1939 - Campeggio della Hitlerjugend |
Un libro, un film e un
cartone animato. Il libro è Education for Daath. The Making of
the Nazi, (Educazione alla morte. Come si crea un nazista,
Città aperta, 2006) scritto
tra il 1939 e il 1940 da Gregor Ziemer, direttore della scuola
americana di Berlino, e pubblicato per, la prima volta nel 1941. Da
noi giunse nel 1944, con una traduzione approssimativa curata dalla
Constatile & Co. di Londra. Il film è Hitler's Children del
regista Edward Dmytryk, uscito nel 1943 e mai proiettato sugli
schermi italiani (è stato trasmesso da Raitre la nottue del 27
gennaio 2005, in lingua originale e sottotitoli). Dello stesso anno è
un cartone animato prodotto dalla Walt Disney che mantiene lo stesso
titolo del libro.
Giustamente Bruno Maida,
nella sua introduzione alla nuova edizione italiana, mette l'accento
sul contesto propagandistico dell'intera operazione, ispirata
direttamente dall'Owi, l'Office of War Information, la potente
centrale di propaganda anti-hitleriana. In particolare il film e il
cartoon rispecchiano fedelmente le direttive impartite ai film
di Hollywood. Indulgenti e talvolta ironici nei confronti degli
italiani, sprezzanti con venature razzistiche con i giapponesi,
rispettosi verso i tedeschi, distinguendo tra il popolo e il gruppo
di criminali nazisti che lo guidava. Erano tre diverse tipologie del
nemico a cui corrispondevano tre diverse tipologie di film (i
giapponesi rappresentati in Guadalcanal o Iwo Jima
erano «scimmie gialle»). Alla fine della guerra, quando l'orrore
dei lager si rivelò nelle sue dimensioni catastrofiche, anche
l'Owi cambiò strategia e cominciò a parlare di responsabilità di
tutto il popolo tedesco.
Film a parte, il libro
merita di essere segnalato anche perché si confronta con alcuni dei
«nodi» storiografici emersi anche nel recente discorso di Benedetto
XVI ad Auschwitz. Nella sua inchiesta - durata due anni - all'interno
del sistema educativo nazista, Ziemer entrò in contatto con un
regime che fu capace di sussumere l'intero corpo sociale nelle sue
strutture istituzionali anche grazie al particolare tipo di
istruzione impartito nelle scuole. Non vi si formavano cittadini, ma
individui «pronti a morire per Hitler»; «Compito della scienza
dell'educazione è quello di inserire l'individuo nella comunità
etnica; comunità che ha nello Stato nazionale lo strumento per
esprimere la propria potenza».
Fu un orientamento
pedagogico che provocò una torsione drastica in tutte le materie di
insegnamento, la storia come la biologia, la geografia come la
lingua. In Europa la scuola si era affermata come palestra di
educazione alla cittadinanza, intesa come una comunità che condivide
diritti e doveri legalmente riconosciuti; l'educazione hitleriana era
ispirata a una nozione biologica di cittadinanza, su una idea di
comunità fondata sulla razza, sul sangue, sulla terra.
E' questo un aspetto che
emerge anche nell'altro «nodo» affrontato da Benedetto XVI con la
sua insistenza nel disegnare un contesto religioso, cristiano, in cui
inserire la persecuzione e lo sterminio degli ebrei. Nel suo
viaggio-inchiesta nella scuola tedesca Ziemer intercettò gli esordi
del programma di eutanasia avviato tra il 1938 e il 1939 e che portò
alla soppressione di circa 70 mila individui ritenuti infetti per la
sanità della stirpe, ammalati incurabili, disabili, alienati
mentali. Il pedagogista americano ne vide personalmente gli effetti
terrificanti sui bambini in età scolare: prima segregati dai loro
coetanei, poi rinchiusi in istituti che erano campi di sterminio in
miniatura, ove troneggiava la terrificante Hitler kammer, la
lugubre stanza bianca dove i bambini venivano condotti per essere
messi a morte. Fu una pratica di sterminio delle «vite indegne di
essere vissute» che avrebbe poi avuto il suo esito più catastrofico
nel genocidio degli ebrei, visti - in questo senso - non come
anomalie religiose da estirpare, ma come patologie da eliminare: «Il
Partito - scrive Ziemer riferendo di un suo colloquio con un gerarca
tedesco - non si interessava degli individui ma della razza. Egli mi
rammentò che gli individui devono essere pronti a sacrificarsi per
la razza... La razza non doveva esitare a liberarsi di individui
malaticci e anormali. Mi assicurò che la fine di quei disgraziati
che non potevano contribuire alla razza era una morte invidiabile,
senza dolore, quasi bella». Infermieri e dottori impararono così a
uccidere, legalmente, «per la razza». Dal 1942 in poi si
trasferirono ad Auschwitz.
“La Stampa –
Tuttolibri”, 10 giugno 2006
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