione sanitaria.
L’Italia ha una legge con dei termini temporali simili a quella spagnola che il governo di Mariano Rajoy vuole abrogare. Le donne italiane possono abortire senza dare alcuna giustificazione fino alla dodicesima settimana di gravidanza (in Spagna fino alla quattordicesima). Superato questo termine, possono farlo solo in caso di rischio per la salute o di gravi anomalie del feto. Il comitato europeo dei diritti sociali non giudica illegale l’alto tasso di obiezione di coscienza, ma afferma che la legge italiana prevede una serie di iniziative per garantire l’accesso alla prestazione che, però, non sono applicate. Violando così il diritto alla tutela della salute e quello a non essere discriminate.
Questa decisione del comitato, spiega un suo componente, Riccardo Priore, è vincolante perché l’Italia ha firmato la Carta sociale europea e i protocolli che consentono a organismi e associazioni di presentare delle denunce. Il comitato si è pronunciato dopo la denuncia di un’organizzazione, la Federazione internazionale per la pianiicazione Familiare (Ippf ).

L’unico ginecologo
Nel 2009 in Italia ci sono stati 118.579 aborti e, secondo i dati del ministero della salute, si dichiara obiettore all’aborto il 70,7 per cento dei ginecologi, il 51,7 per cento degli anestesisti e il 44,4 per cento del personale non medico. Secondo le autorità italiane, tuttavia, queste cifre non influiscono sulla possibilità di eseguire l’intervento. Rispondendo al comitato europeo dei diritti sociali, il governo italiano assicura infatti che la possibilità delle donne di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza è assicurata dalla mobilità dei professionisti della sanità e dall’introduzione dell’aborto farmacologico.
Ciò fa sì che esista un “equilibrio” tra il personale sanitario obiettore e quello non obiettore, così come prescrive la legge: che prevede che ci sia almeno un 50 per cento di medici che non siano obiettori di coscienza. Eppure l’Ippf parla di gravi violazioni dovute alla difficoltà di interrompere la gravidanza. Per esempio a Bari c’è solo un medico non obiettore di coscienza, e quando non è presente in ospedale nessun altro effettua l’intervento o prescrive i farmaci per l’aborto farmacologico. A Napoli, il Policlinico ha chiuso il servizio ivg dopo la morte dell’unico ginecologo non obiettore.
E in altre zone del Mezzogiorno ci sono situazioni simili. Il comitato europeo dei diritti sociali afferma che l’obiezione di coscienza va tutelata, ma che la sua tutela non può limitare l’esercizio dei diritti riconosciuti dalla legge, come il diritto all’aborto. Inoltre il comitato osserva che nel caso dell’interruzione volontaria di gravidanza, in cui il tempo rappresenta un fattore decisivo, le misure per garantire l’intervento devono essere stabilite a priori. Il dover presentare ricorso per ottenere la garanzia della prestazione richiede troppo tempo e costituisce una fonte di stress che può pregiudicare la salute delle donne.
Le stesse indicazioni che il comitato ha dato all’Italia si potrebbero applicare alla Spagna, anch’essa firmataria della Carta sociale europea ma non dell’opzione che consente il ricorso da parte delle associazioni che si occupano di questo tema. In Spagna non esiste una legge che regolamenti l’obiezione di coscienza, anche se è un diritto riconosciuto nella legge del 2010 sull’aborto, che consente l’obiezione ai professionisti coinvolti nell’intervento di ivg. La prestazione sanitaria, però, deve essere garantita. Inoltre l’aborto può essere fatto sia in strutture sanitarie pubbliche sia in strutture private, ma resta sempre a carico della sanità pubblica, il che presuppone che le amministrazioni concordino i servizi con le cliniche private. In Spagna meno del 7 per cento di questi interventi è effettuato in strutture sanitarie pubbliche e non esiste un registro del personale sanitario obiettore. La bozza di progetto di legge sull’aborto approvata dal governo di Mariano Rajoy estende il diritto all’obiezione di coscienza a tutto il personale sanitario, che sia o meno coinvolto direttamente nell’aborto.

Internazionale 1042, 10 marzo 2014

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