Un'immagine da una recente rappresentazione dell'Hecyra (2010) Compagnia delle Smirne - Mirano (Venezia) |
L’Hecyra
di Terenzio è una commedia in cui grande importanza hanno i
personaggi femminili: dalla giovane Filumena, personaggio ‘muto’
(non appare mai in scena) il cui nome possiede forti echi teatrali
ante litteram (si pensi al grande Eduardo), da sua madre Mirrina,
fino alla meretrix
Bacchide e all’hecyra,
la suocera che dà il titolo all’opera, Sostrata, madre del giovane
Panfilo, marito di Filumena.
Le
donne hanno importanza in questa commedia forse proprio perché
Terenzio intende ribaltare la ‘misoginia’ della quale, sempre,
nel teatro comico latino (e in particolare in Plauto) i personaggi
femminili sono stati vittima. L’autore, in linea con quel clima
ellenizzato che si respirava a Roma nel II secolo a.C. e con gli
ideali del circolo degli Scipioni, imbevuti di humanitas, allestisce
una commedia in cui la suocera (tradizionalmente ostile alle nuore o
ai generi) e la meretrix,
la prostituta (altro personaggio tipico della commedia, solitamente
antitetico rispetto alle matrone e alle mogli), anch’esse in linea
con quell’humanitas, si fanno da parte permettendo il
ricongiungimento fra marito e moglie.
Si
tratta quindi di una commedia straordinariamente moderna – forse
troppo –, che alla sua prima rappresentazione non ebbe fortuna: il
pubblico, infatti, distratto da un funambolo, non la apprezzò e,
addirittura, ebbe successo soltanto alla sua terza rappresentazione.
Quindi, probabilmente, risulta più affine a un pubblico
contemporaneo: cogliamo perciò l’occasione al volo con la recente
versione a cura di Antonella Tedeschi (La
suocera, testo latino a
fronte, Barbera).
La
trama ruota intorno alla presunta incompatibilità di carattere fra
Filumena e Sostrata, madre di Panfilo, una incompatibilità così
forte da indurre Filumena ad abbandonare la casa di Panfilo e
tornarsene nella propria, dalla madre Mirrina e dal padre Fidippo. La
fuga di Filumena – si scoprirà poi – non era dovuta a uno
screzio con la suocera ma al tentativo di nascondere a Panfilo la
presenza di un bambino appena partorito (del quale egli non poteva
essere il padre, dal momento che la fanciulla, secondo il racconto
dello schiavo Parmenione, era «ancora intatta» perché Panfilo,
innamorato inizialmente di Bacchide, si era sposato controvoglia),
nonché al padre di lui Lachete. Ma l’agnitio finale, grazie a un
anello, fugherà ogni dubbio: il bambino in realtà è il vero figlio
di Panfilo, nato da un precedente e fugace rapporto fra i due. Una
commedia figlia della humanitas dunque, che in scena rivaluta
l’universo femminile; e figlia di quella temperie culturale del
circolo scipionico alla quale molto stava a cuore l’educazione dei
giovani, tanto che si può affermare che proprio in quel periodo, in
un certo senso, nacque la scuola come istituzione.
Allora
è importante rileggere Terenzio e le sue opere imbevute di quella
cultura; e lo è ancora di più al giorno d’oggi, perché chi
governa si dimentica di troppe cose: dell’educazione e della scuola
pubblica in primis.
“Alias – il
manifesto”, 4 giugno 2011
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