Fu pubblicata in Italia
dall'Istituto Geografico De Agostini nel 1985 la traduzione di
Marlene D, autobiografia di
Marlene Dietrich. Da “la Repubblica” che ne pubblicò una
anticipazione riprendo un breve brano. (S.L.L.)
Una volta decisa la mia
partecipazione al film, mi misi a lavorare sotto la guida di Josef
von Sternberg e cominciò così la leggenda del nostro lavoro in
comune. Quando si gira un film, non si sa mai se diventerà un
«classico», perché questo sono soltanto i posteri a deciderlo. Non
si può sapere a priori quale importanza finirà per avere. O almeno
così accadeva allora. Oggi i divi investono i loro capitali
personali in un film, speculando in anticipo sui profitti che
gonfieranno un po' di più le loro tasche.
L'Angelo azzurro,
presentato come il primo grande film parlato del dopoguerra, fu
realizzato con tutte le imperfezionidell'epoca; il suo successo
dipende esclusivamente dal fatto che fu von Sternberg a farne la
regia.
Le difficoltà tecniche
furono innumerevoli. Era per esempio impossibile montare i suoni, il
che prolungava di molto la durata delle riprese e obbligava a filmare
contemporaneamente ogni scena con quattro macchine da presa, in vista
del montaggio definitivo.
Tutto questo mi pareva
molto eccitante; vedere all'opera il grande maestro era un piacere
che non aveva fine.
Ero pronta ogni volta che
mi chiamavano; me ne stavo un po' in disparte per non essere
d'impiccio e per non ostacolare i movimenti degli altri attori, ma
ero sempre in attesa del più piccolo cenno del signor von Sternberg
che mi ordinava di entrare in scena.
Oltre a Jannings,
partecipavano al film numerose celebrità. Erano tutti gentilissimi
con me. Povera Marlene, dovevano pensare, se solo immaginasse che
cosa l'aspetta dopo queste riprese...
Io non avevo idea delle
loro sgradevoli riflessioni. Ero ancora la brava ragazza che obbediva
agli ordini del solo padrone che lei riconoscesse. E lui non mi
abbandonò mai. Ero lì per lui, e lui era lì per me, o almeno così
credevo.
Non mi sbagliavo. Girò
il film in due versioni simultanee, una in tedesco e l'altra in
inglese.
Non esistendo ancora il
doppiaggio, von Sternberg mi presentò a sua moglie, un'americana, e
mi disse che se avessi avuto qualche problema col mio inglese avrebbe
parlato lei in mia vece. Io avrei soltanto dovuto muovere le labbra.
La proposta mi indignò,
perché comportava la possibilità di un mio fallimento. E io non
volevo far fiasco. Dovevo dunque dimostrare le mie capacità.
Cominciammo le riprese:
alla prima scena in tedesco fece seguito lo stesso brano, ma stavolta
in inglese. Eguagliai le mie migliori esibizioni alla Scuola Max
Reinhardt — e feci forse qualcosa di meglio — grazie all'inglese
che avevo imparato a casa mia.
Ma Joscf von Stcrnberg
voleva l'americano. Panico a bordo. L'americano io non lo conoscevo.
Von Sternberg s'incaricò di colmare questa lacuna e non fu
necessario ricorrere a sua moglie. Nessuno, credo, trovò qualcosa da
ridire sulla mia pronuncia. Contava soltanto il personaggio.
Contrariamente al metodo
in uso alla Scuola Max Reinhardt, von Sternberg non ammetteva che io
parlassi con la mia voce bassa; la voleva invece acuta, nasale.
Questo per rafforzare le asprezze dell'accento berlinese, che
assomiglia moltissimo al cockney britannico.
Il mago von Sternberg
compì anche questo miracolo e mandò a casa la moglie. Non credo che
per lui sia stato un problema, dal momento che avevano appena
divorziato. Von Sternberg non parlava mai della propria vita privata.
Solo arrivando a Hollywood, parecchio tempo dopo, venni a sapere che
la sua ex moglie non gli perdonava la loro separazione e che lui
capiva il suo risentimento.
Von Sternberg aveva
un'immagine estremamente precisa della Lola dell'Angelo azzurro.
Sapeva tutto della sua voce, della sua andatura, dei suoi gesti, del
suo portamento. Influì sulla scelta dei miei vestiti e mi sollecitò
a inventarne di nuovi, cosa che feci con grande entusiasmo.
Sottolineai i miei abiti di scena con cilindri e berretti da operaio,
sostituii i gioielli con bigiotteria, a mio parere finanziariamente
più accessibili all'entraineuse di uno squallido cabaret in un
porto.
E io alzavo la
gamba
Un giorno von Sternberg
mi disse: «Voglio che vista di fronte lei faccia pensare a un quadro
di Félicien Rops e vista di spalle a un Toulouse-Lautrec». Questa
fu per me un'idea guida. Mi è sempre piaciuto essere diretta. Non
c'è niente di meglio che sapere cosa ci si aspetta da te nella vita,
nel lavoro e in amore.
«Io non ho scoperto la
Dietrich» diceva spesso von Sterneberg. «Sono solo un professore
che è rimasto colpito da una bella donna, ne ha curato la
presentazione, ne ha esaltato le qualità, ne ha mascherato le
imperfezioni, e l'ha plasmata per cristallizzare in lei una
rappresentazione afrodisiaca»...
Io credevo che L'Angelo
azzurro sarebbe stato un fiasco. Lo ritenevo infatti un film
banale e volgare, due aggettivi secondo me molto differenti, ma che
qui si completavano alla perfezione.
Sul set giravano
contemporaneamente quattro macchine da presa, lune puntate, almeno
così mi pareva, sull'inforcatura delle mie gambe (lo dico col più
profondo disgusto). Ed era davvero così! Ogni volta che toccava a
me, dovevo alzare una gamba, la sinistra o la destra, e le macchine
da presa non cessavano di concentrarsi sul mio corpo.
... Finite le riprese
dell'Angelo azzurro, rutti ci salutammo. Von Sternberg tornò
in America. E ciascuno se ne andò per suo conto, a continuare come
meglio poteva la propria carriera, rimpiangendo la sua guida, la sua
autorità, la sua gentilezza e la sua magia, di cui aveva saputo
farci sentire l'influenza divina e demoniaca senza mai ferirci.
Mentre scrivevo queste
pagine, mi è capitato di vedere alla televisione L'Angelo azzurro
nella versione originale tedesca. Non mi aspettavo di trovare
un'attrice perfetta in una parte difficile, insolente e a volte
tenera, un'attrice naturale e libera che dà vita a un personaggio
complesso, a una personalità che non era la mia. Non so come abbia
fatto von Sternberg a operare un simile prodigio. Genio, immagino! La
volgarità di Lola s'accorda perfettamente con la volgarità degli
altri personaggi.
Confesso di essere
rimasta molto impressionata dall'attrice Marlene Dietrich, capace
d'impersonare con successo una puttana da marinai degli anni Venti.
E' giusto persino l'accento (il basso tedesco).
Io, ragazza beneducata,
riservata, ancora oggi pura, nata da una famiglia rispettabile, avevo
azzeccato, senza saperlo, un'interpretazione eccezionale che non
avrei mai più ripetuto.
"la Repubblica", 27 ottobre, 1985
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