Alberto Moravia è solito
dire che il suo secondo romanzo Le ambizioni sbagliate,
pubblicato nell'estate del 1935 (ed. Mondadori), sei anni dopo Gli
indifferenti (ed. Alpes, 1929), «non ebbe recensioni, anzi non è
stato ancora recensito». Lo ricorda, quel romanzo, come un incubo :
«Vi lavorai per sei anni. E' stato un "pensum"; lo
riscrissi sei volte. E' il mio romanzo più intenzionalmente
dostoievskiano». In realtà la stampa quotidiana e periodica riservò
al libro del ventottenne scrittore una sua perfino clamorosa
accoglienza; ma preordinata dal regime con direttive così precise,
che la critica ufficiale (quella che pure aveva consacrato Gli
indifferenti), intimidita o avvilita, dovette o pensò di tacere.
Le bozze del romanzo
erano state inviate, nella primavera del 1935, a Roma dall'editore
milanese per una lettura ministeriale preventiva. L'autore, per
sollecitare il nulla osta, si era personalmente recato a colloquio
dal vice prefetto Stroppolatini, responsabile dell'ufficio censura,
ma si sentì dire che i suoi personaggi non solo erano «un poco
lascivi», ma non erano «positivi». Moravia ricorse ad amici e ad
un deputato suo parente: dopo molte insistenze il "licet"
venne concesso. Contemporaneamente una secca "velina"
raggiunse le redazioni dei giornali: il romanziere era largamente
noto e subito fu iniziata nei suoi confronti una campagna di
deprezzamento.
Nel luglio del 1935,
mentre Le ambizioni sbagliate stavano per giungere in
libreria, la rivista “Realizzazioni” gli dedicò un profilo, a
firma Candido, dove si leggeva che Moravia era il rappresentante «di
una società borghese e senza aspirazioni» della quale egli
dipingeva i «caratteri malvagi, deformi, cacciati nella miseria
morale al punto da farci credere che siano stati creati per eccitare
un pubblico morboso». Si rivelava che lo scrittore era solito
scrivere a letto: «cattiva abitudine, da ragazzo viziato, dalla
quale con tutto il suo ingegno difficilmente riuscirà a cavare una
sola pagina sana e serena». Il moralista così proseguiva : « La
barba lunga, il sonno cui si rimane attaccati — che è vicino alla
morte — l'inevitabile sudiciume del corpo dopo una notte, finiscono
con l'avere il loro peso sulla pagina scritta»; senza contare che
«... fa colazione all'inglese, e anche questo contribuisce a portare
nella sua vita quell'aria europeista e internazionale che offre i
segni della decadenza ».
Uscito il romanzo, la
prima stroncatura venne firmata su “La Sera” di Milano, il 16
agosto '35, dal critico del regime Francesco Scarpelli. Costui
scrisse che in Moravia «la visione unilaterale e un po'
ossessionante del mondo ci fa ricordare 1'opinione attribuita a mons.
Bonomelli sull'arte di Emilio Zola: efficacissima evidenza di chi,
accompagnandoci nella visita a un grandioso edificio, abbia cura di
mostrarci soltanto i locali adibiti ai servizi più ignobili e
ripugnanti... C'è qui una foschia lutulenta... in tutto il racconto
non ti imbatti in una sola giornata splendente...», quando invece
«la vita sofferta e goduta non è soltanto insudiciata di
nauseabondo nerofumo, ma anche profumata dal sole». Il quotidiano
genovese “Il lavoro” che, sollecitato dall'editore Mondadori,
aveva prepubblicato alcune settimane prima, con grande evidenza, un
capitolo del romanzo, si trovò in grande imbarazzo; disinvoltamente
ignorando la "velina", il suo critico Aldo Capasso scrisse
(il 7 settembre) tre colonne, assai positive: «Le ambizioni
sbagliate (a parte il titolo che sa di didattico, e così
calunnia un po' il libro) è un romanzo bellissimo... Poche e lievi
mende... Tristezza definitiva di un mondo dove l'amore non è mai
compensato... Il Moravia ha creato il suo mondo, e finché la lettura
duri, tutti divideranno la sua tristezza». Ma il 16 settembre Franco
Vegliarli, con due colonne su “Il Piccolo” di Trieste, si
precipitò a dimostrare che «i personaggi sono o vuoti e
superficiali, o bassi e banali, o insufficienti e incompleti... Con
Moravia abbiamo ancora un decadente, ancora un malato e non si vede
in lui alcun segno di rinnovamento o di rinascita...».
I giornali di provincia
furono i più ossequienti alla «velina» ministeriale. Il 20
settembre, su “L'Isola” di Sassari, tale Libero Macedda tuonò
con due colonne intitolate «Condanniamo Alberto Moravia»: « Il suo
è un mondo falso, di corruzione e di pervertimento così accentuati
che non possiamo ammettere, e che ripugnano agli italiani nuovi...
Nessun italiano dell'Anno XIII può ammettere per veri questi
personaggi o giustificare le loro azioni più ignominiose... Tanto
pervertimento e tanta delinquenza morale non esistono in Italia da
quando il fascismo ha rivolto i suoi energici e benefici sforzi al
potenziamento di quelle nobili e a tutti note virtù della stirpe
italiana... ».
La farsa critica proseguì
per tutto il 1935 e gran parte del 1936 mentre l'autore soggiornava
negli Stati Uniti. I cattolici si sentirono i più autorizzati ad
impartire al giovanotto la paternale moralistica. Geo Renato Crippa,
su “Il Popolo di Brescia”, ambiguamente scrisse: « Non è facile
capire come un giovane trovi una sua potenza espressiva ed artistica
scegliendo nel peggior male che sia possibile scovare nella
società... Di tali romanzi l'Italia in questo momento di salute e di
battaglia non ne avrebbe per nulla necessità... ». Tuttavia vanno
ricordati, sui quotidiani, almeno due coraggiosi interventi a favore
del romanzo: l'articolo di Mantica Barzini sul “Corriere di Napoli”
(1° febbraio 1936) dove si leggeva: « Moravia non si prefigge di
far vedere il mondo nero, la vita impossibile, l'umanità immonda e
perfida... Libro amaro e scavato, che scolpisce, si impone, stringe
il cuore »; e la colonna anonima, pubblicata, ad un anno dall'uscita
delle Ambizioni, sulla “Gazzetta del Popolo” di Torino (31
luglio 1936) : « Scrittore lucido, potente, che ti trascina dove
vuole... Nessuno come lui può darti il senso del vizio e della
corruzione... Il rigore della sua dimostrazione è perfetto ».
Alcune riviste e
periodici di cultura intervennero sul libro durante il 1936. Su “Vita
e Pensiero” il cattolico Francesco Casnati scrisse che «la
costruzione porta segni di potenza e, insieme, di fatica»; che
quella di Moravia era « una visione parziale e sbagliata nella sua
esclusività, come è quella di tutti i veristi... Rappresenta un
mondo fangoso, ma lo giudica nel titolo con una definizione, le
ambizioni sbagliate, che lo condanna; ed è un sintomo non poco
confortante nel grande ingegno com'egli è ». Su “Il Convegno”
(26 febbraio 1936) l'allora giovane Arrigo Benedetti, pur lodando il
libro avanzò riserve sulla sua «immobilità... per difetto di
fantasia» e ritenne l'autore «non persuasivo, volendoci imporre un
suo mondo moralistico più che fantastico». Assai aspro fu su
“Studium” (marzo 1936) il recensore a firma Abi, il quale non
accettò i personaggi «così fatalmente spregevoli... che destano
una trista e talora irresistibile comicità... e che non possono
avere alcuna grandezza né morale, né artistica». Sul periodico
napoletano “Il movimento letterario” (giugno 1936), in un
dialoghetto a firma del direttore Sabino Alloggio, fu scritto: «Il
Moravia manca di umanità, di senso classico. E' una improvvisazione
dei tempi. Direi che dei nostri tempi — tragici e quindi
profondamente idealistici — non ha capito nulla».
la Repubblica, 16
novembre 1977
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