Dallo speciale di “Repubblica”
per i 50 anni dell’ascesa al governo di Adolf Hitler un testo che problematizza
l’appoggio della finanza, degli industriali, della burocrazia e dell’esercito
all’Imbianchino. Un passaggio importante dell’articolo, quello su cui vale
riflettere oggi, ricorda come la democrazia weimariana fosse esaurita e il
parlamento esautorato già prima che Hitler fosse chiamato al governo dal
presidente della Repubblica. (S.L.L.)
È proprio necessario che Hitler
diventi cancelliere per chiudere l’esperimento della Repubblica weimariana? La
democrazia è scardinata da tre anni di governi presidenziali, le sinistre
democratiche sono paralizzate, l'opposizione comunista è isolata e costretta
all'azione di piazza. Molti dei conservatori, che gestiscono i resti della
repubblica attorno al Capo dello Stato, ritengono rischioso affidare il posto
di cancelliere ad un agitatore di piazza come Hitler. Ma gli industriali più
spregiudicati, i tecnici finanziari più quotati, disposti ad attuare nuove
tecniche di ripresa economica, raccomandano di imbarcare al governo il capo del
movimento nazionalsocialista. Tra i grandi tecnici spicca il brillante ex
governatore della Banca nazionale, Schacht. L'economia — dice — non si salverà
con misure d'autorità calate dall'alto, ma con il consenso popolare comunque
conquistato e manipolato. Da qui 1'azzardo, l'intrigo, la festa di quel 30
gennaio 1933, passato alla storia come il giorno della ascesa di Hitler al
potere.
Non è un colpo di Stato, ma una
nomina presidenziale secondo una prassi costituzionale legittimata dalla
paralisi del Parlamento. Le fiaccolate, i rulli di tamburo, i cortei notturni
sono il segnale di qualcosa di imprevedibile. Nessuno sa esattamente che cosa
succederà. Certo: Hitler da anni va dicendo le cose più incredibili. Ma non si
sa se prenderlo sul serio. Quelli che contano — la grande industria, 1' alta
burocrazia, l'esercito — non lo prendono molto sul serio, anche se lo
appoggiano.
Loro hanno già fatto il lavoro
maggiore: hanno paralizzato la democrazia. In maniera persino elegante, senza
mandare a casa i parlamentari con un volgare golpe. Semplicemente lasciano il
Parlamento in preda alle sue divisioni e governano con un gabinetto
presidenziale. Ma ora non ce la fanno più da soli. Hanno bisogno di un minimo
di consenso sociale.
Brillante idea
Finora hanno ignorato le
opposizioni sociali, dentro e fuori il Parlamento. La protesta operaia
organizzata dal partito socialdemocratico si muove con una stupefacente
disciplina. Ma la protesta degli operai comunisti, che aggrega sempre più
milioni di disoccupati, non nasconde propositi sovversivi. E' una protesta
rivoluzionaria contro il sistema, anche se all'atto pratico si svolge secondo
la migliore tradizione tedesca: grandi masse e grandi slogan. Ma stavolta per
le strade e sulle piazze c'è un altro movimento di protesta che vuol essere
tutto: nazionale, socialista, movimento dei lavoratori, dei colletti bianchi,
dei disoccupati, contro il sistema, dentro il sistema. Solo un uomo sembra
capace di tenerlo a bada: Adolf Hitler.
Da qui la brillante idea di
servirsi di lui. Diventerà cancelliere, ma strettamente controllato da solidi
ministri competenti e fidati conservatori. Di fatto, il primo governo Hitler
vede i ministeri-chiave (finanza, economia, lavoro, agricoltura, esteri) in
mano a uomini della vecchia e nuova destra.
Sono convinti di addomesticare i
nazisti, anzi di utilizzarli per una grande restaurazione del buon vecchio
regime. In realtà non hanno capito nulla del nazionalsocialismo e della
strategia del suo capo. Non hanno capito che la sua risorsa principale —
l'agitazione, la mobilitazione, la protesta sociale generalizzata — non è in
vendita al migliore offerente. Hitler, accettando il cancellierato, ha un solo
obiettivo: fare del movimento nazionalsocialista il protagonista unico della
vita politica. Per questo nella trattativa si ostina su un dettaglio che innervosisce
la controparte conservatrice: vuole le elezioni anticipate.
Da vecchio presidente della
Repubblica Hindenburg non ne vede la necessità. Nel 1932 ci sono già state due
consultazioni straordinarie. Il Parlamento è già fuorigioco, dal momento che destra
e sinistra si paralizzano reciprocamente. Perché non lasciare le cose come
stanno, congelando sine die la
democrazia weimariana? Con le nuove elezioni c'è il pericolo di esasperare
ulteriormente gli estremismi. Ma è esattamente quello che vuole Hitler. E alla
fine la spunta. Sa che la sua carta decisiva non è l'appoggio dell'industria,
la benevolenza della magistratura, la tolleranza dell'esercito. Il sostegno di
«quei signori» è tiepido e dipende più che mai da una vittoria sul campo
elettorale. E' questa l'ossessione di Hitler. Vuole lo scontro politico,
verbale, di immagine, che solo può dare una colossale campagna elettorale vista
e vissuta come spettacolo, esibizione, magia collettiva. Surrogato di quella
«Erlebnis» che eccita i sogni della gioventù studentesca e di una intera
generazione frustrata dal parlamentarismo. Ridare alla politica il senso di una
lotta vitale. Farne un'emozione esaltante, un riconoscimento di comunità di
razza e sangue. Contro il burocratismo, contro il mercato politico parlamentare,
contro un sistema senza ideali, senza miti, senza utopie. C'è da stupirsi che
un tale appello abbia sedotto non soltanto giovani sprovveduti o romantici
letterati ma i Martin Heidegger, i Carl Schmitt, gli Ernst Junger?
Ma torniamo alla politica
pratica. Il grande capitale foraggia il movimento nazionalsocialista, sia pure
con la puzza sotto il naso. La puzza sale dall'anticapitalismo di taluni ideologi
del partito e dalle intemperanze verbali delle proletarizzate SA (le truppe
d'assalto politiche). Ma su tutto domina l'ideologia del lavoro, del lavoro
tedesco e quindi il mito del «milite del lavoro», mobilitato per la rinascita
nazionale dominata dalla fratellanza del sangue e della razza. E' proprio
quello che ci vuole per sostenere una ripresa economica basata sulla
compressione assoluta dei salari. D'altra parte, senza questa ideologia del
lavoro tedesco, la strategia hitleriana del 1933 sarebbe monca. Essa mira
subdolamente alla mentalità, alla moralità del movimento operaio tedesco.
Solo una classe operaia mortalmente
scoraggiata potrebbe cadere in questa trappola. Di fatto il nucleo operaio
educato resiste. Ma è una resistenza passiva. Non c'è più la carica per una
reazione positiva, per rispondere alla grande crisi con un progetto di grande
respiro politico e morale. La divisione profonda tra socialisti e comunisti è
il fattore più evidente di questa impotenza. Per i comunisti Hitler è
un'effimera marionetta del grande capitale, il suo governo è il prologo alla
catastrofe rivoluzionaria; oggi come ieri il vero nemico è il sistema borghese
e i suoi difensori, compresi i socialdemocratici insultati come
«socialfascisti». Per i comunisti la democrazia — per sé sola — non merita di
essere difesa.
Completamente diversa è la linea
della socialdemocrazia, attestata su una rigorosa difesa delle restanti istituzioni
repubblicane. E' difficile dire se è più tragico l'estremismo comunista, cui
non corrisponde alcuna realistica prospettiva rivoluzionaria, o il lealismo
socialista verso un sistema che agli occhi dei proletari è associato alle loro
stesse disgrazie. Un fronte operaio così diviso è facile preda dell' attacco
nazista.
Battaglia ideologica, con i mezzi
più moderni delle comunicazioni di massa, e battaglia fisica. Con la promozione
delle SA a forze ausiliarie di polizia, i pestaggi, gli scontri, gli agguati
aumentano sotto un ambiguo manto di legalità. E' in pieno svolgimento la
tattica che combina l'azione legale con quella extralegale per raggiungere lo
scopo. Quale scopo? Certamente colpire, isolare, imbavagliare i rossi. Ma
soprattutto suggestionare, attrarre, convincere i ceti medi ancora titubanti.
Mostrare agli scontenti di tutti i ceti sociali da che parte stanno i più
forti. Mostrare con i fatti che le grandi organizzazioni democratiche sindacali
sono pachidermi burocratizzati, impotenti a difendere i lavoratori, soprattutto
i giovani.
Gioco d'azzardo
Con il governo Hitler si istaura
una nuova «divisione del lavoro» tra la politica, gestita direttamente dai
nazisti, e l’economia, lasciata ai «borghesi», ai «tecnici». Faticosamente
inizia la ripresa economica, con il riassorbimento di quote di disoccupati; una
ripresa determinata essenzialmente dall'industria degli armamenti, anche se il
grande pubblico si incanta al progetto delle autostrade e di tante altre opere
civili. Garantito il quadro politico, si possono ora applicare impunemente
tutte quelle misure di credito e di spesa statale prima condannate come
inflazionistiche. Si attuano pratiche di bilancio sino a ieri giudicate
dannose. Il contenimento assoluto e relativo dei consumi, il riarmo come ideale
«deficit spending» statale, sono la base della nuova intesa tra politica ed
economia. E’ fuorviarne, a questo proposito, parlare di keynesismo o fare
analogie con il New Deal rooseveltiano; la congiuntura di Stato hitleriana
mostra certamente qualche analogia tecnica con questi fenomeni, ma i suoi presupposti
e i suoi fini coercitivi le danno un significato politico radicalmente diverso.
Per il resto, il gioco d'azzardo
tra Hitler e i suoi protettori della finanza, dell'industria, dell'esercito,
della burocrazia, è appena agli inizi. Le mosse e contromosse dureranno sino alla
catastrofe. L'ultima mossa sarà il fallito attentato del 20 luglio 1944. Seguirà
la feroce vendetta del piccolo-borghese proletaroide allucinato Hitler contro
alcuni di «quei signori»: i signori che gli sopravviveranno.
“La Repubblica”, gennaio 1983
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