Più di mezzo secolo fa, il
biologo e divulgatore francese Jean Rostand pubblicava un breve saggio
intitolato Science fausse et fausses
sciences (Gallimard, 1958) che aveva come oggetto “i vari modi in cui la verità
scientifica può essere adulterata dagli ‘stregoni’ di ogni specie, dai fanatici
di tutte le ideologie, e persino, inconsapevolmente, da qualche vero
scienziato”. La “scienza falsa” è, nella terminologia di Rostand, quell’insieme
di fenomeni illusori che alcuni scienziati, autoingannandosi, ritengono
talvolta di osservare (l’esempio originale era quello dei raggi N di Blondlot,
ma oggi possiamo far rientrare in questa categoria anche la memoria dell’acqua
e la fusione fredda); le “false scienze” sono invece le credenze e le
discipline genuinamente pseudoscientifiche, come la genetica di Lysenko o, a un
livello più popolare, la rabdomanzia e le teorie della percezione extrasensoriale.
Rostand vedeva in “un’igiene preventiva del giudizio” il modo più efficace di
combattere le false scienze: “Insegnare ai giovani lo spirito critico,
premunirli contro le menzogne della parola e della stampa, creare un terreno
intellettuale in cui la credulità non possa attecchire, insegnare loro che
cos’è coincidenza, probabilità, ragionamento giustificativo, logica affettiva,
resistenza incosciente al vero, far loro comprendere che cos’è un fatto e che
cos’è una prova”.
Dai tempi in cui Rostand
denunciava gli attacchi preterintenzionali o dolosi alla verità scientifica, la
scienza ha fatto passi da gigante, ma con essa è progredita anche la galassia
della “parascienza”. È questo territorio variegato, fatto di teorie assurde, di
leggende, di presunte scoperte, di risultati truffaldini, che il chimico e
divulgatore Silvano Fuso esplora in un libro (La falsa scienza. Invenzioni folli, frodi e medicine miracolose dalla
metà del settecento a oggi, Carocci, Roma 2013) che ricorda nel titolo il
pamphlet di Rostand, ma si presenta come un repertorio sistematico e ragionato
delle tante forme di “scienza malata”.
Le sei parti in cui è suddiviso
il libro illustrano altrettanti modi in cui la scienza può degenerare, o l’idea
di scienza può essere declinata illegittimamente: abbagli individuali e
collettivi, frodi volontarie, invenzioni folli, scoperte “metafisiche”, teorie
rivoluzionarie, medicine e miracoli. Fuso adotta l’espediente narrativo di fingere
all’inizio di ogni capitolo che la pseudoteoria o la pseudoscoperta di cui si
accinge a parlare siano corrette, e ne descrive, con esiti talvolta molto divertenti,
le conseguenze. Che cosa succederebbe se la fusione fredda fosse un fenomeno
reale, se gli animali telepatici di Rupert Sheldrake esistessero davvero, se il
cronovisore di padre Ernetti potesse essere realizzato, se il raggio della
morte attribuito a Nikola Tesla (uno degli scienziati che più alimentano le fantasie
di mattoidi e ciarlatani) fosse nell’arsenale di qualche superpotenza? Il gioco
è particolarmente illuminante, perché le false scoperte non riguardano mai
questioni di poco conto, ma sono sempre rivoluzionarie. Peccato, però, che di
queste rivoluzioni non si veda in giro alcuna traccia.
E qui entrano in scena altri due
aspetti tipici della pseudoscienza: il mito del “genio incompreso” (il ricercatore
solitario, spesso autodidatta, che nel chiuso della sua stanza scopre la teoria
del tutto, o inventa la macchina del moto perpetuo) e la teoria del complotto
(è, naturalmente, la scienza “ufficiale” a soffocare le straordinarie idee
degli scienziati “eretici”). Molti dei casi trattati da Fuso inducono al
sorriso, e sono preoccupanti solo perché segnalano un totale fraintendimento
delle regole e delle procedure della scienza. Ma ce ne sono altri che destano allarme
per le loro conseguenze etiche e sociali: si tratta, da un lato, dei casi di
frodi scientifiche, sempre più frequenti vista la crescente competitività in certi
settori della ricerca, come le biotecnologie e le nanoscienze; dall’altro, dei
casi di terapie “non convenzionali” (ma sarebbe meglio dire infondate), che alimentano
purtroppo le illusioni di persone in grave stato di difficoltà. Si pensi, a
questo proposito, alla cura anticancro di Luigi Di Bella o, caso troppo recente
per poter essere registrato dal libro di Fuso, al famigerato metodo Stamina
dello psicologo Davide Vannoni: un protocollo oscuro, non sostenuto da alcuna sperimentazione
controllata né da pubblicazioni scientifiche, oggetto di una domanda di
brevetto corredata di figure tratte da ricerche altrui, e tuttavia improvvidamente
magnificato da certi mezzi di comunicazione.
Il libro di Fuso si conclude con
l’invito a un sano scetticismo, inteso non come incredulità aprioristica, ma
come la giusta pretesa di avere prove adeguate prima di accettare
un’asserzione. “Si tratta – osserva l’autore – di un atteggiamento mentale non
solo perfettamente razionale, ma anche doveroso nella scienza e in qualsiasi
altro ambito”.
Da dove, se non da qui, dovrebbe
prendere avvio l’educazione del cittadino nella società della conoscenza?
“L’Indice dei libri del mese”,
gennaio 2014
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