La recensione di un
romanzo settecentesco e la digressione sulla figura del protagonista
si trasformano nell'invenzione e nell'elocuzione di Beniamino Placido
in un brillante apologo, che aiuta a individuare le differenze tra
“civiltà” e “barbarie”. A suo dire i banchieri (e i loro
amici ministri) sarebbero sì dei ladroni, ma civilizzati, e questo
li renderebbe di gran lunga migliori degli altri ladroni. Forse a
leggere dentro i percorsi dell'ultima crisi capitalistica e dentro i
percorsi finanziari delle grandi mafie, si arriva alle conclusioni
che lascia trasparire il professore Giuseppe Carlo Marino nel suo
Globalmafia (Bompiani, 2011):
alcuni confini sono stati abbattuti e le distinzioni del passato sono
quasi scomparse. (S.L.L.)
Henri Fielding |
Imbarazzante per i
lettori di ieri, la lettura del romanzo settecentesco Jonathan
Wild, il Grande, di Henry Fielding, che Bompiani ripubblica nella
vecchia traduzione di Carlo Izzo con una nuova introduzione di Sergio
Perosa (pagg. 225, lire 6.500) può risultare sconcertante (se non
addirittura «pericolosa») per il lettore di oggi.
Sono stati letterati
illustri e avveduti dell'Ottocento, come Walter Scott, Coleridge,
Byron, a trovare questo libro «imbarazzante». Senza peraltro
riuscire a spiegare né a se stessi, né a noi, le ragioni del loro
«imbarazzo».
Ridotta all'osso, e con
un po' di audacia, la questione si può porre così. Jonathan Wild
è un romanzo estremamente imbarazzante, ieri come oggi, perché non
è Ali Babà e i quaranta ladroni.
Riflettiamoci sopra un
attimo. Il fascino di quella incantevole novella da Le Mille e una
Notte non è nella formula magica che schiude (e richiude) la
porta della caverna dei briganti: «Sesamo, apriti». Pensiamoci
bene, e magari rileggiamo il racconto. La sua forza persuasiva,
rasserenante, risiede nel fatto di essere il rituale di fondazione di
una civiltà mercantile.
Alì Babà ruba. Ma ruba
a dei ladri. E non ruba per continuare a rubare. Ruba per avviare un
esercizio commerciale a vantaggio del figlio (i particolari li
lasciamo, naturalmente, da parte). Alla grotta nel bosco si
sostituisce la bottega in città. Al brigante si sostituisce il
mercante. Il narratore de Le Mille e una Notte non nega che
fra queste due figure sociali ci sia qualcosa in comune (Ali Babà è
un po' bricconcello anche lui). Ma non ha dubbi nell'accordare la sua
preferenza. Al furfante preferisce il mercante.
E Fielding, invece?
Fielding, non si sa. Non è chiaro. Non si capisce bene. Karl von
Clausewitz diceva che la politica è l'arte della guerra, continuata
con altri mezzi.
Recupero oggetti
rubati
Nel pieno di una civiltà
mercantile in espansione (e in presenza di una rivoluzione
industriale incipiente), Fielding dice spiega sostiene — in questo
romanzo — che fra il furfante e il mercante e il politicante non
c'è mica poi tanta differenza. L'arte dell'uno è la «continuazione»
di quella dell'altro. Le stesse «virtù» che servono alla fortuna
di un ladro possono servire al successo di un primo ministro (il
Primo Ministro al quale Fielding si riferisce è il molto
chiacchierato Walpole, in carica dal 1715 al 1717 e poi dal 1721 al
1742). È vero: l'autore di Tom Jones e di Amelia ha
anche qui un tono sempre ironico e irridente. Scherza sempre. Ma
talvolta si ha proprio 1' impressione che faccia terribilmente sul
serio. Si chiede: è proprio sicuro che Alessandro Magno, con tutto
quello che ti ha combinato, era meglio del mio Jonathan Wild, il
Grande? Se Fielding si pone (ci pone) la domanda, è — naturalmente
— per rispondere di no. Anzi, per aggiungere che se un'alternativa
c'è, è un'alternativa crudele. Si può essere o Grandi senza bontà
o Buoni senza grandezza. «Tertium non datur». In mezzo non ci si
sta.
Grande, grandissimo — e
quindi _ cattivissimo — è Jonathan Wild, personaggio realmente
esistito in quella Londra del primo Settecento che noi ci immaginiamo
(ed effettivamente era) formicolante di briganti e di furfanti, di
ladri e di puttane, di mantenuti, di manutengoli, assassini,
tagliaborse, ricettatori, ricattatori, impiccati e impiccatori. Fra
queste figurine tutte simpatiche, anzi irresistibilmente deliziose ad
incontrarle nella pagina scritta (ma chissà poi ad averci a che fare
nella vita reale) Jonathan Wild ci sguazza. Anzi, ci costruisce sopra
addirittura un piccolo impero. Un'impresa commerciale. Un'Agenzia per
il recupero non degli oggetti smarriti, ma degli oggetti rubati.
Ti hanno rubato — a te
fortunato abitante di quella Londra settecentesca — un gioiello,
una tabacchiera, un bastone da passeggio (sembrano i furti più
frequenti)? Bene, rivolgiti con fiducia alla benemerita Agenzia di
Jonathan Wild. Lui non sa niente, naturalmente. Ma per farti un
favore, si informerà. Vedrà cosa si può fare. Cercherà di
riscattare gli oggetti. Rivolgiti a lui. Con fiducia, tanto è lui
stesso che li ha fatti rubare. Dai suoi uomini di fiducia. E per sé,
cosa vuole? Niente, quasi niente: un regalino, una percentuale minima
del valore dell'oggetto rubato (e recuperato).
E' forse ricettazione,
questa? No, è pura filantropia. La legge non ha niente da dire.
Finché non si scaltrisce, la legge, finché non vengono emanate
disposizioni più penetranti, più severe, che definiscono anche
questa come ricettazione: e per il nostro Jonathan è finita.
Sarà impiccato nel 1725.
Ma non prima di aver spedito a sua volta sulla forca più di un
compagno sospetto di scarsa fedeltà. Non prima di aver insidiato e
rovinato la pacifica esistenza familiare del suo amico (si fa per
dire) Heartfree — la vera antitesi di Wild, un Buono senza
grandezza. Non prima di aver soggiornato nel famoso carcere di
Newgate (famoso anche per tutta una letteratura ribaldesca scritta
dagli ospiti di questa benemerita istituzione) costituendo lì dentro
altre bande, provocando altri scontri, allacciando altre alleanze (la
turbolenza carceraria, come si vede, ha una lunga storia).
Non meraviglia che un
personaggio del genere abbia suscitato molto interesse. Da buon
giornalista, Daniel Defoe ne racconta, nello stesso anno (1725), le
gesta, con stile sobrio e secco, in un volumetto riproposto in
italiano (Daniel Defoe, La vera storia di Jonathan Wild,
Sellerio).
Passano tre anni, e John
Gay si ispira a lui — a Jonathan Wild — per la raffigurazione di
Peachum, protagonista dell'Opera dei mendicanti (1728).
Passano un paio di secoli, e la memoria di Jonathan Wild, il Grande,
non è ancora morta: da John Gay a Brecht, dall'Opera dei
mendicanti all'Opera da tre soldi. E con Brecht siamo al
culmine della spregiudicatezza (ideologica) e dell'imbarazzo
(pratico). E' sua, di Brecht, la domanda storica (e retorica): «che
cos'è mai la rapina a una Banca di fronte alla fondazione di una
Banca?»
Brecht vuole
evidentemente indicare (ne ha tutto il diritto) la contiguità — se
non addirittura la continuità — di pratica bancaria e eli
spregiudicata spietatezza finanziaria. Brecht vuole evidentemente
dire (e fa bene a dirlo) che sovente è difficile distinguere un
politicante da un mercante, e un mercante da un furfante.
Proprio come Fielding
intendeva dire (anzi esplicitamente proclamava) che il Primo Ministro
di sua Maestà, Walpole, non era mica poi tanto meglio del suo
simpaticissimo Jonathan Wild.
Nella bottega di
Alì Babà
Eppure c'è una
differenza fra il banchiere e il mercante, fra il politicante e il
furfante. Anzi, a pensarci bene, le differenze di rilievo sono due.
Primo: il banchiere, il politico mentre fanno tutto quello che
possono per il proprio interesse, devono fare qualcosa anche per noi.
Devono renderci dei servizi, devono assolvere a delle funzioni. Il
furfante, no. Non è tenuto a niente. Non è tenuto a tanto.
Secondo: il Primo
Ministro, il Presidente di una Banca lo possiamo controllare, lo
possiamo perfino cambiare (in certi regimi cosiddetti «borghesi»,
beninteso); il capobanda, no. Anche il potentissimo Primo Ministro
Walpole cade, nel 1742. Tant'è vero che nella seconda stesura del
romanzo (1754), quella che leggiamo in traduzione, Fielding attenua
di molto gli accenti aggressivi nei suoi confronti.
Se andiamo a comprare
nella bottega aperta da Ali Babà, è probabile che lui benevolmente
ci imbrogli. Ma se ci rivolgiamo ai briganti nella loro caverna, ci
capiterà sicuramente di peggio.
E poi — diciamocelo —
i banchieri sono per definizione squallidi e rispettabili. I briganti
sono per definizione pittoreschi e divertenti. Jonathan Wild — il
personaggio — è irresistibilmente simpatico. Jonathan Wild, il
Grande — il romanzo — è paradossalmente attraente.
Ma non è una buona
ragione per abbandonarci a quella fatuità «letteraria» che
consiste nello spararle grosse (tanto non costa niente). Nel dire: ma
sì, in fondo sono tutti uguali, governanti e mercanti: tutti
briganti (vedi? lo dice anche Fielding; vedi? lo dice anche Brecht).
In fondo può essere
vero. Ma a noi interessa quel tratto di superficie dove si inscrivono
le fragili, provvidenziali «differenze» che sono la civiltà. Dove
Ali Babà e diverso dai briganti della cave. E, in fondo in fondo,
anche più simpatico.
“la Repubblica”,
ritaglio senza data, ma 1981
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