10.2.14

La fine del potere pontificio a Perugia (Aldo Capitini)

Nel palazzo della Banca commerciale il pittore perugino Annibale Brugnoli ha dipinto quadri storici, uno di questi rappresenta il gruppo dei liberali perugini (Francesco Guardabassi ed altri) che il 14 giugno 1859 dichiarano decaduto davanti al delegato apostolico Mons. Giordani in una sala del palazzo dei Priori il potere pontificio. La rivoluzione e l'invasione francese avevano avuto il loro riflesso nella città. Nel 1797 furono alzati alberi della libertà, bruciato il patibolo, organizzata la «municipalità centrale», venduti beni ecclesiastici, presi molti altri provvedimenti innovatori, Perugia costituiva il dipartimento del Trasimeno. E un comitato provvisorio tornò a governare la città nel 1831, in conseguenza del moto rivoluzionario di Bologna e di altre città dello Stato pontificio. Nel 1848 poi, oltre la partenza di volontari per i campi della Lombardia, Perugia salutò con fervore l'inizio della demolizione della Fortezza paolina, perugini si trovarono anche alla difesa della Repubblica romana. Nonostante la reazione, crebbero i liberali (le farmacie Bandini, Tei, come è noto, erano punto d'incontro dei cospiratori; il farmacista Annibale Vecchi era in corrispondenza col Mazzini). Nel giugno del '59 mentre Piemontesi, Francesi e Garibaldini avanzano nell'Italia settentrionale, e le Romagne e le Marche insorgono, avviene il fatto rappresentato poi dal Brugnoli, in quell'epoca giovanetto. Verso il mezzogiorno del 14 giugno mentre mons. Giordani col maggiore Friggeri, comandante di un battaglione pontificio, sta deliberando su eventuali provvedimenti, Francesco Guardabassi, data la parola d'ordine ai suoi affinché facciano un po' di chiasso sotto il palazzo pubblico (racconta Luigi Bonazzi che era nella via) si presenta con gli altri capi liberali «ai ministri papali come mandato dal popolo sovrano». Il Giordani e le truppe si ritirarono, e la città fu retta da una « giunta di governo provvisorio» fino al tragico 20 giugno, quando circa duemila soldati svizzeri vennero alla città, entrarono, soverchiata l'animosa resistenza di cittadini male armati, da Porta San Costanzo e Porta San Pietro, ed effettuarono le famose stragi «per ricondurre la città al dominio papale».
Quando ero fanciullo, alle cinque pomeridiane di ogni 20 giugno, le due campane del Municipio cominciavano funebri, distanziati rintocchi, mentre la carrozza a due cavalli usciva dall'atrio del palazzo e recava al cimitero il sindaco e la giunta comunale a deporre una corona sulla tomba dei caduti in quel giorno memorando. Nell'animo mi scendeva una mestizia e un senso solenne: l'ammirazione per il coraggio, l'avversione alla crudeltà, la diffidenza verso l'oppressore e insieme la tenerezza per il silenzio a cui erano scesi quei morti, mi fecero germogliare e confermavano, ad ogni atteso anniversario nel fiorente, pieno giugno, il sentimento civile. L'anniversario della liberazione, avvenuta il 14 settembre 1860, mi commoveva meno, forse perché fin da fanciulli si sente che l'attuarsi di ciò che è giusto dovrebbe rientrare nell'ordine naturale delle cose, mentre l'ingiustizia più ci colpisce e ci turba, specialmente quando dietro le stanno i tiranni chiusi nella falsa dignità del loro mutismo e dei loro comandi.


Da Perugia, Tipografia Comunale Perugia, 2008

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