Una stroncatura
dell'intera opera di Alberto Moravia (o quasi), letta come un trucco,
perfino piuttosto banale, che si conclude con un riferimento a 1934.
Il ritaglio è da “Pagina”,
un settimanale di area laico-socialista a sostegno della
modernizzazione “craxista”, che ebbe una effimera vita nei primi
anni Ottanta, animato da P. G. Battista. Non trovo date, ma l'anno è
il 1982, quello della prima uscita del romanzo moraviano. (S.L.L.)
Alberto Moravia visto da Paolo Giorgi |
Moravia narratore
moderno. Moravia scrittore erotico. Moravia critico della borghesia.
Moravia realista. Questi luoghi comuni, queste etichette definiscono
correntemente quello che da mezzo secolo è il nostro romanziere più
noto, tenace e collaudato. Eppure, in quelle veloci e sintetiche
definizioni c'è qualcosa che non va. Hanno la perentoria,
inoppugnabile secchezza dello stesso stile moraviano. Sono ormai, per
i lettori e per la critica, moneta corrente. Tentare di rovesciarle è
ritenuta un'impresa faticosa, e probabilmente improduttiva. Del
resto, Moravia non la incoraggia né la facilita. I suoi libri, uno
dopo l'altro, prodotti e pubblicati con il ritmo inarrestabile dei
veri professionisti, hanno tutti la stessa superficie liscia,
compatta, marmorea. La pratica moraviana della letteratura è
perfettamente razionalizzata.
La sua stessa
problematicità, sempre un po' troppo esibita e dichiarata in una
serie di stentorei enunciati da manuale, sembra spesso una doverosa
messa in scena che l'autore sa da un pezzo di non poter risparmiare
né al lettore né a se stesso. Con il disperato, fragoroso
andirivieni di una ruspa, le macchine narrative di Moravia scavano e
rovesciano a metri cubi la «problematica borghese moderna» del
sesso, del denaro, dell'alienazione, del conformismo.
Tutto questo cristallino
dichiarare di che cosa si sta narrando finisce per avere sul lettore
un effetto ipnotico. La realtà così reale dei suoi racconti e
romanzi è forse il risultato di un sortilegio di cui l'autore stesso
è rimasto vittima. Solo che, invece di demistificarlo, come pure si
illude di fare, lavora piuttosto con tutte le sue forze a
razionalizzarlo, rendendolo solido e opaco come una pietra.
Moravia narratore
moderno? Certo, all'inizio degli anni trenta, con perfetto e
spontaneo tempismo, Gli indifferenti hanno fatto giustamente epoca.
In un paese come l'Italia, in cui la tradizione del romanzo moderno è
stata sempre così debole e stentata, Moravia è stato l'eccezione:
l'innovatore, o meglio, l'inventore. Nessun lenocinio stilistico,
nessun ripiegamento della memoria e, soprattutto, bando alla
frammentarietà. Ma di che modernità si tratta? Lo scheletro
narrativo di Moravia somiglia a quello della Triviallileratur
e dei copioni per film. I suoi rapporti, di cui tanto si è parlato,
con la tradizione del realismo ottocentesco, francese e russo,
passano attraverso la griglia del professionismo letterario
novecentesco, in cui cinema e stampa quotidiana la fanno da padroni.
Moderno è dunque Moravia, non perché problematico,
protoesistenzialista e saggistico. Ma, al contrario, proprio perché
creatore di schemi rigidi e ripetibili di narrativa: proprio perché
così accessibile, così fruibile, così filmabile e divulgabile. La
modernità letteraria di Moravia è il suo sapere e voler essere un
perfetto narratore all'ingrosso, un autore problematico di massa.
Moravia scrittore
erotico? Certo, a prima vista, negarlo sembra un provocante
paradosso. Non si parla quasi sempre e quasi solo di sesso nei suoi
libri? Eppure, chi non si accorge che il sesso di cui parla Moravia è
appena un guscio vuoto, il nome di una cosa che sta lì non per se
stessa ma per altro? Il sesso di Moravia è un sesso senza carne,
senza percezioni, senza psicologia. Ma è mai possibile un tale
sesso? O non è, quello di cui ci parla Moravia, il più disincarnato
e idealistico dei feticci: il sesso come perpetua frustrazione e
quindi come pura idea. Le donne di Moravia sono di coccio o di vetro,
la loro crudeltà è sempre involontaria, preterintenzionale, fa
tutt'uno con la dura materia di cui sembrano fatte. Una materia,
appunto, non carnale, non corporea, ma forse solo mentale o minerale.
Il sesso di Moravia è, come tutti sanno, un sesso senza eros, e
quindi (dato il carattere non processuale, statico, delle narrazioni
moraviane) un sesso irreale, negato, inesistente.
Moravia critico della
borghesia? Certo, la borghesia è da sempre per Moravia una ben
solida e ferma testa di turco. Ma esiste questa borghesia di Moravia?
E' proprio come lui se la immagina? La borghesia romana anni trenta,
quella degli Indifferenti, quel sinistro gruppo di famiglia in
un interno che lo scrittore ventenne ritrae con furia e accoramento,
è ancora davvero presente fra noi, o non ci insegue, piuttosto, come
uno spettro? La sua ripugnante aridità morale perseguita ancora quel
ragazzo ferito che Moravia è rimasto. Ma la ferita, in tutti i suoi
libri pubblicati negli ultimi venti, trent'anni, si vede sempre meno.
Alla furia critica si è forse sostituita un'accorata affezione. E,
soprattutto, l'odio-amore di chi non può fare più a meno della sua
vecchia trappola. A questa borghesia ridotta a schema, a questa
borghesia-fantoccio Moravia eleva da decenni con le sue assillanti
descrizioni il suo altare di demistificatore adorante.
Moravia realista? Ma chi
non lo vede? La realtà di Moravia, quella che nei suoi libri compare
come asciutta e elementare verità delle cose, è solo ideologia.
Un'ideologia fondata sulla paura di essere travolto dalla rude logica
dei fatti, e che lo spinge ad una sistematica, metodica
identificazione con l'aggressore. Il cosiddetto saggismo narrativo di
Moravia è tutto qui: coincide con il suo sforzo di creare un
credibile, fungibile corrispettivo mentale alla logica reale. E
questo corrispettivo razionalizzabile delle cose contiene una sorta
di atterrito e imperterrito dogmatismo nei confronti delle cose. La
realtà di Moravia è dunque immaginaria, sta lì come un miraggio, o
come un incubo. È da qui che deriva il suo fascino irresistibile,
tutto quel fascino del banale, del normale, dell'ovvio che riempie
come sabbia le centinaia di racconti moraviani. Da questa sostanza
immaginaria della sua realtà nasce anche la sua preoccupata
superstizione: la superstizione del laico integrale, che non crede ai
fantasmi e alle streghe, e finisce per esserne inseguito in capo al
mondo.
È quello che avviene in
1934. La superstizione incombe sulla realtà fin dalla prima
pagina. Sul mare di Capri, nel ciclo di piombo, il protagonista crede
di vedersi di fronte, ingigantito, lo stesso pipistrello che sorregge
il cartiglio nella Melancolia di Durer. Ma questa volta la
dicitura non è il nome di un'allegoria morale, è invece
l'enunciazione un po' disarmante del problema che ci accompagnerà
per tutte le pagine del libro. Un problema inventato, o formulato con
l'indifferenza convenzionale con cui i colori colorano le fiches
nei giochi da tavolo. Riuscirà il protagonista a risolvere il suo
problema? E chi è quella ragazza dai capelli rossi e dagli occhi
verdi, torva e seduttiva, che lo fissa negli occhi con ambigua
insistenza fino a coinvolgerlo in un crudele gioco di sdoppiamenti e
di inganni?
Il protagonista è un
giovane intellettuale di sentimenti aristocraticamente antifascisti.
È disperato ma progetta di trovare il metodo per fare della sua
disperazione il pilastro di una vita possibile, benché stoica. Si
innamora della ragazza, è stregato dal suo misterioso comportamento.
Cerca invano, fino alla fine, di amarla, anche soltanto di
incontrarla, di indagarne le vere intenzioni, la reale natura. Usando
a piene mani la tecnica dell'imprevisto e del colpo di scena, Moravia
ci trascina nel suo tragico labirinto di cartapesta per quasi
trecento pagine.
Chiudiamo il libro senza
sapere se abbiamo provato emozioni reali, se abbiamo pensato, insieme
all'autore e ai suoi personaggi, pensieri reali. Il libro è
scorrevole (qua e là un po' noioso). Si legge di un fiato. Non
abbiamo imparato nulla, l'atmosfera del racconto ci lascia subito.
Del resto lo sapevamo dalla critica: Moravia non è mai stato uno
scrittore di atmosfera. Ma neppure uno scrittore problematico,
erotico, critico o realista. E questo, se appena potevamo
sospettarlo, ora lo sappiamo per certo.
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