5.6.12

Riccardo Lombardi e l'Italia come avrebbe potuto essere (di Aldo Ajello)

Aldo Ajello, un palermitano che ha studiato diritto, che fu parlamentare prima socialista e poi radicale e ora si occupa con passione di diritti umani nel mondo (non sempre individuando le battaglie più urgenti e giuste) ha tracciato un bel ritratto di Riccardo Lombardi e vi ha aggiunto una sconsolata riflessione sulla sua eredità. Lo riprendo dalla rete perché mi pare assai ben scritto e utile a ricostruire la personalità del grande socialista siciliano. (S.L.L.)
Negli ultimi anni (alla scomparsa ne aveva compiuto ottantatre) Lombardi era un po' in disparte dalla politica, e da quella socialista in specie, di cui era stato un animatore indiscusso e per lungo tempo una sorta di leader alternativo, con una spiccata tendenza alle dimissioni. Una figura assai rispettata al vertice del partito nonostante la sua incisiva - e a volte dirompente - attitudine critica, e capace di un singolare proselitismo nei ranghi medi, e soprattutto nelle leve giovanili.
Che Lombardi fosse un personaggio di raro conio risultava chiaro a chiunque seguisse, all'epoca, la politica italiana. Lo era, forse, a suo stesso dispetto. In contraddizione, comunque, con la ritrosia, la serietà, la qualità a volte oracolare delle sue ironie, l'aspetto perfino arcigno con il quale veniva spesso descritto o disegnato.
Un ritrattista come Montanelli ne fece uno dei suoi soggetti o bersagli preferiti, scrivendo ad esempio che «portava a zonzo un volto notturno e temporalesco» e che «dava del lei a se stesso». Alto, magro, occhialuto, con le spalle ossute e quadrate, un po' curvo per i postumi di una bastonatura subita ad opera dei fascisti nel 1930, sempre con un mezzo toscano serrato fra le labbra, egli portò nel Psi - cui aveva aderito dopo lo scioglimento del partito d'Azione - quell'inquietudine che dell'azionismo era un tratto proverbiale. Gli deve molto non soltanto la fraseologia politica (dal termine «contestazione», a lui caro assai prima che si divulgasse in chiave di protesta studentesca, all'insistenza quasi missionaria sulle «riforme di struttura») ma anche, più in generale, un'arte di governo intesa come coerenza propositiva.
Passioni politiche e umori polemici si coglievano subito nella sua voce calma, suadente, impastata di un coriaceo accento siciliano, quando si andava a trovarlo d'estate in una sua villetta affacciata sul lago Paola, a un passo da Sabaudia. Non si fa fatica a ricostruirli oggi, quei suoi pensieri e propositi, scorrendo le oltre mille pagine dei discorsi parlamentari da lui pronunciati fra il 1945 e il 1983, e che vennero pubblicati due anni fa a cura di Mario Baccianini, con una presentazione di Valdo Spini e un'introduzione di Simona Colarizi.
Del centrosinistra - di quello originario, interpretato fra il '62 e il '63 dal governo Fanfani - Lombardi fu il vero padre. La nazionalizzazione dell'industria elettrica fu in gran parte frutto della sua tenacia. Le folate d'impopolarità originate da quel provvedimento non riuscirono a stroncarlo. A lungo, l'aggettivo «lombardiano» designò una sinistra sicura delle proprie credenziali democratiche, avversa ai compromessi, costante nel proporre una programmazione che a tanti conclamati liberali e liberisti appariva in contrasto con l'inveterata pratica dell'arbitrio. Come sappiamo Lombardi vide troppe speranze trasformarsi in angustie. E non a caso, Miriam Mafai, scrivendone quasi trent'anni fa la biografia per l'editore Feltrinelli, avrebbe voluto intitolarla (così confidava al lettore) Riccardo Lombardi o dell'illusione programmatica del centro-sinistra. Del "suo" centro-sinistra, infatti, restò quasi soltanto il nome. Dalla rottura con Pietro Nenni - culminata nella famosa «notte di San Gregorio», giugno 1963, in cui egli, spaccando la corrente autonomista, fece fallire una riedizione, «organica» stavolta, dell'alleanza fra Dc e Psi - alla morte, il suo isolamento non fece che crescere. In luogo dell'alternativa di sinistra, da lui auspicata, trionfò il compromesso storico con quel partito cattolico di cui sempre più diffidava. Finché nell'era di Craxi, il dirsi «lombardiani» nel Psi assunse l'aerea rispettabilità d'un «flatus vocis»; e non parliamo di certi antichi esponenti di punta della corrente lombardiana che oggi fanno politica di vertice su sponde che nessuno, allora, poteva prevedere.
E' dunque meglio pensare che il socialista di Regalbuto non abbia avuto eredi, e che la sua resti una testimonianza inimitabile e a senso unico: l'Italia come forse avrebbe potuto essere.

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