16.2.14

Appassionatamente tua. 50 anni di rosa (Rosaria Guacci)

Sul finire degli anni Ottanta, Silvio Mursia – figlio, credo, dell’editore Ugo – si fece, a sua volta editore di una rivista mensile di cui era anche direttore e che intitolò “Racconti”. Si trattava del tentativo, presto fallito, di “offrire nuovi scrittori a nuovi lettori”. Il corpo della rivista, infatti, doveva essere costituito da nuovi racconti d’autore italiano, scelti tra quelli partecipanti ai concorsi letterari della penisola o inviati alla rivista. Accanto ai racconti c’era una parte redazionale di articoli e rubriche, tra le quali “il classico del mese”.
Tra i testi redazionali del primo numero c’era una sorta di storia del “genere rosa”, da Liala agli anni Ottanta, appunto, firmata da Rosaria Guacci. Costei, per definire il genere usava come criterio quello suggerito da un critico importante, Vittorio Spinazzola, cioè il pubblico: considera pertanto rosa il romanzo, il racconto, il fotoromanzo, il serial televisivo che si rivolge a un pubblico (quasi) esclusivamente femminile ed ha come argomento (quasi) esclusivo vicende sentimentali.
La prima parte del saggio, quella che qui riprendo, racconta dei fasti italiani della letteratura “rosa”, periodizzando, indicando autori e temi fino agli anni sessanta.
La seconda parte del breve saggio, omessa,– in conseguenza del criterio scelto – era dedicata a produzioni internazionali che sembravano all’epoca colonizzare il pubblico “rosa” come i romanzi della Cartland o della serie Harmony. Viene ripreso, questo proposito, un giudizio di Spinazzola: “Ora l’Italia è diventata importatrice di rosa che si vendono a peso, come gli Harmony. Quel tanto di autenticamente testimoniale è scomparso in un appiattimento quasi ossessivo nella sua ripetitività: le protagoniste sono antifemminili (e antifemministe); partono da emancipate, usano un linguaggio spregiudicato, ma poi cedono sempre al maschio-padrone che le sposa e le allontana dal loro lavoro. Mi sgomenta un poco il successo di questi rosa senza personalità, che paiono usciti da una catena di montaggio: vuol dire che comunque vengono incontro a esigenze molto diffuse”.
A voler prendere il rosa italiano da lontano, nei suoi incroci con una narrativa di maggior pretesa, non rimane che l'imbarazzo della scelta. Valgano per tutti il Verga prima maniera di Tigre reale, Storia di una capinera e Eva, dramma di amore-passione di tipo romantico che decisamente trascolora nel rosa, o il D'Annunzio dei "romanzi della rosa" (Il piacere, L'innocente, Il trionfo della morte), cantore di un mondo dove donne dai nomi improbabili, di bellezza e ardore inesausti, abbigliate à la mode, ton sur ton, attendono in salottini fumiganti d'incensi che i vari Andrea Sperelli d'Ugenta, in vestaglia di moerro, si apprestino a possederle.
Certo D'Annunzio scriveva e approfondiva ciò che era congeniale e assimilabile al "suo spirito crudo" e a un gusto di profanazione dei tabù che lui avrebbe definito di marca barbara e noi, con meno enfasi retorica, troveremmo più abruzzese.
Non diverso, come gusto del proibito, da quello di alcuni autori degli anni '20 e '30 come Guido da Verona, Mario Mariani, Luciano Zuccoli, la cui Freccia nel fianco, storia di un amore maledetto tra un'intemerata fanciulla e il giovane Brunello Trialdi di S. Pietro, conosciuto bambino di otto anni e amato all'età di venti, provocò più di un frisson alle lettrici del ventennio.
Come loro debitore di molti artifici verbali al vocabolario, D'Annunzio risulta certamente meno ironico di un altro scrittore allora all'indice, Pitigrilli. In Cocaina, per esempio, la protagonista Maud, "creatura internazionale, transoceanica, acclimatabile a pelli maschili di tutte le razze", è di una sensualità astratta, più in accordo alle necessità della narrazione che a qualcosa di voyeuristicamente abbordabile dal lettore.
Questa disciplina del genere è assolutamente "rosa", cosi come il "rosa", parafrasando una definizione di Umberto Eco coniata per Pitigrilli, è "anarcoconservatore".
All'inizio della sua storia il romanzo rosa, inteso come storia d'amore animata dal gioco dei contrasti e degli equivoci, con una donna come protagonista d'obbligo, si gioca su due possibili modelli, uno aggressivo, di marca straniera, dove la donna compete con il maschio, cui comunque soggiacerà alla fine con maggior gusto di entrambi (si sa che la lotta eccita!), l'altro nostrano, conservatore, dove la donna si prepara non senza rinunce al suo ruolo di moglie e di madre.
Spesso l'intento d'ordine in questo rosa italiano non è disgiunto da quello pedagogico. Così Liala, maestra del genere, si vanterà di aver scritto i primi manuali di bon ton per signorine, insegnando le norme più rudimentali di igiene insieme alle tattiche migliori per domare la brutalità maschile. La sua donna ideale è “piacevole, pulita, molto educata, che non chiacchieri troppo. Se non è intelligentissima e coltissima, non importa. Non deve dare fastidi. Poi, se non è un'aquila, pazienza. Anche se la donna è un'ochetta, ciò non guasta. Non deve dare pensieri, non deve fare interrogazioni: sempre che voglia piacere agli uomini. Loro non vogliono essere annoiati e nella donna vogliono trovare un po' di riposo". E l'uomo ideale?
"Deve essere alto almeno un metro e ottanta. Avere spalle larghe ed essere intelligente. Lui sì, lo voglio intelligente."
Quanto al giudizio sul proprio valore letterario non c'è problema: "Il mio autore preferito sono io. Non leggo nessun altro perché non voglio essere influenzata. I miei libri sono comunque educativi. Insegno le buone maniere e la pulizia. Liala è arrivata prima del deodorante".
La vita di Liala, al secolo Amaliana marchesa Negretti, si confonde con quella delle sue eroine come quella di molte 'maestre d'amore' che hanno fatto scuola.
Nata nobile, di pelle chiara e di capelli fulvi, Amaliana si sposa col primo amore, bello, alto probabilmente secondo lo standard raccomandato poi alle lettrici, avvolto nel maschio odore di esotiche sigarette, marchese (di Villafranca).
Dopo il matrimonio lui comincia a trascurarla, Amaliana ne soffre, finché un giovane aviatore splendido nella sua divisa da ufficiale la rapirà nell'estasi dei sensi.
Il marito, molto dandy e blasé, acconsente al divorzio in Ungheria, ma il destino ha deciso altrimenti. L'aviatore precipita col suo aereo nel lago di Como. È il 1926, la data della fine del sogno d'amore. Amaliana torna con il marito che, sempre più indifferente, la riprende con sé senza entusiasmo. Da allora Amaliana scriverà novelle e racconti "per non impazzire". Il suo primo romanzo, Signorsì, edito da Mondadori, è esaurito dopo venti giorni.
Scrivendo di lei, i critici la scambiano per un uomo, forse perché è strano che una donna si intenda così bene di aerei. D'Annunzio la vuole conoscere e la battezza Liala, perché "un'ala sta bene nel nome di una scrittrice d'aviazione".
Da allora Liala ha pubblicato settanta romanzi e innumerevoli novelle, conversazioni e ricordi, ha guadagnato un fiume di denaro, ristampato regolarmente i suoi libri, continuato a narrare di abluzioni profumate nonostante i progressi della pratica cosmetica.
Già Liala, ed il fascismo in generale, portano nella letteratura rosa il segno dei tempi, una flessione rispetto a una certa narrativa femminile di fine Ottocento. A parte il fenomeno Carolina Invernizio, onesta artigiana di intrighi e trame romanzesche, alcune scrittrici dell'epoca tentano un'analisi della condizione femminile che travalica la letteratura di facile consumo cui i loro nomi sono legati.
Neera dipinge in Teresa, il quadro di certe agre solitudini femminili in provincia, consumate in segreto nelle case parentali, e sullo stesso tema di grande attualità in una certa ristretta borghesia insistono Matilde Serao, Annie Vivaldi e la Marchesa Colombi con il suo Matrimonio in provincia, tornato di moda non molti armi fa.
È interessante la tipologia di scrittrice che queste donne rappresentano: tra loro ci sono giornaliste, poetesse, romanziere che non nascondono l’intento di far circolare idee nuove, nuovi modelli. E non importa se la scrittrice in questione è madre e sposa integerrima come Neera, spregiudicata come Annie Vivanti o avventuriera come la Contessa Lara, uccisa dal giovane amante. Tutte sentono
la missione pedagogica di educare la donna descrivendone la vita spesso misera e frustrata e informandola, all'occorrenza. Il fascismo riprende e stravolge questi temi, dalla protezione della maternità e dell'infanzia all'educazione dello spirito e del corpo (la ginnastica) per le ragazze.
Dopo i fasti e i nefasti del gruppo delle Grandi Firme cui aveva aderito il già menzionato Pitigrilli, inizia la martellante campagna della sposa e madre prolifica. Fanno eccezione le amanti platoniche che si struggono per l'eroico soldato in guerra e le morette sensuali del romanzo coloniale che contrappuntano con il loro caldo erotismo l'assenza e la santità della fidanzata bianca.
Anche gli editori Perino e Salani, insieme a Le Monnier e Sonzogno, si pongono il problema di fabbricare rosa come prontuari per signorine, attrezzate così ad amare senza troppo concedere se non al momento giusto e a respingere voglie e appetiti che il rosa, evocando, esorcizza. Non mancano contraddizioni nel genere, o meglio si suggeriscono diverse destinazioni (di fanciulle), destini, qualità temperamentali a seconda dello strato sociale che l'inquieta borghesia del tempo, vera balena di Giona, contiene nel suo grande ventre.
Così Liala consiglia alla fanciulla di modesta condizione di avere pretese modeste, accettando la corte sbrigativa del soldato, rude sì, ma pur sempre maschio virile e franco: "Non so se sono il tipo adatto a te: sono certo che tu sei la donna adatta a me e quindi è inutile stare a fare tante discussioni: io ti voglio e ti prendo. No, non scostarti, ti prendo in moglie. Capisco bene che la mia proposta deve sbalordirti, ma io non sono abituato a perdere tempo... Sono un galantuomo: qui vedi? ho due medaglie d'argento. Vuol dire elle non sono un coniglio. 'Tempo da perdere, ripeto, non ne ho. Chiedo subito il permesso di sposarti, perché essendo ufficiale effettivo debbo avere il permesso dal ministero'"'.
Nel 1937 in un classico rosa della Salani compare La donna forte, Nietzschéenne nel titolo originale, che si ispira addirittura al superuomo di Nietzche ed è forte perché capace di affiancare un capitano d'industria, capitalista emergente.
La contraddizione marca il rosa anche ad altri livelli.
Donne intrepide, i cui sensi assopiti sono risvegliati al piacere e alla vita in situazioni eccitanti, devono a fine romanzo retrocedere affondando nella rinuncia e nella rassegnazione o in un matrimonio appagante perché sedativo di fremiti avvenuti prima dell'esito pacificante (o mortifero?). Come Peter Pan, costretto a rientrare a casa dopo la meravigliosa fuga nei giardini di Kensington, o come le eroine di Jane Austen, di certo più ironiche e savie delle nostre, impaniate in un matrimonio necessario alle regole sociali ma non alla mente dell'autrice.
Liala, La Mura, Luciana Peverelli, Brunella Gasperini (la più sofisticata), il primo Scerbanenco che negli anni '50 dirigeva Annabella e aveva fatto la scommessa con se stesso, dopo una quantità di romanzi e racconti abbastanza lunghi, di scrivere novelle di due cartelle al massimo, dettano legge nel rosa degli anni '40 e '50.
Avranno un'influenza decisiva sull'editoria popolare italiana e in particolare su quella sentimentale disegnata.
Nel 1946 nascono il settimanale di novelle Confidenze di Liala, che ha per madrina Luciana Peverelli, e Grand Hotel, inizialmente di sole dodici pagine ma destinato ad aumentare di consistenza sia cartacea che di prestigio nel nuovo mondo del rosa a fumetto. Il pubblico si allarga da quello piccolo-medio borghese a quello di massa, che grazie ai disegni comincia a leggere per la prima volta, un giornale .
Di vicende reali e di guerre ovviamente non si parla, si parla solo di schermaglie amorose, litigi tra innamorati, gelosie presto o tardi pacificate in un roseo e radioso avvenire. La struttura narrativa e l'ambientazione dei testi si semplificano sempre più. Le eroine, come il loro pubblico, non sono avide di sapere e non spacciano nobiltà letterarie o culture inesistenti.
Ma il rapporto con la consumatrice è in qualche modo onesto: si vendono sogni a consolazione della miseria del presente, il dopoguerra, e si soddisfano nel rapporto solitario con la lettrice richieste sentimentali altrimenti inevase.
La trama del nuovo fumetto risente dell'influenza narrativa della stampa del cuore tradizionale. In una vicenda chiaroscurata da equivoci e sospetti amorosi a catena, tra molti 'non detto' e altrettanti 'troppo detto', due esseri di rara avvenenza e bontà, o finta alterigia che nasconde timidezza e ansia d'amore, si incontrano e scontrano, si perdono e ritrovano, sono istradati su false piste da
avventurieri/avventuriere che li vogliono per loschi fini (l'arricchimento a loro spese è il più gettonato), viaggiano per dimenticare, ma alla fine, dopo travagli d’ogni genere, c’è l’agnizione finale e l’amore può divampare nella legalità matrimoniale.
Tutti i luoghi topici dei Grand Hotel e dei romanzi rosa sono racchiusi in questa storia esemplare e verranno rigorosamente mantenuti per tutti gli anni a venire.
Il piacere della lettura si fonda sulla ripetizione, sul ritrovamento confortevole del già noto che permette di costruire per indizi ciò che accadrà. Chi legge rivive in proprio la storia ma diventa cosciente del gioco implicito nel testo. Può allora giocare con piacere e libertà crescenti il desiderio di stare in quella storia e il controllo della medesima.

da “Racconti”, anno I n.1, maggio 1988

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