Secondo il
Consiglio d’Europa
il governo italiano
non fa il
possibile per
superare l’ostacolo
dei tanti obiettori di coscienza
dei tanti obiettori di coscienza
Tra il 50 e il 70 per cento dei medici italiani, a seconda della specializzazione, dichiara che, per motivi di coscienza, non vuole assistere le donne durante le interruzioni volontarie di gravidanza (ivg), costringendole così ad andare in vari centri, anche in regioni diverse da quella dove abitano, per poter usufruire di una prestazione sanitaria legale e teoricamente garantita dalla sanità pubblica.
Il comitato europeo dei
diritti sociali (Ceds) ha stabilito che l’Italia viola i diritti
delle donne perché non fa abbastanza per superare l’ostacolo
dell’altissima percentuale di obiettori di coscienza. Il comitato,
che dipende dal Consiglio d’Europa, chiede al governo italiano di
avviare tutti i meccanismi per garantire questa prestazione
sanitaria.
L’Italia ha una legge
con dei termini temporali simili a quella spagnola che il governo di
Mariano Rajoy vuole abrogare. Le donne italiane possono abortire
senza dare alcuna giustificazione fino alla dodicesima settimana di
gravidanza (in Spagna fino alla quattordicesima). Superato questo
termine, possono farlo solo in caso di rischio per la salute o di
gravi anomalie del feto. Il comitato europeo dei diritti sociali non
giudica illegale l’alto tasso di obiezione di coscienza, ma afferma
che la legge italiana prevede una serie di iniziative per garantire
l’accesso alla prestazione che, però, non sono applicate. Violando
così il diritto alla tutela della salute e quello a non essere
discriminate.
Questa decisione del
comitato, spiega un suo componente, Riccardo Priore, è vincolante
perché l’Italia ha firmato la Carta sociale europea e i protocolli
che consentono a organismi e associazioni di presentare delle
denunce. Il comitato si è pronunciato dopo la denuncia di
un’organizzazione, la Federazione internazionale per la
pianiicazione Familiare (Ippf ).
L’unico ginecologo
Nel 2009 in Italia ci
sono stati 118.579 aborti e, secondo i dati del ministero della
salute, si dichiara obiettore all’aborto il 70,7 per cento dei
ginecologi, il 51,7 per cento degli anestesisti e il 44,4 per cento
del personale non medico. Secondo le autorità italiane, tuttavia,
queste cifre non influiscono sulla possibilità di eseguire
l’intervento. Rispondendo al comitato europeo dei diritti sociali,
il governo italiano assicura infatti che la possibilità delle donne
di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza è
assicurata dalla mobilità dei professionisti della sanità e
dall’introduzione dell’aborto farmacologico.
Ciò fa sì che esista un
“equilibrio” tra il personale sanitario obiettore e quello non
obiettore, così come prescrive la legge: che prevede che ci sia
almeno un 50 per cento di medici che non siano obiettori di
coscienza. Eppure l’Ippf parla di gravi violazioni dovute alla
difficoltà di interrompere la gravidanza. Per esempio a Bari c’è
solo un medico non obiettore di coscienza, e quando non è presente
in ospedale nessun altro effettua l’intervento o prescrive i
farmaci per l’aborto farmacologico. A Napoli, il Policlinico ha
chiuso il servizio ivg dopo la morte dell’unico ginecologo non
obiettore.
E in altre zone del
Mezzogiorno ci sono situazioni simili. Il comitato europeo dei
diritti sociali afferma che l’obiezione di coscienza va tutelata,
ma che la sua tutela non può limitare l’esercizio dei diritti
riconosciuti dalla legge, come il diritto all’aborto. Inoltre il
comitato osserva che nel caso dell’interruzione volontaria di
gravidanza, in cui il tempo rappresenta un fattore decisivo, le
misure per garantire l’intervento devono essere stabilite a priori.
Il dover presentare ricorso per ottenere la garanzia della
prestazione richiede troppo tempo e costituisce una fonte di stress
che può pregiudicare la salute delle donne.
Le stesse indicazioni che
il comitato ha dato all’Italia si potrebbero applicare alla Spagna,
anch’essa firmataria della Carta sociale europea ma non
dell’opzione che consente il ricorso da parte delle associazioni
che si occupano di questo tema. In Spagna non esiste una legge che
regolamenti l’obiezione di coscienza, anche se è un diritto
riconosciuto nella legge del 2010 sull’aborto, che consente
l’obiezione ai professionisti coinvolti nell’intervento di ivg.
La prestazione sanitaria, però, deve essere garantita. Inoltre
l’aborto può essere fatto sia in strutture sanitarie pubbliche sia
in strutture private, ma resta sempre a carico della sanità
pubblica, il che presuppone che le amministrazioni concordino i
servizi con le cliniche private. In Spagna meno del 7 per cento di
questi interventi è effettuato in strutture sanitarie pubbliche e
non esiste un registro del personale sanitario obiettore. La bozza di
progetto di legge sull’aborto approvata dal governo di Mariano
Rajoy estende il diritto all’obiezione di coscienza a tutto il
personale sanitario, che sia o meno coinvolto direttamente
nell’aborto.
Internazionale 1042, 10
marzo 2014
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