John Cryan, docente di
anatomia e neuroscienze, e Timothy Dinan, docente di psichiatria,
insegnano allo University college Cork in Irlanda e sono i
coordinatori scientiici dell’Alimentary pharmabiotic centre.
La psicobiotica studia i
legami tra i batteri dell’intestino e il funzionamento cerebrale,
offrendo soluzioni nuove per alleviare problemi come stress, ansia e
depressione.
La "Long Hall" dello University College Cock |
I batteri intestinali
compaiono subito dopo la nascita e vivono con noi in un importante
rapporto simbiotico. Il loro numero supera di gran lunga quello delle
cellule del nostro corpo e il loro peso complessivo è quasi pari a
quello del nostro cervello. I geni di questi batteri possono produrre
centinaia, se non migliaia, di sostanze chimiche, molte delle quali
influiscono sul nostro cervello. Producono, anzi, alcune molecole
usate nella neurotrasmissione come la dopamina, la serotonina e
l’acido gamma-amminobutirrico (Gaba). Il cervello, inoltre, è
fatto prevalentemente di grassi, molti dei quali sono prodotti anche
dall’attività metabolica dei batteri. In assenza dei batteri
intestinali, la
struttura e la
funzionalità cerebrali sono alterate.
Alcuni studi condotti su
topi allevati in un ambiente privo di germi dimostrano alterazioni
della memoria, dello stato emotivo e del comportamento. I topi
manifestano schemi comportamentali di tipo autistico e la quantità
di tempo che passano concentrati su oggetti inanimati è pari a
quella che dedicano agli altri topi. Un simile cambiamento
comportamentale è dovuto alle alterazioni della chimica cerebrale.
Si rilevano, per esempio, cambiamenti nella trasmissione della
serotonina e di molecole chiave come il fattore neurotrofico
cerebrale, fondamentale per la formazione di nuove sinapsi.
Queste scoperte
confermano la validità dei probiotici, i batteri benefici per la
salute individuati per la prima volta dal biologo russo Il’ja
Mečnikov, il quale all’inizio del novecento osservò che chi
viveva in una regione della Bulgaria e consumava cibo fermentato
viveva più a lungo. Oggi, però, sembra che alcuni batteri, chiamati
psicobiotici, possano far bene anche alla salute mentale.
Malgrado la giovane età,
la psicobiotica dà già segnali promettenti. L’anno scorso, per
esempio, i ricercatori del California institute of technology di
Pasadena hanno dimostrato che la presenza del batterio Bacteroides
fragilis subito dopo la nascita corregge alcuni deficit
comportamentali e gastrointestinali in un modello murino di autismo.
E studi precedenti indicano che il Bifidobacterium infantis è
efficace nel modello animale di depressione.
Come fanno esattamente i
batteri intestinali a influenzare il cervello? I meccanismi
cominciano a diventare più chiari. Il Lactobacillus rhamnosus,
il batterio usato in alcuni latticini, ha potenti effetti ansiolitici
sugli animali e agisce modificando l’espressione dei recettori del
Gaba nel cervello. Questi cambiamenti sono mediati dal nervo vago,
che collega il cervello all’intestino. Quando il nervo viene
reciso, infatti, il trattamento psicobiotico con Lactobacillus
rhamnosus non produce alcun effetto sull’ansia né sui
recettori del Gaba. Questo batterio allevia anche i comportamenti
tipici del disturbo ossessivo-compulsivo nei topi. L’aspetto
interessante è che non solo altera i recettori del Gaba nel
cervello, ma sintetizza e rilascia il Gaba. Sembra, inoltre, che i
batteri intestinali possano influenzare il cervello non solo agendo
sul nervo vago, ma per esempio alterando il sistema immunitario e
producendo acidi grassi a catena corta.
Attenzione al
marketing
Nel frattempo i cocktail
di batteri sembrano essere più efficaci sulla salute dei singoli
ceppi: uno studio del 2011 ha rivelato che la combinazione di
Lactobacillus helveticus e Bifidobacterium longum
riduce i sintomi dell’ansia e della depressione in volontari sani.
Uno studio del 2013 ha dimostrato che un latticino fermentato con
quattro batteri probiotici diversi è associato alla minore
reattività di una rete cerebrale coinvolta nell’elaborazione di
emozioni e sensazioni. E alcuni ceppi possono ridurre i sintomi della
sindrome dell’intestino irritabile.
Sono risultati
promettenti, ma siamo ancora lontani dalla produzione di psicobiotici
clinicamente accertati. E malgrado il marketing affermi il contrario,
la maggior parte dei presunti probiotici non ha alcuna attività
psicobiotica.
Da “New Scientist”
(Regno Unito) ora in “Internazionale” 1042, 10 marzo 2014
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