Quando un archivio
«esplode» può accadere di tutto. Aprire un archivio agli studi può
voler dire: trovare gli scheletri nell'armadio, ma anche scoprire le
dimensione e la sostanza vera di un nodo storico, di opere, di
protagonisti. Questo per avvicinarci al gran parlare e «mostrare»
attorno all'E 42, l'Esposizione universale che non ebbe mai
luogo, ma che divenne lo stesso una parte di Roma e di un immaginario
complesso non del tutto ancora chiarito.
C'è stata di recente una
mostra e di questa il giornale ha già detto. Ora vogliamo, invece,
parlare delle pubblicazioni sull'E 42, sia di quelle che hanno
commentato la mostra, sia di ciò che è stato pubblicato proprio
perché, finalmente, archivi e carteggi sono stati messi a
disposizione.
Due i volumi che formano
il catalogo Marsilio della mostra. Il primo riservato all'ideologia e
programma per l'Olimpiade dette civiltà (questo il tema di
quanto alla fine sarebbe dovuto essere l'esaltazione del ventennale
della rivoluzione fascista). Mentre il secondo volume, quasi 600
pagine, ci conduce dentro l'urbanistica, architettura, arte,
decorazione, di quel gigantesco «affare».
Che cosa è adesso
l'archivio Eur? Oltre 5 mila disegni tecnici «relativi
all'architettura e al progetto urbanistico», moltissimi schizzi per
l'arredo urbano, l'illuminazione, il verde, le fontane, oltre 400
cartoni esecutivi al vero che sarebbero dovuti diventare poi
affreschi e mosaici, circa 10 mila pezzi di archivio fotografico, e
quindi una infinità di altri documenti, fotografie, bozzetti,
lettere. Insomma, un gran miscuglio di cose nate tra politica, arte,
cultura, compromessi, prese di distanza ma anche di coscienza in
alcuni casi, burocrazie varie, fino alle assurdità di chi non
«capiva» più se fosse pace o guerra, se dovesse essere
«razionalismo» o «monumentalismo», se fascismo «rivoluzionario»
o soltanto un modo come un altro di fare l'architetto, il pittore,
l'intellettuale, in breve, di lavorare.
Leggendo queste
pubblicazioni vien da sorridere con amarezza su quanto sia antica e
solida la componente profonda di un'Italia sempre «alle vongole»,
patetica e aggressiva, con la strizzatina d'occhio facile, quella dal
concorso truccato, dall'appalto tanto per dire, della
raccomandazione.
L'Italia dei «potenti»
e dei prepotenti ma anche l'Italia di chi è costretto a stare al
gioco, di chi sa aspettare, di chi si «arrangia», di chi non vuoi
perdere la faccia, di chi, è il caso di Giuseppe Pagano, fu
probabilmente per davvero «architetto, fascista, antifascista,
martire». Un'Italia non facile, comunque. Nel catalogo Marsilio
Eugenio Garin si sofferma a lungo sul progetto e la destinazione
d'uso di quello che si chiamò il Palazzo della civiltà italiana
(«uno dei pochi edifici compiuti al momento della sospensione dei
lavori nel 1942»). Dice Garin: «Riesaminando oggi quelle carte, e
le tracce delle discussioni, sono molte le considerazioni che vengono
spontanee: innanzitutto lo stridente contrasto fra il quadro politico
generale, i progetti e piani concreti di esecuzione». Se
naturalmente fu vistoso e grottesco il «culto del capo», se la
retorica della «romanità», del «cesarismo», addirittura della
«razza», avviliva l'atmosfera a livelli decisamente meschini e
ignobili, l'Esposizione fu ricca di contraddizioni, in ogni senso.
Ancora Garin: «I modi concreti di presentare la storia della
“civiltà” nazionale, se contenevano talune anche vistose
smagliature, rispecchiavano in genere una ricerca abbastanza attenta
e informata, una valutazione critica aperta alle sollecitazioni
attuali, in vari casi una cura del rigore e della seria
organizzazione dei risultati raggiunti, anche nei particolari».
A conferma delle
contraddizioni presenti tra alcuni di coloro che parteciparono
all'impresa, anche nel senso indicato da Garin, ci sembra illuminante
l'intervista a Lodovico Belgiojoso (membro del celebre, storico,
gruppo milanese di architetti noto come Bbpr), pubblicata nel volume
secondo del catalogo Marsilio.
Si sta parlando del piano
che avrebbe portato alla nascita dell'E 42, e Belgiojoso dice:
«Questo piano aveva un'impronta decisamente razionalista secondo un
linguaggio appartenente al pensiero e allo stile del Movimento
moderno. Naturalmente tra Pagano e Piacentini, che erano agli
opposti, c'era una colleganza molto superficiale. E Piacentini, a cui
non piaceva questo piano, ne ha elaborato un altro di nascosto, molto
più accademico, lo ha mostrato a Mussolini, che lo ha approvato, ed
è quello che poi è stato eseguito. La storia di quel tradimento mi
sembra di averla appresa dallo stesso Pagano. Sono stati così
estromessi Pagano, Piccinato, Rossi e Vietti; estromessi almeno dal
disegno generale del piano, perché poi qualcuno di loro qualcosa
l'ha fatta». Dunque, come si diceva, fu storia di tradimenti,
e anche Pagano tradì in un certo senso, forse perché
credette o sperò di portare Piacentini (il deus ex machina di
tutto quanto, secondo Belgiojoso) dalla propria parte, quella di
Casabella, quella di Persico, Terragni, o dei giovani Figini,
Pollini, Albini, Gardella.
Quindi E 42 come
grande rete, in cui caddero o rimasero impigliati committenti e
artisti, innovatori e accademici, fascisti eterni e antifascisti
inconsapevoli, onesti e imbroglioni.
Nessuno meglio di
Giuseppe Persico seppe fotografare il momento storico e la sua
verità. Scrisse così nel 1941: «Da una parte la lusinga di una
feluca, dall'altra la mancanza di fantasia di una docile cricca di
funzionari; in alto la più boriosa presunzione a mascherare la
mancanza delle più elementari esperienze di gusto, di fianco le
ambizioni più fameliche e le cortigianerie più sfacciate; in basso,
la paura del latrato di una critica reazionaria».
Quasi certamente questo
l'ambito nel quale crebbe l'esperienza E 42. E il discorso di
Persico non vale solo per gli altri. Lo stesso può essere detto per
i letterati, gli intellettuali, gli scrittori, i poeti, raccolti
attorno alla rivista “Civiltà”, quella di Valentino Bompiani,
Emilio Cecchi, Cipriano Efisio Oppo. La rivista nasce nel 1940
(leggere il saggio di Elisabetta Cristallini nel catalogo Marsilio) e
nasce con il compito di «descrivere a parte a parte l'Esposizione
universale e l'ambiente storico e attuale in cui essa sta sorgendo».
Rivista di lusso, dove gli inserti pubblicitari, per esempio quelli
della Fiat, sono il contributo di artisti quali Sironi, Paulucci. Di
nuovo la «rete», perché, dice Cristallini, con “Civiltà” il
tentativo è quello di «coinvolgere l'intellighentia, il mondo
universitario, cioè quel ceto sociale che certo doveva sentirsi
estraneo se non respinto dall'arte celebrativa, illustrativa e
didattica che avrebbe dovuto decorare gli edifici dell'«E 42».
Neppure l'attuale e forse
eccessiva tendenza al mostrismo può essere anche solo lontanamente
paragonata al delirio di mostre pensate per la cosiddette «Olimpiade
delle civiltà». Sarebbero dovuto essere circa cento,
distribuite lungo dieci sezioni. Il delirio espositivo andava dalla
mostra della razza a quella della cinematografia, dalla zootecnica
all'autarchia, dalla chiesa cattolica alle ferrovie.
E dal delirio espositivo
al delirio degli artisti in corsa per partecipare all'È 42.
Prima gli scultori: Arturo Martini, Fausto Melotti, ma anche poveri
cristi come Francesco Coccia o insulsi accademici come Publio
Morbiducci.
Anche per i pittori ci fu
posto per tutti o ci sarebbe stato se non fosse sopraggiunta la
guerra: il peggiore regionalismo dei Domenico Colao o dei Mario
Varagnolo accanto ai sempreterni Depero, Saetti, Gentilini.
Ma la «rete» raccolse
anche personalità autentiche, cioè Afro Basaldella, Leoncillo,
Sironi, Dino Basaldella, Severini, e altri. E come visse la sua
esperienza in quel tempo un grande artista quale fu Fausto Melotti?
Da un'intervista pubblicata in catalogo: «La nostra scelta era
antinovecentistica dichiarata, non per ragioni di schieramento, ma
perché sentivamo quella pittura estranea nella sua forma alla
drammaticità della situazione e dei problemi dell'epoca»
Se i cataloghi Marsilio
sono quasi la documentazione dell'archivio Eur «esploso», da qui la
loro estrema importanza. Il volume E 42, un progetto per
l'«Ordine Nuovo» di Riccardo Mariani per le Edizioni Comunità
è un libro leggibilissimo che, con un tono distaccato, proprio di
chi non si lascia coinvolgere del tutto, racconta e documenta però
il senso esatto della «drammaticità della situazione.
Dai profili dei
personaggi principali (emergono qui le figure di Vittorio Cini, gran
senatore del fascismo, fondatore del capitalismo veneto, commissario
dell'E 42, e di Marcello Piacentini) alla cronologia degli
avvenimenti, lo studio di Mariani, sempre chiaro e facile alla
lettura, si apre alla storia del piano regolatore generale, ai
concorsi per le opere permanenti, alle infinite curiosità legate a
quell'impresa.
Ma il fascino di questo
lavoro è un fascino «perfido», tutto centrato sulle questioni
degli architetti e degli urbanisti, del diabolico trasformismo e
opportunismo di Piacentini, sul servilismo dei molti, sullo scontro
penoso tra Pagano e Piacentini. Mariani esibisce documenti dolorosi,
come quelli relativi ad alcuni documenti di Pagano e che
«sottolineano drammaticamente l'ingloriosa fine di un'illusione».
L'autore sta dalla parte
dei Terragni, dei Rogers, di tutti coloro che insomma caddero nella
«rete» e che magari ci caddero in malo modo. Non sta, certo, dalla
parte, di Piacentini.
“il manifesto”,
ritaglio senza data, ma maggio 1987
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