Recensione a Gianfranco Ragona, Anarchismo, le idee e il movimento, Laterza, 2013
La chiarezza espositiva sembra quella
di un manuale per studenti universitari di materie umanistiche. In realtà
qu este pagine presentano efficacemente le radici storiche e le evoluzioni di un
movimento politico e antipolitico allo stesso tempo. Ricorda Ragona che
l’anarchismo ha cercato di coniugare al massimo, anche oltrepassando il limite
dell’utopia, la difficile, se non impossibile, coerenza tra mezzi e fini.
Tra gli autori “preanarchici” si
è scelto Étienne de La Boétie, pensatore ancora poco conosciuto, che denunciò un
“vizio mostruoso” in Discorso sulla
servitù volontaria (redatto nel 1549 e pubblicato nel 1576). Egli rifletteva
infatti su un nodo caratteristico della successiva critica anarchica: il legame
oscuro tra dominatori e dominati. Questi ultimi erano responsabili, in parte, della
propria dipendenza. Le origini dell’anarchismo, inteso come un insieme di
teorie e di pratiche, una fusione di pensiero e lotte, ideali ed esperienze
(l’ispirazione proviene da Nico Berti, un analista disincantato), vanno
comunque ricondotte alla modernità. Ciò vale, se non altro, per il processo di
secolarizzazione della società che, dall’Illuminismo in poi, ha combattuto ogni
superstizione ultraterrena per affidare il destino agli stessi esseri umani.
Ragona descrive efficacemente le
principali fasi attraversate dal movimento libertario, dall’iniziale insurrezionalismo
bakuniniano all’inserimento nelle lotte sindacali a cavallo dei due secoli,
dall’anarco-comunismo di Piotr Kropotkin, e poi di Errico Malatesta,
all’antifascismo d’azione che trova il culmine nella Spagna del 1936.
Dell’esperienza spagnola precedente alla guerra civile l’autore dà un’immagine anticonvenzionale,
opposta a quella di Eric Hobsbawn. Mentre lo storico inglese, con ampio seguito
anche nella storiografia italiana, descriveva gli anarchici spagnoli come
primitivi e arretrati, qui si interpreta il loro ruolo come un tentativo di
“modernizzazione dal basso” di una società immobilista controllata da
latifondisti, esercito e chiesa cattolica.
Già dalla Prima Internazionale i militanti,
oltre che alle proteste violente, si dedicavano ad alfabetizzare le classi
popolari, sia rurali sia cittadine. Tale acculturazione consisteva
nell’autoformazione in scuole e circoli (Ateneos Libertarios). Alle
organizzazioni sindacali si affiancavano quindi gruppi di maestri, quasi
missionari della laicità e della critica rivoluzionaria. L’autore trova una
certa analogia, sul terreno dell’educazione popolare, con le teorie di descolarizzazione
sostenute da Ivan Illich, “prete cattolico non convenzionale”, una specie di simpatizzante,
come il cristiano Emmanuel Mounier o il poeta alternativo Hakim Bey. In effetti
Ragona ritiene che pulsioni antiautoritarie si ritrovino in molti ambienti
radicali orientati a valorizzare pratiche libertarie di organizzazione senza
delega. Dopo la tragica fine della guerra civile spagnola, il movimento avrebbe
però abbandonato la classica esaltazione dell’atto rivoluzionario, sempre più
improbabile, per agire su terreni più praticabili. Da qui parte lo sviluppo
dell’impegno artistico, educativo e culturale in genere.
Il libro di Ragona è allora un’ottima
introduzione all’anarchismo, che, al contrario di molte comode previsioni, si
ripresenta oggi con evidenza sullo scenario dei conflitti sociali.
In “L’Indice dei libri del mese”,
Gennaio 2014
Nessun commento:
Posta un commento