Quando nel 1422 il giovane
francescano Giacomo della Marca fa la sua prima predica nel convento delle Croci,
fuori San Miniato, sui colli fiorentini, aprendo una carriera apostolica che lo
porterà sulle vie di molta parte di Europa, le folle di ascoltatori erano
ancora immerse nel caos di credenze magiche e stregoniche. Ai livelli
dell'aristocrazia intellettuale, monastica e laica, si maturavano i grandi
ideali dell'Umanesimo, la improvvisa fioritura comunale sembrava aver sepolto
le strutture feudali e aperto gli uomini alla concezione pragmatica della
politica e dei traffici, e tuttavia persisteva, al di là dei modelli celebrati
dalla storia illustre, un'altra Europa, che ci è rivelata dai documenti minori,
proprio i testi delle prediche, le decisioni dei sinodi provinciali, i pochi
tratti di origine popolare insinuatisi
nelle trattazioni dotte.
Il frate, nella sua lunga predicazione itinerante, incontrerà i personaggi di questo mondo sotterraneo e dimenticato: per esempio una donna che portava nascostamente addosso, per i suoi incantesimi, carboni e ossa di teschi mescolati con l'ostia eucaristica; o una vecchia di Arquata del Tronto che andava in giro reggendo un aspo sul quale aveva avvolto, come in un trofeo, gli intestini dei suoi nemici; o ancora un'altra donna dello stesso paese che strappava le visceri agli uccisi e le divorava. Dalle relazioni sulla vita del santo redatte dal suo fedele biografo, il frate Venanzio da Fabriano, vengono fuori le immagini del tempo: in un uso di Visso, nelle Marche, si facevano celebrare, a scopo stregonico, nove messe su un altare coperto di escrementi di gallina, di cane e di rospo, mentre, nella strana turba di astrologi, indovini, oniromantici, cartomanti, incantatori e fattucchiere, non mancavano le maliarde che pretendevano di «andare in corso (cioè in volo) de nocte et bevere il sangue dei mammoli et simili pazzie».
Il frate, nella sua lunga predicazione itinerante, incontrerà i personaggi di questo mondo sotterraneo e dimenticato: per esempio una donna che portava nascostamente addosso, per i suoi incantesimi, carboni e ossa di teschi mescolati con l'ostia eucaristica; o una vecchia di Arquata del Tronto che andava in giro reggendo un aspo sul quale aveva avvolto, come in un trofeo, gli intestini dei suoi nemici; o ancora un'altra donna dello stesso paese che strappava le visceri agli uccisi e le divorava. Dalle relazioni sulla vita del santo redatte dal suo fedele biografo, il frate Venanzio da Fabriano, vengono fuori le immagini del tempo: in un uso di Visso, nelle Marche, si facevano celebrare, a scopo stregonico, nove messe su un altare coperto di escrementi di gallina, di cane e di rospo, mentre, nella strana turba di astrologi, indovini, oniromantici, cartomanti, incantatori e fattucchiere, non mancavano le maliarde che pretendevano di «andare in corso (cioè in volo) de nocte et bevere il sangue dei mammoli et simili pazzie».
Giacomo nasce a Monteprandone, presso
Ascoli, nel 1393, forse nel 1394, da una
famiglia povera di contadini. Da fanciullo è costretto
a fare il pastore di pecore, ma anche il mandriano di porci, un mestiere tanto
emarginato che ai mandriani non veniva concesso l'ingresso in chiesa. Ma il fanciullino,
costretto ad una vita brutale, in una famiglia abituata alla violenza contadina
(il fratello maggiore, punito divinamente con la morte, prende a feroci sassate
la madre), fugge da casa dopo essere stato terrorizzato più volte da un lupo
rabbioso che assalta lui e il gregge. Si ricovera nella casa di un parente
prete a Offida, a una ventina di chilometri da Monteprandone, e dal prete
apprende i rudimenti della scrittura e della lettura, passando poi ad Ascoli dove
nel 1404, a dieci anni, è già buon grammatico. Inizia così un iter scolastico,
cadenzato secondo l'ordine medioevale del trivio e del quadrivio, che avrebbe
dovuto portarlo alle scienze del diritto.
Studia a Perugia facendo da precettore in casa di un gentiluomo, che lo porta poi con sé a Firenze, dove probabilmente ricopre un ufficio pubblico notarile. Ha ormai i suoi vent'anni e, trovandosi a Bibbiena, presso i Francescani e in prossimità della Verna, sul quale San Francesco aveva avuto le stimmate, decide di abbandonare il mondo.
La certosa fiorentina non lo accetta, ma il giovane, già fervente nella pratica religiosa, tornando nelle Marche, si ferma a Santa Maria degli Angeli, nella valle di Assisi, ed è accettato nell'ordine dei Minori, per celebrare dopo il noviziato la prima messa a vent'otto anni, nel 1422.
Studia a Perugia facendo da precettore in casa di un gentiluomo, che lo porta poi con sé a Firenze, dove probabilmente ricopre un ufficio pubblico notarile. Ha ormai i suoi vent'anni e, trovandosi a Bibbiena, presso i Francescani e in prossimità della Verna, sul quale San Francesco aveva avuto le stimmate, decide di abbandonare il mondo.
La certosa fiorentina non lo accetta, ma il giovane, già fervente nella pratica religiosa, tornando nelle Marche, si ferma a Santa Maria degli Angeli, nella valle di Assisi, ed è accettato nell'ordine dei Minori, per celebrare dopo il noviziato la prima messa a vent'otto anni, nel 1422.
La sua è una scelta di pratica
rigorosa ed ascetica in quella via dell'osservanza che, nella diversità delle
correnti francescane, volle rappresentare un ritorno alla severità della prima
regola, più volte addolcita ed addomesticata. Immerso nella via ascetica, piegato
alla durezza di digiuni aspri e alla rinunzia ad ogni comodità, afflitto negli
ultimi decenni da molti mali fisici, da una tisi divorante, dalla podagra, da
difetti circolari, Giacomo divenne, anzitutto, un predicatore focoso e tenace, che
si caratterizzava, nelle memorie del suo biografo, per voce risonante, acuto
ingegno e straordinaria memoria.
Si scontrerà con i molteplici mali del secolo in una posizione talvolta violenta e intrasigente contro coloro che alla sua mentalità apparivano i peccatori e gli eretici. Sono i tempi di una chiesa, intimamente corrotta e mondana, che si scatena in una persecuzioni insensata e contrastante con ogni principio evangelico contro quanti non accettano i modelli della sua teologia e del suo potere secolare. Giacomo aggredisce subito i cosiddetti Fraticelli, i gruppi di frati francescani mendicanti che si opponevano alla corruzione del clero, proclamando il puro evangelo e pretendendo di essere i soli autentici seguaci di Francesco di Assisi. Giacomo predica contro di loro nelle Marche, dove essi si erano eletti, nel sogno apocalittico di una riforma del mondo, un imperatore, un papa, una papessa. Contro questi poveretti, che gli appaiono «aggravati di peccati con le donnastre», «scellerati fornicatori di sodomiti», in apparenza di spiriti celestiali, lancia i suoi strali e scrive un trattatello teologico.
Si scontrerà con i molteplici mali del secolo in una posizione talvolta violenta e intrasigente contro coloro che alla sua mentalità apparivano i peccatori e gli eretici. Sono i tempi di una chiesa, intimamente corrotta e mondana, che si scatena in una persecuzioni insensata e contrastante con ogni principio evangelico contro quanti non accettano i modelli della sua teologia e del suo potere secolare. Giacomo aggredisce subito i cosiddetti Fraticelli, i gruppi di frati francescani mendicanti che si opponevano alla corruzione del clero, proclamando il puro evangelo e pretendendo di essere i soli autentici seguaci di Francesco di Assisi. Giacomo predica contro di loro nelle Marche, dove essi si erano eletti, nel sogno apocalittico di una riforma del mondo, un imperatore, un papa, una papessa. Contro questi poveretti, che gli appaiono «aggravati di peccati con le donnastre», «scellerati fornicatori di sodomiti», in apparenza di spiriti celestiali, lancia i suoi strali e scrive un trattatello teologico.
Poi, partecipe in pieno della
mentalità della sua epoca, Giacomo diviene uno dei più feroci polemisti contro
le comunità di Ebrei tollerate nei comuni cristiani. Riesce, per esempio, a
ottenere, nonostante le opposizioni di personaggi dotati di maggiore carità, l'inserzione
dell'obbligo di portare un disco rosso per gli Ebrei negli statuti del comune
di Recanati nel 1427. A Brescia nel 1462 è al centro di una delle solite accuse
di infanticidio ebraico e risuscita un fanciullo cristiano che era stato
infornato vivo da un bambino ebreo. Partecipa, poi, a quella lunga lotta
francescana per la istituzione dei Monti di Pietà che si sarebbero dovuti sostituire
ai prestatori ebrei, e mai vi riuscirono concretamente.
A distanza di secoli il frate francescano, Piccaluga, che ne ha scritto la biografia ufficiale per il quinto centenario della morte, osserva, come se vivesse fuori dal tempo, che del resto l'odio antiebraico di Giacomo è ben spiegabile, perché gli Ebrei organizzano tuttora una congiura universale anticristiana, come «è documentato nei Protocolli dei Savi Anziani di Sion» (sic, nel 1973!).
A distanza di secoli il frate francescano, Piccaluga, che ne ha scritto la biografia ufficiale per il quinto centenario della morte, osserva, come se vivesse fuori dal tempo, che del resto l'odio antiebraico di Giacomo è ben spiegabile, perché gli Ebrei organizzano tuttora una congiura universale anticristiana, come «è documentato nei Protocolli dei Savi Anziani di Sion» (sic, nel 1973!).
“il manifesto”, 3 dicembre 1989
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