6.8.14

I batteri intestinali che danno alla testa (John Cryan, Timothy Dinan)

John Cryan, docente di anatomia e neuroscienze, e Timothy Dinan, docente di psichiatria, insegnano allo University college Cork in Irlanda e sono i coordinatori scientiici dell’Alimentary pharmabiotic centre.
La psicobiotica studia i legami tra i batteri dell’intestino e il funzionamento cerebrale, offrendo soluzioni nuove per alleviare problemi come stress, ansia e depressione.
La "Long Hall" dello University College Cock
I batteri intestinali compaiono subito dopo la nascita e vivono con noi in un importante rapporto simbiotico. Il loro numero supera di gran lunga quello delle cellule del nostro corpo e il loro peso complessivo è quasi pari a quello del nostro cervello. I geni di questi batteri possono produrre centinaia, se non migliaia, di sostanze chimiche, molte delle quali influiscono sul nostro cervello. Producono, anzi, alcune molecole usate nella neurotrasmissione come la dopamina, la serotonina e l’acido gamma-amminobutirrico (Gaba). Il cervello, inoltre, è fatto prevalentemente di grassi, molti dei quali sono prodotti anche dall’attività metabolica dei batteri. In assenza dei batteri intestinali, la
struttura e la funzionalità cerebrali sono alterate.
Alcuni studi condotti su topi allevati in un ambiente privo di germi dimostrano alterazioni della memoria, dello stato emotivo e del comportamento. I topi manifestano schemi comportamentali di tipo autistico e la quantità di tempo che passano concentrati su oggetti inanimati è pari a quella che dedicano agli altri topi. Un simile cambiamento comportamentale è dovuto alle alterazioni della chimica cerebrale. Si rilevano, per esempio, cambiamenti nella trasmissione della serotonina e di molecole chiave come il fattore neurotrofico cerebrale, fondamentale per la formazione di nuove sinapsi.
Queste scoperte confermano la validità dei probiotici, i batteri benefici per la salute individuati per la prima volta dal biologo russo Il’ja Mečnikov, il quale all’inizio del novecento osservò che chi viveva in una regione della Bulgaria e consumava cibo fermentato viveva più a lungo. Oggi, però, sembra che alcuni batteri, chiamati psicobiotici, possano far bene anche alla salute mentale.
Malgrado la giovane età, la psicobiotica dà già segnali promettenti. L’anno scorso, per esempio, i ricercatori del California institute of technology di Pasadena hanno dimostrato che la presenza del batterio Bacteroides fragilis subito dopo la nascita corregge alcuni deficit comportamentali e gastrointestinali in un modello murino di autismo. E studi precedenti indicano che il Bifidobacterium infantis è efficace nel modello animale di depressione.
Come fanno esattamente i batteri intestinali a influenzare il cervello? I meccanismi cominciano a diventare più chiari. Il Lactobacillus rhamnosus, il batterio usato in alcuni latticini, ha potenti effetti ansiolitici sugli animali e agisce modificando l’espressione dei recettori del Gaba nel cervello. Questi cambiamenti sono mediati dal nervo vago, che collega il cervello all’intestino. Quando il nervo viene reciso, infatti, il trattamento psicobiotico con Lactobacillus rhamnosus non produce alcun effetto sull’ansia né sui recettori del Gaba. Questo batterio allevia anche i comportamenti tipici del disturbo ossessivo-compulsivo nei topi. L’aspetto interessante è che non solo altera i recettori del Gaba nel cervello, ma sintetizza e rilascia il Gaba. Sembra, inoltre, che i batteri intestinali possano influenzare il cervello non solo agendo sul nervo vago, ma per esempio alterando il sistema immunitario e producendo acidi grassi a catena corta.

Attenzione al marketing
Nel frattempo i cocktail di batteri sembrano essere più efficaci sulla salute dei singoli ceppi: uno studio del 2011 ha rivelato che la combinazione di Lactobacillus helveticus e Bifidobacterium longum riduce i sintomi dell’ansia e della depressione in volontari sani. Uno studio del 2013 ha dimostrato che un latticino fermentato con quattro batteri probiotici diversi è associato alla minore reattività di una rete cerebrale coinvolta nell’elaborazione di emozioni e sensazioni. E alcuni ceppi possono ridurre i sintomi della sindrome dell’intestino irritabile.
Sono risultati promettenti, ma siamo ancora lontani dalla produzione di psicobiotici clinicamente accertati. E malgrado il marketing affermi il contrario, la maggior parte dei presunti probiotici non ha alcuna attività psicobiotica.


Da “New Scientist” (Regno Unito) ora in “Internazionale” 1042, 10 marzo 2014

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