La risposta alla domanda
è semplicemente no. L’attuale presidente del Consiglio non incarna
una formula politica. La sua avventura (che, a conti fatti, potrebbe
anche risultare breve) è stata costruita sul meccanismo perverso
delle primarie del Pd – una delle trovate di marca plebiscitaria
più inconsistenti, anche per il modo in cui sono organizzate, che la
politica italiana ci abbia regalato. Non esiste nel paese un
autentico retroterra sociale per il blairismo “2.0” che Renzi
vorrebbe rappresentare. La sua opportunità – il modo veloce e
quasi rocambolesco in cui è diventato capo di un governo di “piccole
intese” – è stata offerta dalla impasse del dopo elezioni 2013,
dovuta solo in parte alla legge elettorale, in realtà frutto degli
errori della gestione Bersani che troppo a lungo tenne in piedi un
governo tecnico come quello di Monti, finendo con il perdere consensi
a favore del neoqualunquismo grillino (e dall’obiettivo intralcio
istituzionale esercitato da Napolitano con la vicenda che portò alla
sua incredibile rielezione).
Nella sostanza – la
cosa appare in tutta la sua evidenza dopo la recente tornata
elettorale regionale – Renzi è una figura anfibia. Per una metà,
è la prosecuzione del berlusconismo (mai veramente superato, oggi
soltanto in sordina a causa del suo leader invecchiato), con la
personalizzazione, con il mito dell’uomo solo al comando, con il
tentativo di modificare in senso presidenzialista l’ordinamento
costituzionale, e così via. Per l’altra metà, si tratta della
vecchia tecnica democristiana di costruire reti clientelari. La
Campania, con il caso De Luca, è la regione simbolo di questo modo
tradizionale di fare politica: ci si appoggia sui potentati locali
(vedi il vecchio De Mita), si strizza l’occhio alla criminalità
organizzata quando non si stringono patti con essa, ci si presenta
come “mediatori” sul territorio, secondo l’analisi di Gabriella
Gribaudi, nei confronti del potere centrale.
La doppia natura di Renzi
non consente di parlare di un fenomeno o di un ciclo politico. Il
“renzismo” semplicemente non esiste, il suo leader è una specie
di uomo di fumo. Il completo menefreghismo nei confronti delle sorti
del suo partito, costantemente sull’orlo della scissione, dimostra
questo assunto. Ve lo immaginate un Blair senza il Labour? Un Renzi
senza il Pd è invece perfettamente immaginabile: egli potrebbe
diventare domani il leader pseudocarismatico di un’aggregazione
neocentrista in cui ritrovarsi con gli amici del cosiddetto Nuovo
centrodestra e della cosiddetta area popolare.
La politica italiana, da
più di vent’anni, annaspa alla ricerca del suo salvagente
democristiano. Il fatto che, dall’altro lato, come la tornata
elettorale regionale ha drammaticamente indicato, ci siano soltanto
l’astensionismo e il grillismo, per non parlare della destra
estrema, e contrario è la riprova di ciò.
Il Ponte, luglio 2015
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