Un paio di anni fa Paolo
Di Stefano, sul “Corsera” leggeva l'elezione a presidente della
Regione Siciliana di Rosario Crocetta, omosessuale dichiarato, come
un segno della fine del vecchio “machismo” ossessivo raccontato e, in qualche modo, celebrato dalla narrativa siciliana. Io
credo che sia vero, a prescindere da Crocetta che, in verità, fece
una qualche concessione agli “omofobi”, rendendo pubblico un voto
di astinenza sessuale in caso di successo elettorale. Crocetta a
parte, l'articolo è gradevole e contiene, oltre che citazioni
pertinenti, riflessioni ragionevoli. (S.L.L.)
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Lando Buzzanca in "Il merlo maschio" |
Ricordava Leonardo
Sciascia che nel circolo sociale di Racalmuto si discuteva, si
giocava a carte, si leggevano i giornali, ma soprattutto si
chiacchierava di donne e di sesso con la massima crudezza. In fondo
il dopolavoro maschile di un paese della Sicilia interna anni
Quaranta non doveva essere molto diverso, almeno per gli argomenti
che si trattavano, da un ritrovo brianzolo o maremmano. Quel che
distingueva la Sicilia dalle altre regioni era qualcosa di più
profondo, che ha a che fare con l’antropologia e la psicologia
collettiva, con la tradizione: una tradizione che oggi, con
l’elezione di un presidente di Regione come Rosario Crocetta,
omosessuale dichiarato e single fiero di esserlo, subisce un
duro colpo, se è vero che il machismo insulare (con familismo
connesso) è tra gli stereotipi più resistenti da secoli, sia nella
sua declinazione più comune e anche folcloristica (vedi Buzzanca),
sia in quella più feroce e seria che vuole la mafia come fenomeno
decisamente maschile (e maschilista). È sempre Sciascia a parlare
del mito della donna per gli uomini siciliani. In una commedia di
Nino Martoglio, L’aria del continente, un ricco possidente
siciliano in viaggio su al Nord, conosce una donna che gli fa perdere
la testa: la porta con sé a Catania, dove la «forestiera» diventa
subito oggetto d’invidia da parte dei suoi amici. Quando però si
scopre che la bella donna continentale in realtà era nata in un
paese della provincia di Enna, l’incanto crolla (e l’invidia
pure). Un aspetto del maschilismo siciliano è indubbiamente questo:
l’esibizione della femmina (possibilmente altra) che fa ingelosire.
Comportarsi in un certo modo con la donna è «un imperativo
categorico» del maschio siciliano: la natura del vero uomo è quella
di essere «ossessionato» dall’altro sesso. Siamo in quello che
Vitaliano Brancati chiamava il «gallismo» siciliano, che ha
etimologicamente a che fare con il gallo, esempio massimo, nella
civiltà contadina, di sessualità capace di coniugare orgoglio
virile e instancabile potenza amatoria. Gallismo e dongiovannismo: da
una parte il vanto di sé, dall’altra una dedizione assoluta e
persino caricaturale alla donna, non necessariamente al livello
dell’azione ma piuttosto sul piano verbale. Il desiderio si può
anche risolvere in piacere del discutere sulla donna. Per questo il
machismo siciliano è una tensione (o un precipitato) di
sopraffazione violenta e sublimazione quasi stilnovistica. C’è
qualcosa di leopardiano, secondo Brancati, nei «dongiovanni di
Sicilia», per i quali il piacere è sempre passato o futuro e mai
presente. Un professore di greco, Francesco Guglielmino, disse un
giorno a Verga, parlando dei siciliani: «Siamo romantici», e Verga
gli rispose: «Ma che romantici, figlio mio: siamo ingravidabalconi».
Brancati scrisse che «questo avere i sogni, e la mente, e i
discorsi, e il sangue stesso perpetuamente abitati dalla donna, porta
che nessuno sa poi reggere alla presenza di lei». È il caso celebre
del bell’Antonio Magnano e del suo fiasco sessuale, che obbliga il
padre di lui (piccolo borghese fedelissimo del «gallismo»
tradizionale) a riscattare l’onta familiare morendo a settant’anni,
sotto i bombardamenti, in casa di una prostituta, dove verrà
ritrovato con una scarpina verde dal fiocco rosa accanto al viso.
Anche Tomasi di Lampedusa è testimone di una sessualità maschilista
ossessiva e mai pacifica. Vi ricordate con quanta penosa
autocelebrazione il principe Fabrizio rivelava al confessore la
propria insoddisfazione erotica attribuendone tutte le responsabilità
alla moglie? «Ma che volete da me? Sono un uomo vigoroso. E come
posso accontentarmi di una donna che a letto si fa il segno della
croce prima di ogni abbraccio, e che dopo non sa dire che prima di
ogni abbraccio, e che dopo non sa dire che "Gesummaria"?
Sette figli ho avuto da lei, sette, e sapete che vi dico, padre? Non
ho mai visto il suo ombelico. Eh? È giusto questo?». La fissazione
dell'uomo per la donna occupa buona parte di quella «corda pazza»
di cui parlava Pirandello a proposito della sua terra. Già,
Pirandello. Se passiamo al suo rovello sessuale, rischiamo di aprire
un capitolo quasi interminabile che coinvolge paura, angoscia,
impotenza, senso di colpa e, dicono i critici psicoanalitici,
rimozione dei contenuti omosessuali. Eccoci tornati a bomba. Se il
nuovo governatore siciliano non ha nascosto la sua omosessualità, è
perché, grazie al cielo, la Sicilia non è più quella di Verga,
Pirandello e Brancati. Il siciliano Crocetta come il pugliese
Vendola, mentre a Nord venivano celebrati squallidissimi riti di
maschilismo tribale.
Corriere della Sera, 30
ottobre 2012
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