24.2.14

Missionari. Gli anarchici e la “modernizzazione dal basso” (Claudio Venza)

Recensione a Gianfranco Ragona, Anarchismo, le idee e il movimento, Laterza, 2013 
La chiarezza espositiva sembra quella di un manuale per studenti universitari di materie umanistiche. In realtà qu este pagine presentano efficacemente le radici storiche e le evoluzioni di un movimento politico e antipolitico allo stesso tempo. Ricorda Ragona che l’anarchismo ha cercato di coniugare al massimo, anche oltrepassando il limite dell’utopia, la difficile, se non impossibile, coerenza tra mezzi e fini.
Tra gli autori “preanarchici” si è scelto Étienne de La Boétie, pensatore ancora poco conosciuto, che denunciò un “vizio mostruoso” in Discorso sulla servitù volontaria (redatto nel 1549 e pubblicato nel 1576). Egli rifletteva infatti su un nodo caratteristico della successiva critica anarchica: il legame oscuro tra dominatori e dominati. Questi ultimi erano responsabili, in parte, della propria dipendenza. Le origini dell’anarchismo, inteso come un insieme di teorie e di pratiche, una fusione di pensiero e lotte, ideali ed esperienze (l’ispirazione proviene da Nico Berti, un analista disincantato), vanno comunque ricondotte alla modernità. Ciò vale, se non altro, per il processo di secolarizzazione della società che, dall’Illuminismo in poi, ha combattuto ogni superstizione ultraterrena per affidare il destino agli stessi esseri umani.
Ragona descrive efficacemente le principali fasi attraversate dal movimento libertario, dall’iniziale insurrezionalismo bakuniniano all’inserimento nelle lotte sindacali a cavallo dei due secoli, dall’anarco-comunismo di Piotr Kropotkin, e poi di Errico Malatesta, all’antifascismo d’azione che trova il culmine nella Spagna del 1936. Dell’esperienza spagnola precedente alla guerra civile l’autore dà un’immagine anticonvenzionale, opposta a quella di Eric Hobsbawn. Mentre lo storico inglese, con ampio seguito anche nella storiografia italiana, descriveva gli anarchici spagnoli come primitivi e arretrati, qui si interpreta il loro ruolo come un tentativo di “modernizzazione dal basso” di una società immobilista controllata da latifondisti, esercito e chiesa cattolica.
Già dalla Prima Internazionale i militanti, oltre che alle proteste violente, si dedicavano ad alfabetizzare le classi popolari, sia rurali sia cittadine. Tale acculturazione consisteva nell’autoformazione in scuole e circoli (Ateneos Libertarios). Alle organizzazioni sindacali si affiancavano quindi gruppi di maestri, quasi missionari della laicità e della critica rivoluzionaria. L’autore trova una certa analogia, sul terreno dell’educazione popolare, con le teorie di descolarizzazione sostenute da Ivan Illich, “prete cattolico non convenzionale”, una specie di simpatizzante, come il cristiano Emmanuel Mounier o il poeta alternativo Hakim Bey. In effetti Ragona ritiene che pulsioni antiautoritarie si ritrovino in molti ambienti radicali orientati a valorizzare pratiche libertarie di organizzazione senza delega. Dopo la tragica fine della guerra civile spagnola, il movimento avrebbe però abbandonato la classica esaltazione dell’atto rivoluzionario, sempre più improbabile, per agire su terreni più praticabili. Da qui parte lo sviluppo dell’impegno artistico, educativo e culturale in genere.
Il libro di Ragona è allora un’ottima introduzione all’anarchismo, che, al contrario di molte comode previsioni, si ripresenta oggi con evidenza sullo scenario dei conflitti sociali.

In “L’Indice dei libri del mese”, Gennaio 2014

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