14.2.14

Il caporale Hitler e “quei signori” dei poteri forti (Gian Enrico Rusconi)

Dallo speciale di “Repubblica” per i 50 anni dell’ascesa al governo di Adolf Hitler un testo che problematizza l’appoggio della finanza, degli industriali, della burocrazia e dell’esercito all’Imbianchino. Un passaggio importante dell’articolo, quello su cui vale riflettere oggi, ricorda come la democrazia weimariana fosse esaurita e il parlamento esautorato già prima che Hitler fosse chiamato al governo dal presidente della Repubblica. (S.L.L.) 
È proprio necessario che Hitler diventi cancelliere per chiudere l’esperimento della Repubblica weimariana? La democrazia è scardinata da tre anni di governi presidenziali, le sinistre democratiche sono paralizzate, l'opposizione comunista è isolata e costretta all'azione di piazza. Molti dei conservatori, che gestiscono i resti della repubblica attorno al Capo dello Stato, ritengono rischioso affidare il posto di cancelliere ad un agitatore di piazza come Hitler. Ma gli industriali più spregiudicati, i tecnici finanziari più quotati, disposti ad attuare nuove tecniche di ripresa economica, raccomandano di imbarcare al governo il capo del movimento nazionalsocialista. Tra i grandi tecnici spicca il brillante ex governatore della Banca nazionale, Schacht. L'economia — dice — non si salverà con misure d'autorità calate dall'alto, ma con il consenso popolare comunque conquistato e manipolato. Da qui 1'azzardo, l'intrigo, la festa di quel 30 gennaio 1933, passato alla storia come il giorno della ascesa di Hitler al potere.
Non è un colpo di Stato, ma una nomina presidenziale secondo una prassi costituzionale legittimata dalla paralisi del Parlamento. Le fiaccolate, i rulli di tamburo, i cortei notturni sono il segnale di qualcosa di imprevedibile. Nessuno sa esattamente che cosa succederà. Certo: Hitler da anni va dicendo le cose più incredibili. Ma non si sa se prenderlo sul serio. Quelli che contano — la grande industria, 1' alta burocrazia, l'esercito — non lo prendono molto sul serio, anche se lo appoggiano.
Loro hanno già fatto il lavoro maggiore: hanno paralizzato la democrazia. In maniera persino elegante, senza mandare a casa i parlamentari con un volgare golpe. Semplicemente lasciano il Parlamento in preda alle sue divisioni e governano con un gabinetto presidenziale. Ma ora non ce la fanno più da soli. Hanno bisogno di un minimo di consenso sociale.

Brillante idea
Finora hanno ignorato le opposizioni sociali, dentro e fuori il Parlamento. La protesta operaia organizzata dal partito socialdemocratico si muove con una stupefacente disciplina. Ma la protesta degli operai comunisti, che aggrega sempre più milioni di disoccupati, non nasconde propositi sovversivi. E' una protesta rivoluzionaria contro il sistema, anche se all'atto pratico si svolge secondo la migliore tradizione tedesca: grandi masse e grandi slogan. Ma stavolta per le strade e sulle piazze c'è un altro movimento di protesta che vuol essere tutto: nazionale, socialista, movimento dei lavoratori, dei colletti bianchi, dei disoccupati, contro il sistema, dentro il sistema. Solo un uomo sembra capace di tenerlo a bada: Adolf Hitler.
Da qui la brillante idea di servirsi di lui. Diventerà cancelliere, ma strettamente controllato da solidi ministri competenti e fidati conservatori. Di fatto, il primo governo Hitler vede i ministeri-chiave (finanza, economia, lavoro, agricoltura, esteri) in mano a uomini della vecchia e nuova destra.
Sono convinti di addomesticare i nazisti, anzi di utilizzarli per una grande restaurazione del buon vecchio regime. In realtà non hanno capito nulla del nazionalsocialismo e della strategia del suo capo. Non hanno capito che la sua risorsa principale — l'agitazione, la mobilitazione, la protesta sociale generalizzata — non è in vendita al migliore offerente. Hitler, accettando il cancellierato, ha un solo obiettivo: fare del movimento nazionalsocialista il protagonista unico della vita politica. Per questo nella trattativa si ostina su un dettaglio che innervosisce la controparte conservatrice: vuole le elezioni anticipate.
Da vecchio presidente della Repubblica Hindenburg non ne vede la necessità. Nel 1932 ci sono già state due consultazioni straordinarie. Il Parlamento è già fuorigioco, dal momento che destra e sinistra si paralizzano reciprocamente. Perché non lasciare le cose come stanno, congelando sine die la democrazia weimariana? Con le nuove elezioni c'è il pericolo di esasperare ulteriormente gli estremismi. Ma è esattamente quello che vuole Hitler. E alla fine la spunta. Sa che la sua carta decisiva non è l'appoggio dell'industria, la benevolenza della magistratura, la tolleranza dell'esercito. Il sostegno di «quei signori» è tiepido e dipende più che mai da una vittoria sul campo elettorale. E' questa l'ossessione di Hitler. Vuole lo scontro politico, verbale, di immagine, che solo può dare una colossale campagna elettorale vista e vissuta come spettacolo, esibizione, magia collettiva. Surrogato di quella «Erlebnis» che eccita i sogni della gioventù studentesca e di una intera generazione frustrata dal parlamentarismo. Ridare alla politica il senso di una lotta vitale. Farne un'emozione esaltante, un riconoscimento di comunità di razza e sangue. Contro il burocratismo, contro il mercato politico parlamentare, contro un sistema senza ideali, senza miti, senza utopie. C'è da stupirsi che un tale appello abbia sedotto non soltanto giovani sprovveduti o romantici letterati ma i Martin Heidegger, i Carl Schmitt, gli Ernst Junger?
Ma torniamo alla politica pratica. Il grande capitale foraggia il movimento nazionalsocialista, sia pure con la puzza sotto il naso. La puzza sale dall'anticapitalismo di taluni ideologi del partito e dalle intemperanze verbali delle proletarizzate SA (le truppe d'assalto politiche). Ma su tutto domina l'ideologia del lavoro, del lavoro tedesco e quindi il mito del «milite del lavoro», mobilitato per la rinascita nazionale dominata dalla fratellanza del sangue e della razza. E' proprio quello che ci vuole per sostenere una ripresa economica basata sulla compressione assoluta dei salari. D'altra parte, senza questa ideologia del lavoro tedesco, la strategia hitleriana del 1933 sarebbe monca. Essa mira subdolamente alla mentalità, alla moralità del movimento operaio tedesco.
Solo una classe operaia mortalmente scoraggiata potrebbe cadere in questa trappola. Di fatto il nucleo operaio educato resiste. Ma è una resistenza passiva. Non c'è più la carica per una reazione positiva, per rispondere alla grande crisi con un progetto di grande respiro politico e morale. La divisione profonda tra socialisti e comunisti è il fattore più evidente di questa impotenza. Per i comunisti Hitler è un'effimera marionetta del grande capitale, il suo governo è il prologo alla catastrofe rivoluzionaria; oggi come ieri il vero nemico è il sistema borghese e i suoi difensori, compresi i socialdemocratici insultati come «socialfascisti». Per i comunisti la democrazia — per sé sola — non merita di essere difesa.
Completamente diversa è la linea della socialdemocrazia, attestata su una rigorosa difesa delle restanti istituzioni repubblicane. E' difficile dire se è più tragico l'estremismo comunista, cui non corrisponde alcuna realistica prospettiva rivoluzionaria, o il lealismo socialista verso un sistema che agli occhi dei proletari è associato alle loro stesse disgrazie. Un fronte operaio così diviso è facile preda dell' attacco nazista.
Battaglia ideologica, con i mezzi più moderni delle comunicazioni di massa, e battaglia fisica. Con la promozione delle SA a forze ausiliarie di polizia, i pestaggi, gli scontri, gli agguati aumentano sotto un ambiguo manto di legalità. E' in pieno svolgimento la tattica che combina l'azione legale con quella extralegale per raggiungere lo scopo. Quale scopo? Certamente colpire, isolare, imbavagliare i rossi. Ma soprattutto suggestionare, attrarre, convincere i ceti medi ancora titubanti. Mostrare agli scontenti di tutti i ceti sociali da che parte stanno i più forti. Mostrare con i fatti che le grandi organizzazioni democratiche sindacali sono pachidermi burocratizzati, impotenti a difendere i lavoratori, soprattutto i giovani.

Gioco  d'azzardo
Con il governo Hitler si istaura una nuova «divisione del lavoro» tra la politica, gestita direttamente dai nazisti, e l’economia, lasciata ai «borghesi», ai «tecnici». Faticosamente inizia la ripresa economica, con il riassorbimento di quote di disoccupati; una ripresa determinata essenzialmente dall'industria degli armamenti, anche se il grande pubblico si incanta al progetto delle autostrade e di tante altre opere civili. Garantito il quadro politico, si possono ora applicare impunemente tutte quelle misure di credito e di spesa statale prima condannate come inflazionistiche. Si attuano pratiche di bilancio sino a ieri giudicate dannose. Il contenimento assoluto e relativo dei consumi, il riarmo come ideale «deficit spending» statale, sono la base della nuova intesa tra politica ed economia. E’ fuorviarne, a questo proposito, parlare di keynesismo o fare analogie con il New Deal rooseveltiano; la congiuntura di Stato hitleriana mostra certamente qualche analogia tecnica con questi fenomeni, ma i suoi presupposti e i suoi fini coercitivi le danno un significato politico radicalmente diverso.
Per il resto, il gioco d'azzardo tra Hitler e i suoi protettori della finanza, dell'industria, dell'esercito, della burocrazia, è appena agli inizi. Le mosse e contromosse dureranno sino alla catastrofe. L'ultima mossa sarà il fallito attentato del 20 luglio 1944. Seguirà la feroce vendetta del piccolo-borghese proletaroide allucinato Hitler contro alcuni di «quei signori»: i signori che gli sopravviveranno.

“La Repubblica”, gennaio 1983

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