BERLINO — Sulla Budapesterstrasse la Kunst Halle ha
organizzato, nel cinquantenario della presa del potere da parte di Hider e del
nazismo, una esposizione di documenti, fotografie, opere d'arte, dal titolo
«1933. Wege zur Diktatur». Il bellissimo catalogo, arricchito da una serie di
saggi storici che ricostruiscono la marcia del nazismo dalle origini fino al
trionfo, finisce per essere un importante contributo della cultura democratica
tedesca di oggi alla comprensione di quella vicenda.
Un comizio di Liebnecht |
A prima vista colpiscono l'apparente fatalità e
l'eccezionale ferocia di quella marcia verso la conquista del potere. E non
varrà la fiera immagine di Karl Liebknecht che arringa le schiere degli
spartachisti (1919), o quella di Dimitrov, al processo di Lipsia, contrapposto
a Goering nel famoso collage di Heartfield, ad attenuare quella impressione.
Ciò che colpisce è la durezza della repressione già in quegli anni: dominano le
immagini degli interventi polizieschi, armati, a cavallo, quelle degli
arrestati, civili disarmati, operai, schierati con la faccia contro il muro, le
braccia levate sul capo, sotto il tiro delle armi; della polizia che spara
(allora sotto comando socialdemocratico), della folla che fugge, di chi cade o
già giace sul selciato (1 maggio 1929), foto che ne ricordano analoghe di altre
rivoluzioni fallite (ma bisogna risalire al 1905 russo). Finché verrà il
momento in cui la polizia di Berlino sfilerà con bandiere e bracciali con croci
uncinate.
L'altra immagine, anche questa indimenticabile, è quella dei
disoccupati (1930), uomini e donne, la ragazza ferma all'angolo della strada,
accanto alla vetrina del negozio di mode, un grande cartello sul petto: è
stenotipista, ma cerca un lavoro qualsiasi, le è ormai del tutto indifferente
(ganz gleich) di che genere. I suoi occhi non sono più che macchie buie.
Infine i documenti, ahimé numerosi, che dimostrano come fino
all'ultimo, prima della vittoria di Hitler, comunisti e socialdemocratici
chiamavano all'unità contro il comune nemico in forme e con parole che li escludevano
vicendevolmente. E questa non è più fatalità.
Questi sono gli errori che resero possibile l'avvento del
nazismo. L' esposizione documenta questa non-fatalità, senza clemenza per gli
errori delle due parti. Ed è suo grande merito.
D'altro canto, non solo la riproduzione dei documenti, ma
anche alcuni dei saggi che corredano il catalogo, dimostrano senza possibilità
di dubbio (certe verità non bisogna mai stancarsi di ripeterle) l'aiuto
costante e decisivo che Hitler ebbe da parte di militari; della polizia, come
si è detto e, infine, da parte dei signori della grande industria e della
finanza. Ricordo solo la riproduzione degli autografi di lettere del ministro
Schacht, del segretario della Lega degli industriali tedesco-nazionali,
Scheibe, al magnate Hugenberg, in cui sono riprodotti elenchi di milioni di
marchi versati alla cassa del partito nazista.
La famiglia Krupp |
L'esposizione raccoglie numerose opere d'arte significative,
fra cui da ricordare il dipinto di Karl Hofer Disoccupati del 1932, alcuni
quadri di Renzo Vespignani della serie sul fascismo, un profetico ritratto di
Klee (1931), che prefigura il ceffo di Hitler. E accanto a questo, per
contrasto, l'idillica foto di gruppo della famiglia Krupp, quanto di più
gemutlich e anstandig possa offrire il perbenismo tedesco, vecchia maniera,
tutto «calma e ordine», come ripete Goebbels nel suo diario.
Nessun commento:
Posta un commento