La cattura di Giovanna d'Arco |
Chi era davvero Giovanna d’Arco?
Una contadina guerriera, come
racconta il mito, che ruppe l’assedio inglese davanti a Orléans facilitando la
salita al trono di Francia del flebile Carlo di Valois, il quale poi non mosse
un dito per salvarla dal rogo cui la condannò il terribile Cauchon, vescovo
filoinglese di Beauvais?
Oppure, come suggerisce un filone
storiografico, una bastarda di casa reale manovrata dalla corte francese tra i
vari fronti della guerra dei cento anni e sfuggita al rogo grazie a una
controfigura sacrificata al suo posto?
Per scrivere il suo nuovissimo
libro, Il fuoco di Jeanne (Guanda),
Marta Morazzoni si è mossa alla ricerca della pulzella, conscia, già alla
partenza, di non poter trovare una vera verità. Quel «si è mossa» è da prendere
alla lettera, perché, come uno scrupoloso inviato speciale, l’autrice è andata,
più e più volte, sui luoghi «dove si sono svolti i fatti». Che non sono
soltanto Domrémy, dove Giovanna nacque nel 1412, Orléans, la città che liberò
dall’assedio e Rouen, luogo del rogo finale, ma tutte le altre località nelle
quali la ragazza combatté, e cioè Jargeau, Meung sur Loire, Beaugency, Patay e Compiegne.
Cui si aggiungono un’infinità di chiese e musei sparsi in tutta la Francia che
conservano suoi ritratti e cimeli; senza escludere il castello di Jaulny, oggi
trasformato in bed and breakfast, al tempo dimora di Robert d’Armoise, marito
di quella Jeanne d’Arc che, secondo l’altro mito, nacque di sangue reale e si
salvò dal fuoco.
Ma la ricerca comprende diversi
luoghi ancora, tutti quelli, per esempio, che, in qualche modo, stanno in
relazione con Carlo di Valois, lo schivo, tentennante sovrano miracolato dall’ardita
giovane guerriera.
La ricerca, che porta l’autrice
attraverso il cuore della Francia, oscilla tra il diario di viaggio, l’analisi
storica, la riflessione filosofica e, naturalmente, la narrazione letteraria,
poetica, che unifica il tutto e trasforma il libro dall’identità a prima vista
incerta in lettura appassionante sulle tracce del mito. Una intellettualissima
guida alle terre di Giovanna d’Arco si potrebbe, in fondo, definire il libro, e
peccato - vien da pensare - che i grandi scrittori non si dedichino più spesso
a suggerire la strada al viaggiatore.
Assieme al mito, meglio, alle
tracce più o meno marcate che il mito ha lasciato, la lettura de Il fuoco di Jeanne rivela, come del
resto quasi sempre succede, anche l’autore. Molto dell’autore, anzi, dell’autrice,
in questo caso: perché Marta Morazzoni entra nel racconto in prima persona, fa
sentire la sua voce e le sue riflessioni, parla, annota, descrive il viaggio,
permettendo al lettore di partecipare alla sua ricerca. Ricerca che culmina,
simbolicamente significando la sua sostanziale impossibilità, nella visita alla
Bibliothèque Nationale in rue Richelieu a Parigi, dove sono conservati gli atti
e le testimonianze del processo che condannò al rogo la pulzella. Sfogliare il
prezioso volume con gli antichi documenti, solennemente portato in superficie
dal montacarichi, sotto lo sguardo irritato dell’altero bibliotecario, già non
deve essere stato facile; decisamente frustrante - confessa l’autrice - dover
constatare di non riuscire a decifrare nemmeno una parola dell’antica grafia
gotica, facendo comunque finta, per non dare troppa soddisfazione all’altezzoso
custode dei luoghi, di soffermarsi su alcune pagine con particolare interesse.
Se non gli atti del processo, la
scrittrice ha però letto un’infinità di parole riguardanti la santa protettrice
di Francia: su iscrizioni, epigrafi, epitaffi e, naturalmente dentro gli
innumerevoli libri consultati, di storici di tutte le epoche che le hanno
dedicato i loro studi. E quel che inevitabilmente ella è costretta a cogliere
da tutto il materiale esaminato è che non ci può in alcun modo essere un finale
felice della storia; che la vicenda è comunque tristissima, perversa, anche se
la pulzella in realtà fosse stata una principessa di sangue reale, con parenti
importanti che in extremis la salvarono dal rogo.
In tal caso, infatti, un’altra
donna o ragazza, un’altra «strega» fu sacrificata al suo posto, sfortunatissima
controfigura, povera sventurata della quale non rimane neppure la memoria di un
viso, di un nome.
Corriere della Sera, 18 gennaio
2014
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