La ricostruzione
dell'amore tra Anna Proclemer e Vitaliano Brancati fatta da Paolo Di
Stefano per il “Corsera” è documentata, convincente e ben
costruita. La “storia” si chiude quando il complicato sentimento
s'avvia a morire, nell'autunno del 53. All'improvviso, nel luglio del
1954, muore anche Brancati. Non ho mai capito se ci sia rapporto tra
le due morti.
Una piccola osservazione.
La storia della lettera strappata e ricostruita con lo scotch non è
credibile. Lo scotch nel 41, con la guerra e l'autarchia, mi pare
anacronistico. Con la colla, forse. (S.L.L.)
Anna Proclemer e Vitaliano Brancati con la figlia Antonia |
Lo scrittore è già
famoso e ha 34 anni, la ragazza è un'attrice diciottenne. È la fine
del 1941 quando si conoscono al Teatro dell'Università di Roma,
durante una prova. Anna Proclemer guarda Vitaliano Brancati con
ammirazione e indifferenza. La ragazza ha già letto Don Giovanni
in Sicilia. Di nascosto dai genitori, che lo consideravano un
libro osceno. «Mi sembrava un maturo signore ormai avviato alla
vecchiaia», avrebbe scritto. Al contrario di tutti gli altri, lo
scrittore la tratta con deferenza e la chiama «signorina».
Una sera vanno al Teatro delle Arti. C'è l'Histoire du soldat di Stravinski, ma Brancati guarda un altro spettacolo, ignora il palcoscenico e fissa le mani di Anna: «Non è possibile avere delle mani così - sussurra per vincere l'imbarazzo - Queste sono le mani di un ragazzino di collegio!». La dichiarazione d'amore arriva poco dopo. Con due pensieri rivelati per lettera: «E il primo è che tu sei la più dolce, bella, intelligente, candida ragazza del mondo, e il secondo che sei tanto giovane e io no».
Una sera vanno al Teatro delle Arti. C'è l'Histoire du soldat di Stravinski, ma Brancati guarda un altro spettacolo, ignora il palcoscenico e fissa le mani di Anna: «Non è possibile avere delle mani così - sussurra per vincere l'imbarazzo - Queste sono le mani di un ragazzino di collegio!». La dichiarazione d'amore arriva poco dopo. Con due pensieri rivelati per lettera: «E il primo è che tu sei la più dolce, bella, intelligente, candida ragazza del mondo, e il secondo che sei tanto giovane e io no».
Con quei pensieri in
testa, lo scrittore non riesce più a lavorare e si affumica il
cervello fumando la pipa. Rimprovera a sua madre di averlo concepito
troppo presto: «Che fretta c'era di mettere al mondo un balordo
personaggio?». Confessa che senza tutti quegli anni di differenza
chiederebbe ad Anna di sposarlo. Si sposeranno nel '46. Ma intanto la
ragazza rimane stordita dalla dichiarazione d'amore. Gli risponde
dandogli del Lei: non c'è spazio nel suo giovane cuore se non per il
teatro, dove sta muovendo i primi passi già quasi trionfali. Lo
scrittore straccia la lettera, poi se ne pente e la ricompone con lo
scotch. Non molla, continua a scriverle da Catania, parla di un
esaurimento nervoso, diventa ossessivo.
A Roma, occupata dai
tedeschi, Anna ha una relazione sentimentale con il regista Gerardo
Guerrieri, ma non dimentica lo scrittore e gli racconta di essere
sfiduciata: «Vorrei piantare tutto e rassegnarmi a fare la ragazza
oca e civetta e basta. Mi è difficile saper guardare lontano». Le
lettere scritte da Brancati nel '44 non arrivano in genere a destinazione, quella del 31 dicembre sì: c'è la nostalgia del loro primo
incontro, la neve su Roma e l'immagine della ragazza che, con il viso
legato da una cuffia bianca, sedeva «imbacuccata in mezzo a una fila
di poltrone vuote». La conforta: «Questi Suoi dubbi mi sembrano un
ottimo segno».
Nell'agosto dell'anno
dopo, la Proclemer va a Catania per girare un film: «Rividi B. dopo
più di due anni. Non ho più amato la Sicilia come in quei giorni.
Anzi in quelle notti». Racconterà le passeggiate e gli strani amici
di Vitaliano, «straordinari personaggi di provincia pieni di manie,
di tic!». La città è «magica e astratta». Brancati le parla di
Chopin, Bellini, Keats, Leopardi. Soprattutto le insegna «ad amare
la possibilità di una vita insieme».
La ragazza riparte in
ottobre «felicissima, infelicissima, confusa, turbata». Speranze e
timori. Lui le scrive subito da Zafferana Etnea il dolore, lo
sgomento, la tortura di ritrovarsi senza «la più bella, la più
nobile, la più dolce, la più intelligente e più sensibile ragazza
del mondo». Il pensiero fisso di lei lo tormenta: «Nessuno ama la
felicità quanto me e nessuno ne è meno adatto. Mi manchi in modo
intollerabile». Anche Anna è innamorata di Vitaliano, detto Nusso,
ma evita i toni palpitanti: «Lavora, promettimelo. Pensa che mi
farebbe soffrire il pensiero che anche una sola ora inconcludente tu
passassi per causa mia. Lavora, e io lo sentirò e sarò accanto
a te». Lui vorrebbe baciarla, stringerla al petto «con una certa
furia». Lei non ama quei suoi toni di ironica o patetica amarezza,
quella troppo «acre esibizione di sofferenza». E lui: «Ho bisogno
di non pensarti per un'ora sola, e non ci riesco!».
Nella primavera 1946
Brancati è a Roma per una quindicina di giorni per chiarire i dubbi
e gli equivoci: Anna è stanca, snervata, esaurita dal lavoro ma è
attratta dal pensiero di legarsi a un «artista vero, un uomo
complesso, ambiguo, segreto, vulnerabile». Sa bene che la aspetta
una vita «tutt'altro che armoniosa e riposante», ma ci vuole
provare. A Roma sono stati giorni felici, pieni di fiducia e di
speranze. Nel tardo pomeriggio del 22 luglio si sposano nella cripta
della chiesa ancora in costruzione di piazza Euclide.
«Amore mio, Annina,
pecorella». Tante altre lettere partono da Catania quando l'attrice
è in tournée. Il 28 novembre arriva un telegramma in cui Anna
comunica al marito di essere incinta. Il 6 maggio 1947 nascerà
Antonia, una bimba allegrissima, che non piangeva mai: «B. ed io -
scriverà la Proclemer - ci illudemmo di essere riusciti
miracolosamente a evitarle di ereditare le nostre nevrastenie, ansie,
depressioni, angosce». Illusione, appunto.
Il matrimonio comincia a scricchiolare quando Annina, il 18 giugno 1953, scrive al suo Nusso: «L'era della "pecorella" è finita. Mi sento molto più matura e sicura di me». Due mesi dopo i due coniugi cominciano ad arredare la casa appena acquistata in via Fleming. Fingono di non sapere che il loro matrimonio, dopo sette anni, si sta avviando al termine: «Avevo trent'anni e dovevo cominciare a scoprire chi ero. Per fare questo avevo bisogno di essere sola. Cercai goffamente di spiegare. Era inevitabile che B. sospettasse che fossi innamorata di qualcun altro. Dissi la verità: che non era vero. Non fui creduta. Allora, per essere creduta, mentii».
Il matrimonio comincia a scricchiolare quando Annina, il 18 giugno 1953, scrive al suo Nusso: «L'era della "pecorella" è finita. Mi sento molto più matura e sicura di me». Due mesi dopo i due coniugi cominciano ad arredare la casa appena acquistata in via Fleming. Fingono di non sapere che il loro matrimonio, dopo sette anni, si sta avviando al termine: «Avevo trent'anni e dovevo cominciare a scoprire chi ero. Per fare questo avevo bisogno di essere sola. Cercai goffamente di spiegare. Era inevitabile che B. sospettasse che fossi innamorata di qualcun altro. Dissi la verità: che non era vero. Non fui creduta. Allora, per essere creduta, mentii».
Corriere della Sera, 22
agosto 2013
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