E' – da me riadattata in lingua nazionale – la poesia di congedo della prima raccolta
vernacolare di Salvatore di Giacomo, i Sonetti (1884):
Avite maie liggiuto quarche cosa. Non
vale granché, – credo – per concetto e immagini, ma, dato che
invecchiando ho la memoria lunga e la lacrima facile, a me ha
ricordato il fiore appassito che trovai in un libro di Mao e la
Canzone dell'amore perduto
di De André (“...ma come fan presto, amore, ad appassir le
rose!”); e mi ha commosso. (S.L.L.)
Avete letto mai qualcosa che,
volando con la mente, là per là,
v'ha fatto ricordare un fiore secco,
una fronda di rosa, una canzone?
Viviamo di ricordi. A poco a poco
fredda cenere noi diventeremo,
ma sotto quella cenere anche il fuoco
dei tempi belli si nasconderà.
Va, o libro, circondato da angioletti,
sveglia quel fuoco e non lo far
scemare,
un fiore secco, un ciuffo di capelli
a chi ti legge tu fa' ricordare.
a chi ti legge tu fa' ricordare.
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