La recensione di Aldo Natoli qui
“postata” sinteticamente racconta, a partire da un bel libro sulla materia, il
difficile cammino di emancipazione della popolazione di Roma dalla dipendenza
dai privati per l’approvvigionamento dell’acqua, percorso che inizia l’11
settembre del 1870 con l’inaugurazione dell’ultima delle fontane papali e che
si conclude più di un secolo dopo, negli anni Ottanta del XX° secolo, con la
realizzazione pubblico di un’efficiente e moderno sistema di acquedotti per la
capitale d’Italia.
Non so quale sia oggi a Roma lo
stato dell’arte in merito alla gestione del “bene comune” dell’acqua. E’ certo
che tentativi di vanificare i risultati di un referendum popolare stravinto ce
ne sono dappertutto. Gli atti non son belli. (S.L.L.)
Le fontane di Roma sono state
ripetutamente celebrate in prosa, versi e musica, come tutti sanno. Meno nota,
almeno al grande pubblico, è la storia materiale del lavoro umano che risalì
fino alle sorgenti di quelle acque e costruì le opere - pazienti e monumentali
- per portarle alla città: gli acquedotti, appunto. E se di questi rimangono le
arcate dirute, aeree e musicali, a stimolare suggestioni e fantasie sul
passato, anche di quella storia ci è stato conservato il filo in opere
classiche, da Vitruvio a Frontino (nei due secoli a cavallo della nascita di
Cristo), fino al Fea, al Nibby, al Lanciani, nel secolo scorso. In un'epoca
come la nostra, quando la tecnica moderna ha occultato in vene sotterranee lo
scorrere delle linfe vitali per la polis e ha abolito "gli archi degli avi
nostri", tanto più interessante è la comparsa di un' opera come questa
(Giorgio Coppa, Luigi Pediconi, Girolamo Bardi, Acque e acquedotti a Roma, 1870-1984, Edizioni Quasar), che
ricostruisce la vicenda, ormai anch' essa più che secolare, della costruzione
degli acquedotti della Roma moderna, dal suo assurgere a capitale dello Stato
unitario fino ai nostri giorni: un'opera che per la elevata qualità del corredo
documentario e iconografico, ben degnamente si inserisce nella tradizione,
rivestendo la materia amministrativa e tecnica dei panni curiali della storia.
Si può, del resto, rilevare che
le vicende economiche, sociali e politiche connesse all'attività della Società
dell'Acqua Pia Antica Marcia, qui annotate con il rigore di documenti di
archivio, ben avrebbero potuto figurare come scene della vita pubblica nella Commedia balzacchiana. Creatura
prediletta del Papa, essa nacque alla vigilia della caduta del potere temporale
pontificio e celebrò i suoi primi fasti con l'inaugurazione, sulla spianata di
Termini, della fontana da cui sgorgava l'acqua (Marcia) ricondotta a Roma,
pochi giorni prima del fatale 20 settembre. A quella cerimonia era presente il
conte Ponza di S. Martino, che aveva recato a Pio IX la lettera di Vittorio
Emanuele II che annunziava l'imminente assalto di Porta Pia. E quella presenza
potrebbe simboleggiare il successivo intreccio delle sorti della Pia società
con quelle di Roma capitale: monopolio dell'approvvigionamento idrico, esosità
tariffaria, inadempienze e spreco, nell'alleanza fra rendite curtensi e
profitti della nuova borghesia nazionale.
Il tema dell'affrancamento della
vita della città e dei suoi abitanti da quel giogo è uno dei motivi dominanti
del volume, così come, congiuntamente, lo sono la progettazione e la
costruzione delle nuove infrastrutture che culmineranno, nei decenni fra il
1950 e il 1980, nell'ultimazione del sistema di acquedotti Peschiera-Capore,
uno dei più grandi del mondo. Nel frattempo un centro urbano di 220.000
abitanti si era trasformato in una metropoli di 3 milioni. Converrà ricordare
che il primo tentativo di dotare Roma di un sistema di approvvigionamento
idrico che fosse autonomo rispetto alla speculazione privata, fu attuato dalla
amministrazione Nathan con un primo studio (1908) e con la domanda di
concessione delle sorgenti del Peschiera. Ma ci vorranno oltre 70 anni per
realizzarlo: il decreto di concessione fu emanato solo nel 1927; fra il 1937 e
il 1938 fu deciso (sulla carta) il trasferimento del servizio idraulico all'Azienda
del governatorato di allora e la sua "priorità" sulla distribuzione
privata.
Nel 1949 entrò in servizio, con
una portata ridotta, il primo tronco del Peschiera. Ma solo dopo il 1964, dopo
una memorabile discussione in Campidoglio, il Comune poté prendere possesso di
tutte le acque fluenti in Roma con i relativi impianti e quindi impostare le
opere grandiose concluse nel 1980, "un'opera destinata a restare nel
tempo, come quelle della Roma antica", costruita "con la convinzione
che l'acquedotto è un'opera che non deve morire mai" e con l'entusiasmo
(oltre che con la fatica e l' ingegno) di chi crede ancora che il lavoro dell'uomo
abbia una sua virtù creativa.
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