30.8.14

Le ambizioni di Moravia stroncate dai fascisti (Domenico Porzio)

Alberto Moravia è solito dire che il suo secondo romanzo Le ambizioni sbagliate, pubblicato nell'estate del 1935 (ed. Mondadori), sei anni dopo Gli indifferenti (ed. Alpes, 1929), «non ebbe recensioni, anzi non è stato ancora recensito». Lo ricorda, quel romanzo, come un incubo : «Vi lavorai per sei anni. E' stato un "pensum"; lo riscrissi sei volte. E' il mio romanzo più intenzionalmente dostoievskiano». In realtà la stampa quotidiana e periodica riservò al libro del ventottenne scrittore una sua perfino clamorosa accoglienza; ma preordinata dal regime con direttive così precise, che la critica ufficiale (quella che pure aveva consacrato Gli indifferenti), intimidita o avvilita, dovette o pensò di tacere.
Le bozze del romanzo erano state inviate, nella primavera del 1935, a Roma dall'editore milanese per una lettura ministeriale preventiva. L'autore, per sollecitare il nulla osta, si era personalmente recato a colloquio dal vice prefetto Stroppolatini, responsabile dell'ufficio censura, ma si sentì dire che i suoi personaggi non solo erano «un poco lascivi», ma non erano «positivi». Moravia ricorse ad amici e ad un deputato suo parente: dopo molte insistenze il "licet" venne concesso. Contemporaneamente una secca "velina" raggiunse le redazioni dei giornali: il romanziere era largamente noto e subito fu iniziata nei suoi confronti una campagna di deprezzamento.
Nel luglio del 1935, mentre Le ambizioni sbagliate stavano per giungere in libreria, la rivista “Realizzazioni” gli dedicò un profilo, a firma Candido, dove si leggeva che Moravia era il rappresentante «di una società borghese e senza aspirazioni» della quale egli dipingeva i «caratteri malvagi, deformi, cacciati nella miseria morale al punto da farci credere che siano stati creati per eccitare un pubblico morboso». Si rivelava che lo scrittore era solito scrivere a letto: «cattiva abitudine, da ragazzo viziato, dalla quale con tutto il suo ingegno difficilmente riuscirà a cavare una sola pagina sana e serena». Il moralista così proseguiva : « La barba lunga, il sonno cui si rimane attaccati — che è vicino alla morte — l'inevitabile sudiciume del corpo dopo una notte, finiscono con l'avere il loro peso sulla pagina scritta»; senza contare che «... fa colazione all'inglese, e anche questo contribuisce a portare nella sua vita quell'aria europeista e internazionale che offre i segni della decadenza ».
Uscito il romanzo, la prima stroncatura venne firmata su “La Sera” di Milano, il 16 agosto '35, dal critico del regime Francesco Scarpelli. Costui scrisse che in Moravia «la visione unilaterale e un po' ossessionante del mondo ci fa ricordare 1'opinione attribuita a mons. Bonomelli sull'arte di Emilio Zola: efficacissima evidenza di chi, accompagnandoci nella visita a un grandioso edificio, abbia cura di mostrarci soltanto i locali adibiti ai servizi più ignobili e ripugnanti... C'è qui una foschia lutulenta... in tutto il racconto non ti imbatti in una sola giornata splendente...», quando invece «la vita sofferta e goduta non è soltanto insudiciata di nauseabondo nerofumo, ma anche profumata dal sole». Il quotidiano genovese “Il lavoro” che, sollecitato dall'editore Mondadori, aveva prepubblicato alcune settimane prima, con grande evidenza, un capitolo del romanzo, si trovò in grande imbarazzo; disinvoltamente ignorando la "velina", il suo critico Aldo Capasso scrisse (il 7 settembre) tre colonne, assai positive: «Le ambizioni sbagliate (a parte il titolo che sa di didattico, e così calunnia un po' il libro) è un romanzo bellissimo... Poche e lievi mende... Tristezza definitiva di un mondo dove l'amore non è mai compensato... Il Moravia ha creato il suo mondo, e finché la lettura duri, tutti divideranno la sua tristezza». Ma il 16 settembre Franco Vegliarli, con due colonne su “Il Piccolo” di Trieste, si precipitò a dimostrare che «i personaggi sono o vuoti e superficiali, o bassi e banali, o insufficienti e incompleti... Con Moravia abbiamo ancora un decadente, ancora un malato e non si vede in lui alcun segno di rinnovamento o di rinascita...».
I giornali di provincia furono i più ossequienti alla «velina» ministeriale. Il 20 settembre, su “L'Isola” di Sassari, tale Libero Macedda tuonò con due colonne intitolate «Condanniamo Alberto Moravia»: « Il suo è un mondo falso, di corruzione e di pervertimento così accentuati che non possiamo ammettere, e che ripugnano agli italiani nuovi... Nessun italiano dell'Anno XIII può ammettere per veri questi personaggi o giustificare le loro azioni più ignominiose... Tanto pervertimento e tanta delinquenza morale non esistono in Italia da quando il fascismo ha rivolto i suoi energici e benefici sforzi al potenziamento di quelle nobili e a tutti note virtù della stirpe italiana... ».
La farsa critica proseguì per tutto il 1935 e gran parte del 1936 mentre l'autore soggiornava negli Stati Uniti. I cattolici si sentirono i più autorizzati ad impartire al giovanotto la paternale moralistica. Geo Renato Crippa, su “Il Popolo di Brescia”, ambiguamente scrisse: « Non è facile capire come un giovane trovi una sua potenza espressiva ed artistica scegliendo nel peggior male che sia possibile scovare nella società... Di tali romanzi l'Italia in questo momento di salute e di battaglia non ne avrebbe per nulla necessità... ». Tuttavia vanno ricordati, sui quotidiani, almeno due coraggiosi interventi a favore del romanzo: l'articolo di Mantica Barzini sul “Corriere di Napoli” (1° febbraio 1936) dove si leggeva: « Moravia non si prefigge di far vedere il mondo nero, la vita impossibile, l'umanità immonda e perfida... Libro amaro e scavato, che scolpisce, si impone, stringe il cuore »; e la colonna anonima, pubblicata, ad un anno dall'uscita delle Ambizioni, sulla “Gazzetta del Popolo” di Torino (31 luglio 1936) : « Scrittore lucido, potente, che ti trascina dove vuole... Nessuno come lui può darti il senso del vizio e della corruzione... Il rigore della sua dimostrazione è perfetto ».
Alcune riviste e periodici di cultura intervennero sul libro durante il 1936. Su “Vita e Pensiero” il cattolico Francesco Casnati scrisse che «la costruzione porta segni di potenza e, insieme, di fatica»; che quella di Moravia era « una visione parziale e sbagliata nella sua esclusività, come è quella di tutti i veristi... Rappresenta un mondo fangoso, ma lo giudica nel titolo con una definizione, le ambizioni sbagliate, che lo condanna; ed è un sintomo non poco confortante nel grande ingegno com'egli è ». Su “Il Convegno” (26 febbraio 1936) l'allora giovane Arrigo Benedetti, pur lodando il libro avanzò riserve sulla sua «immobilità... per difetto di fantasia» e ritenne l'autore «non persuasivo, volendoci imporre un suo mondo moralistico più che fantastico». Assai aspro fu su “Studium” (marzo 1936) il recensore a firma Abi, il quale non accettò i personaggi «così fatalmente spregevoli... che destano una trista e talora irresistibile comicità... e che non possono avere alcuna grandezza né morale, né artistica». Sul periodico napoletano “Il movimento letterario” (giugno 1936), in un dialoghetto a firma del direttore Sabino Alloggio, fu scritto: «Il Moravia manca di umanità, di senso classico. E' una improvvisazione dei tempi. Direi che dei nostri tempi — tragici e quindi profondamente idealistici — non ha capito nulla».


la Repubblica, 16 novembre 1977

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